La Città Verticale (1922)

Nella città più verticale del mondo, gli uomini si sono arrampicati sui loro sogni e le proprie ambizioni, sino a snelli grattacieli, che paiono declamare la pura audacia dell’essere fatti di banale cemento. Minareti che sfidano le stelle, torri che impalano la Luna. Un castello barocco di cinquanta piani costruito da un principe mercante con spiccioli accumulati dalla prima botteguccia, scagliato verso il cielo con la prorompente bellezza di un fuoco d’artificio.

Un qualunque tramonto su Manhattan, col cielo che pare una belva in agguato pronta a scattare, ma rosa come la delicata pelle di una donna, vede schierarsi le sagome delle torri, guglie, cupole, gli spaesati culmini di quegli smisurati uffici. E se si vuol vedere il cielo si deve scrutare con attenzione tra questi proiettili di frenesia architettonica, magnifici nella loro terribile bellezza. Nella città verticale non ci sono orizzonti, nessun infinito su cui riposare lo sguardo; salvo qualche raro minuscolo ritaglio di infinito, che fa capolino tra muraglioni a picco e seminterrati. Se siete fortunati il tovagliolino si allarga fino a diventare un tovagliolo, una tovaglia, dove brillano cinque, sei, o seimila stelle, magari una striscia di azzurro attraversata da un raggio di sole, che sventola come issata sull’asta di una bandiera.

Meglio tenere occhi e cuore all’erta, nella città verticale, perché questi pezzettini e ritagli di infinito, anche se guardati dalla finestra di un caseggiato popolare facendosi venire il torcicollo, trasudano misteriose alchimie, più pericolose di quelle dei cieli sopra il deserto o l’oceano. Capita che un rettangolino di cielo guardato attraverso quei vertiginosi pozzi a picco possa ghermirti l’anima, come un batterio che silenzioso ti infetta, il dolce dolore che si annida dentro il cuore, acciambellato come un protozoo. Tenete gli occhi e il cuore all’erta.

Titolo originale: The Vertical City, Harper & Brothers, New York-Londra, 1922 – Estratto e traduzione di Fabrizio Bottini
Immagini: Hugh Ferris, The Metropolis of Tomorrow, 1929

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