La meccanica della fabbrica filosoficamente applicata all’universo aveva in effetti degli innegabili vantaggi di efficienza e coerenza. Si cominciò a scomporre in comodi moduli componibili l’antica famiglia allargata patriarcale contadina, inventandosi di sana pianta quella nucleare della produzione/consumo organizzati. E il suo mondo ideale, come si intuì abbastanza bene nonostante tutto sin da subito, non era affatto la città officina dentro i cui ingranaggi si era pur sempre spezzettata la società tradizionale, ma la nuova periferia costruita ad hoc nelle aree specializzate dello zoning, nominalmente per la nostra massima comodità e sicurezza. Lì i luoghi di lavoro potevano lavorare al loro ritmo funzionale, di genere e generazionale (tempi accelerati, sesso prevalentemente maschile, fascia adulta), senza interferire con la comunità delle famiglie residenti detta vicinato, funzionalmente composta di donne casalinghe e bambini in età non lavorativa, ovvero da chi in qualche modo «riproduceva la forza lavoro» presente e futura. Restavano le istituzioni pubbliche e private, con il loro simbolico castello transustanziato in downtown terziaria direzionale di rappresentanza (o centro storico di prestigio dove ne esisteva uno). Il resto era residuo, poca limatura di lavorazione cascata per terra, che il vento della modernizzazione si sarebbe agevolmente portato via.
L’allungamento e allargamento della vita
La primissima generazione a vivere in pieno questa era di universi urbani comunicanti tripartiti, che si scambiavano il triplice flusso di persone, cose e idee, fu quella dei cosiddetti boomers, i nati più o meno a cavallo della fine dell’ultimo conflitto mondiale, cresciuti dentro l’impennata della produzione e dei consumi per la famiglia e il territorio perfetti e specializzati. E tutto in teoria pareva complessivamente filare liscio come l’olio, salvo fisiologici aggiustamenti, qualche prevedibile attrito, nulla di serio e avanti a pieno regime. Ma la logica della macchina a cui si ispirava l’universo fabbrica-società-territorio, aveva considerato «piccolo scarto di lavorazione» quella che era invece una componente essenziale della vita, per quanto all’epoca quantitativamente minoritaria, ma per nulla marginale. Il resto, l’hanno fatto gli stessi progressi tecnici, scientifici, socioeconomici indotti dalla medesima macchina tritatutto, finché oggi quella generazione di boomers non è riuscita a fare una cosa inaudita: sopravvivere. Dimostrando che anche se non si è bambini che aspettano di diventare adulti produttori-consumatori, o adulti che producono-consumano a pieno ritmo, si è pur sempre umani cittadini, e non curioso residuo folkloristico della civiltà moderna. E ciò che vale soprattutto per gli anziani, attivi, consapevoli, insomma che vivono e non sopravvivono, vale anche per l’infinità di «inattese presenze» nella metropoli meccanica immaginata da qualche pazzo troppo schematico o sadico qualche decennio fa. Quella «limatura di lavorazione» non si può né scopar via, né chiudere in un apposita pattumiera sociale.
Verso una città e una società diversa
L’anziano, o il Millennial non integrato dentro la società automobilistica-pendolare-familiare nucleare, o l’artista creative class di massa, e al tempo stesso difficilmente assimilabile al ciclo produzione-riproduzione-consumo di stile fabbrica, insomma tutti coloro che un tempo non entravano nel conto (e nemmeno nei trasferibili standard da applicare nei disegni dei quartieri razionalisti di periferia o dello sprawl suburbano segregato), pongono una domanda piuttosto chiara, nei suoi tratti essenziali. Ed è il superamento della tripartizione rigida, nonché superamento parallelo della logica dei flussi pendolari prevalentemente individuali-automobilistici che ne costituiva l’ossatura. E si può partire proprio dal sintomo acuto e vistoso, dell’anziano che fatica a guidare, o proprio non ce la fa più a reggere lo stress di uno spostamento di stile autostradale (per fruire dei servizi socio-sanitari specializzati e classicamente segregati altrove), per far saltare uno a uno i pilastri del paranoico zoning di stile industriale, anche senza toccare per ora i pur odiosi confini delle fasce di reddito che il «libero mercato» si è inventato per sfruttare meglio i vasi comunicanti. Il cosiddetto mixed-use così di moda nella terminologia immobiliare, smette di essere semplicemente una parola impugnata dagli operatori, e diventa un metodo per rendere più organiche le zone urbane a chi le abita, non escludendo il flusso ma rendendolo davvero integrato. Attività economiche, residenze, servizi per tutti, ambiente di qualità non delegato ad altri luoghi, tempi e ritmi compatibili. Perché in fondo, la famosa nuova frontiera della crescita territoriale infinita è finita, e il tappeto per scopar sotto la polvere dei residui in fondo era quello. Facciamocene una ragione.
Riferimenti:
Greying of GTA suburbs problem for planners, policymakers, Toronto Sun, 3 maggio 2017