Un gruppo di attivisti di Seattle si incontra in una bella serata all’inizio di aprile in un locale alla moda per festeggiare le modifiche al piano regolatore della città. L’atmosfera è euforica. Bambini piccoli che sgattonano sui divani, adulti che si abbracciano e posano per qualche fotografia. C’è anche molto sollievo, perché quella modifica del piano per consentire maggiori densità ci ha impiegato quattro anni ad essere approvata, tra innumerevoli incontri e una battaglia a colpi di ricorsi in tribunale. Sinora è il principale passo in avanti nella politica per la casa di Seattle. Il 75% della superficie urbana era destinato ad abitazioni unifamiliari, e ciò costringeva tutte le nuove edificazioni in pochissime zone, oltre a far impennare i prezzi ovunque. Col nuovo piano si consentono maggiori densità sul 6% di quelle superfici sinora escluse: non pare gran che, ma qui a Seattle tutti adorano le loro vie di casette, ed è comunque un gran risultato. E tutti gli oratori all’incontro finiscono il loro intervento nello stesso modo: «È solo il primo passo».
In tutto il Paese, gli attivisti delle città premono per cambiamenti urbanistici verso maggiori densità. Molte di queste città sono in forte crescita — ad esempio la popolazione di Seattle è aumentata del 20% dal 2010 — e per sistemare tutta questa gente ci si deve ingrandire: verso l’alto o allargandosi. Città più dense e fruibili a piedi significa che più famiglie ci staranno e useranno i mezzi pubblici. Molto meglio della solita alternativa: il suburbio con quelle grandi case e quelle grandi masse di auto-dipendenti, vera e propria pompa di emissioni. Come spiegano dei militanti californiani pro-densità: «Una politica per la casa è una politica per il clima». Ma cambiare le regole urbanistiche non è semplice. La politica per la casa è essenziale per le città, ma non è cosa così semplice da capire, e quindi chi è impegnato in questo campo la deve spiegare legando i vari aspetti, e perché conviene a tutti.
Appaiono invece visibili a tutti alcuni aspetti negativi. Proprietari di casa e comitati di quartiere insorgono quando le amministrazioni tentano di modificare le norme di zona. Associazioni preoccupate che aumentando gli abitanti aumenti il traffico, ci possa essere una sostituzione sociale, che avidi speculatori abbattano le belle vecchie case per farci anonimi condomini tutti uguali. Ed è facile capire quanto successo abbiano argomentazioni del genere. I cambiamenti immediati di una maggiore densità sono alberi tagliati, meno spazi per i parcheggi, demolizioni di amati piccoli edifici. Mentre per i vantaggi bisogna attendere anni nel volatile mercato dell’affitto. Gli oppositori della densità si trasformano anche in dichiarati NIMBY e nelle forme più estreme. È successo a Seattle negli incontri pubblici dello scorso febbraio-marzo: «I bolscevichi della densità stanno arrivando – diceva qualcuno – e vogliono ridurre in cenere le nostre case unifamiliari». È facile accendere gli animi di questi oppositori della densità, visto che vedono i propri quartieri attaccati. Così il compito principale dei cosiddetti YIMBY (yes in my backyard) in sostanza è di costruire una base di sostegno al cambiamento urbanistico.
Un caso di successo YIMBY è senza dubbio quello di Minneapolis. Lo scorso dicembre l’amministrazione ha approvato Minneapolis 2040, la prima grande riforma urbanistica del paese in questa direzione: si eliminano del tutto le case unifamiliari in città, e ai costruttori è consentito sostituirle coi triplex, piccoli complessi di tre alloggi. Il piano comprende anche tutela dell’affitto, incentivi alle trasformazioni vicino alle fermate del mezzo pubblico, nuovi criteri di partecipazione per comunità di quartiere sinora trascurate. Il piano per Minneapolis incontra molti consensi tra i progressisti, dal Vermont a Seattle, e chi ne è stato attivista locale gira per conferenze da Boston a Portland, Oregon. Come si è riusciti ad approvare un piano tanto ambizioso, quando invece a Seattle e in altre città si fa fatica ad avanzare anche solo un pochino?
Parliamo di YIMBY
La vicenda di Minneapolis 2040 inizia nel 2013 quando viene eletto in Consiglio qualcuno convito dell’utilità di una città più densa: Lisa Bender, che oggi il consiglio lo presiede. Bender ha un suo chiodo fisso: «L’80% dei miei elettori vive in affitto». Intende l’essersi insediata nel 2014 a rappresentare una fascia di abitanti molto più diversificata, disagiata, giovane, del tipo di persone che in genere partecipa alle assemblee sull’urbanistica. È entrata a far parte della commissione di piano: «Era straordinaria l’occasione di riformare in termini comprensivi l’urbanistica cittadina. Non è un tipo di cosa che in genere si vorrebbe fare». E all’inizio il cambiamento è stato molto graduale. Il consiglio ha allentato i vincoli per i proprietari che volessero aggiungere cubature da destinare all’affitto, come i cosiddetti «cottage della nonna», poi si sono ridotti i requisiti minimi di parcheggio per alcuni nuovi fabbricati. Piccole vittorie, ricorda Bender, che aprono un dialogo e un dibattito in città, esempi concreti di cosa succederebbe se, per esempio, si realizzassero edifici multifamiliari in quartieri di casette singole. Contemporaneamente nasce Neighbors for More Neighbors, azione pro-densità che si autodefinisce «su posizioni YIMBY» da un’idea di John Edwards Ryan Johnson. Per dirla con le parole di Edwards: «Abbiamo iniziato da una piccola serie di slogan».
Neighbors for More Neighbors nasce dalla prima partecipazione di Edwards a un’assemblea di quartiere. Aveva visto i manifesti NIMBY contro il progetto di un edificio ad appartamenti, e voleva capire meglio il problema. «Quell’assemblea era spaventosamente ostile. Una folla di vecchi bianchi che non ne voleva sapere di gente in affitto nel proprio quartiere. Edwards all’epoca stava in affitto, e iniziò a twittare quel che stava ascoltando, un po’ per divertimento, un po’ per sfogo. Poi nella solita forma abbastanza confusa dell’attivismo online, da quei post nacque un blog di questioni locali, poi in una serie di slogan pro-densità in collaborazione con Johnson. Dal punto di vista di Edwards, le argomentazioni dei NIMBY — preoccupazione per l’atmosfera di quartiere inquinata dai terribili affittuari — sono vera e proprie propaganda, «e quindi c’è bisogno di qualche tipo di anti-propaganda». I primi meme di Neighbors for More Neighbors ricalcano le promozioni dei parchi nazionali. «Ricordati sempre che puoi prevenire lo sprawl» recita la striscia sul cappello di un ranger. E allora: «Contribuisci a fare più verde l’America, basta coi quartieri di sole villette». L’obiettivo è di rendere appetibile una urbanistica favorevole alla densità, spiega Edwards, perché nonostante sia nell’interesse di molti, si tratta del genere di gergo arido che risulta ostico a tutti.
Nel 2017, questi manifesti di intenti sono presentati ad una conferenza nazionale YIMBY, e Edwards e Johnson incitano i propri contatti locali a sostenere le trasformazioni urbanistiche. È la consigliera Bender, a indicare ad alcuni sostenitori il blog di Edwards nel corso di un attacco molto insidioso pro NIMBY di una star televisiva dei reality. L’amministrazione nel frattempo prosegue a a sviluppare il piano Minneapolis 2040. Coll’impulso di Bender e di un gruppo di consiglieri progressisti neoleletti si sta coinvolgendo attivamente fasce di cittadini sino a quel momento trascurate, dagli immigrati ai neri dei quartieri segregati. È solo l’anno scorso, quando la notizia del piano in corso arriva al giornale Minneapolis Star Tribune, che Neighbors for More Neighbors diventa un gruppo politico. Prima che il progetto fosse pubblico, spiega Edwards, i paladini di una maggiore densità erano semplicemente «persone che condividevano una medesima convinzione», qualcuno ambientalista, qualche attivista sociale, qualche militante dei diritti degli inquilini.
Ricorda Andy Mannix, giornalista al Minneapolis Star Tribune, come all’epoca «C’era certamente impegno in Consiglio, ma anche parecchia indecisione». Spuntavano ovunque in città scritte rosse contro le ruspe in arrivo per radere al suolo le case a tutto vantaggio dei grossi costruttori, e anche diversi membri del Consiglio si opponevano alle nuove regole urbanistiche. Fosse accaduto cinque anni, quella sarebbe stata la fine di ogni ambizione, ma stavolta c’era Neighbors for More Neighbors a innestare la marcia giusta. «Volevamo rendere tutti consapevoli di una idea di lungo periodo» ricorda Anton Schieffer, altro attivista YIMBY arrivato via social media. «È facilissimo per chi si oppone dire NO a qualunque cosa. Ma sostanzialmente si tratta di mantenere lo status quo». Uno stato delle cose in cui si segregano i quartieri e gli affitti si impennano ovunque, precisa Schieffer. I meme avevano costruito una base YIMBY, ma la differenza doveva farla la successiva organizzazione materiale dei gruppi. Nella fase delle osservazioni Neighbors for More Neighbors coordina attraverso gli interventi sul sito ufficiale del piano (Heather Worthington, responsabile della pianificazione strategica per Minneapolis, spiega che si prende in considerazione ogni commento, e il piano viene modificato coerentemente).
Neighbors for More Neighbors spinge le persone a partecipare alle assemblee pubbliche, oltre a continuare con i propri slogan. «Negli eventi estivi di piazza la gente ci chiede se siamo contro le scritte rosse dei NIMBY» scrive sul blog Edwards, in riferimento alla campagna montante contro il nuovo piano. «E poi si porta a casa le nostre, di scritte». Si organizzano anche passeggiate di quartiere, e si invitano i consiglieri comunali. «Camminare nei quartieri apre un dibattito sui temi in modo impossibile con altre modalità» spiega Schieffer. Si racconta come i valori immobiliari crescenti spingano i costruttori a demolire le vecchie casette sostituendole con grosse McMansion, se l’amministrazione non consente tipologie diverse col suo zoning: un aspetto poi ripreso da un consigliere nella sua dichiarazione di voto favorevole. I gruppi locali di cittadini, che in genere alimentano le posizioni NIMBY, in gran parte decidono di restare fuori dalla mischia, e almeno uno, la Prospect Park Association, si dichiara favorevole. Vince Netz, allora presidente, ricorda come molti degli associati originariamente «detestassero» quell’idea di riforma del piano. Ma poi si fece una piccola ricerca sugli immobili locali, anche col supporto di Neighbors for More Neighbors, scoprendo che Prospect Park, ufficialmente zona di case unifamiliari, in realtà ospitava già in abbondanza piccoli complessi ad appartamenti o multi-alloggio: «Mostravamo la cosa alla gente, e si calmarono» fino al voto favorevole a 2040.
Alla fine, Minneapolis 2040 veniva approvato dal Consiglio con 12 voti a favore e uno solo contrario, nove mesi dopo che la discussione era fortuitamente traboccata all’esterno dell’amministrazione. L’assemblea pubblica finale mise in luce i detrattori, ma anche i sostenitori: gli anziani che volevano quartieri fruibili a piedi; i giovani sensibili ai temi del cambiamento climatico; un sindacalista che sosteneva come lo sprawl fosse «pessimo per i lavoratori, pessimo per le famiglie». Senza la posizione YIMBY, è l’opinione di Neighbors for More Neighbors, gli obiettivi del piano sarebbero stati diluiti, meno ambiziosi, e il consenso al cambiamento non sarebbe emerso. Per usare le parole di Edwards, grazie all’azione YIMBY il Consiglio si era per così dire «coperto entrambe le spalle».
Lo zoning di Seattle
Tutto quel successo di Neighbors for More Neighbors ne ha fatto una esperienza di culto in tante città. Rob Johnson, ex consigliere comunale Seattle considerato la «guida» della riforma urbanistica locale, teneva appesi nel suo ufficio tutti i poster con gli slogan del gruppo. Uno in particolare, dove le parole sono sovrapposte a una montagna innevata, recita: «Dicevano che gli appartamenti non erano verdi, così ci abbiamo messo delle case». Magnifico, dice Johnson. Quell’aggiornamento all’ordinanza di zoning non era certo l’unico in cui nella storia recente a Seattle in cui si cercava di intervenire sulla densità. «Erano vent’anni che tentavamo di dotarci di un programma per le case economiche, senza successo» spiega Patience Malaba, direttore per le relazioni esterne di Seattle for Everyone, il principale intergruppo cittadino pro-densità. (a Seattle riforma dello zoning fa tutt’uno con le case per i redditi più bassi, e anche a Minneapolis si è approvato un provvedimento per la casa parallelamente anche se separatamente da 2040). Una quindicina di anni fa erano insorti contro la densità i potenti comitati di quartiere, con un forte appoggio della stampa locale. Nel 2013, una grande variante urbanistica per la zona a nord del centro, legata all’insediamento di Amazon e altre compagnie, di nuovo con critiche dei NIMBY sullo stesso tono.
Nel 2015 entra nel mirino un’altra versione del piano. Il problema della casa reso ancora più acuto dalla crisi rende urgente intervenire in qualche modo. Anche Minneapolis era cresciuta molto nell’ultimo decennio, ma a ritmo che sono solo la metà di quelli di Seattle, dove il prezzo medio di un alloggio andava oltre il mezzo milione di dollari. A differenza di Minneapolis, Seattle aveva mantenuto anche la proibizione di realizzare i cosiddetti «cottage della nonna» e altri interventi di piccolo incremento delle densità sui lotti. Il termine YIMBY stava appena entrando nel lessico locale, e se certo in città non mancavano paladini della densità, la loro organizzazione in grande non inizia finché non diventano pubblici gli obiettivi del nuovo piano. Molti malumori. La proposta riservata di un comitato consultivo, di eliminare del tutto le casette unifamiliari, arrivò per vie traverse alla stampa. Come già successo a Minneapolis, gli oppositori iniziarono subito a urlare arrivano le ruspe! Slogan NIMBY dilagavano dalle assemblee di quartiere ai cartelli sui prati davanti alle case. «Non bastano le raccomandazioni tecniche corrette in cui si crede – spiegava al Seattle Times un esponente politico – bisogno organizzare, convincere le persone che quel piano è per loro, per il futuro di tutti».
A differenza di Minneapolis, le varianti drastiche vengono ritirate in tutta fretta. Racconta Roger Valdez, un militante pro densità e lobbista nel mondo immobiliare, al Seattle Times, «Nessuno qui [tra i politici] se la sente di riconoscere pubblicamente il bisogno di questi cambiamenti». Tra vecchie opposizioni e compromessi bizantini ci si avvia verso un processo di piccoli passi avanti. «Prima un anno di discussione pubblica – ricorda il consigliere Johnson – e quindi un anno di lavoro ambientale. Poi un anno di ricorsi. Superati quelli altri sei mesi per concludere l’approvazione della delibera». Con alcune conseguenze su chi aveva preso certe posizioni favorevoli alla densità: «Ci voleva qualcuno disponibile ad assumersi l’onere delle scelte senza pensare al proprio futuro politico» specifica Johnson, che aveva pensato di presentarsi per un solo mandato, e si dimise subito dopo l’approvazione del piano. L’opposizione alle case economiche, alle piste ciclabili e ad altre novità nello sviluppo urbanistico era molto forte nella sua circoscrizione, e quel posto da consigliere diventava assai incerto in prospettiva.
E comunque nel 2018 anche a Seattle la posizione YIMBY e i suoi gruppi avevano trovato una propria voce istituzionale. Si tenevano incontri in tutta la città, cresceva il sostegno alla variante di zoning (48% favorevoli, 29% contrari). Malaba, responsabile del coordinamento gruppi ambientalisti, di quartiere e sindacali pro-densità, ritiene che il punto fondamentale fosse «concentrarsi su chi è già tendenzialmente favorevole ma ha poche informazioni». Costruire consenso significa però anche compromessi. Immediatamente prima della data dell’approvazione in Consiglio arrivò una pioggia di emendamenti, arretrare su alcuni punti, allargarne altri, in generale ridurre la zona di applicazione delle densità maggiori. Secondo il consigliere Johnson, così «si riuscì in un voto 9-0 su quel piano assai discusso». Che ora può rappresentare una solida e condivisa base per ulteriori evoluzioni. Delle decine di candidati alle prossime elezioni di Seattle, soltanto uno tra i più in vista – e nella circoscrizione di Johnson – appare molto critico sulla variante. La maggioranza è invece favorevole a proseguire su quella strada.
A Minneapolis la forza persuasiva è stata quella di tradurre un obiettivo piuttosto tecnico in parole comprensibili e adottabili da chiunque, ritiene Calvin Jones, militante pro-densità di Seattle col gruppo Tech 4 Housing. Col piano approvato di Seattle si è costruito un «Processo che si evolve. I consiglieri ci hanno aggiunto qualcosa, e non sarebbe accaduto se la proposta fosse stata approvata un po’ di soppiatto senza sostegno reale». Adesso c’è davvero consenso per una Seattle più densa, con più case economiche, aggiunge: «Ricordiamo tutti un vicino, un amico, che poi se ne è andato perché non poteva più abitare qui». La vera difficoltà non sta necessariamente nel convincere la parte avversa, pensa Malaba. Sta nel persuadere abbastanza persone che cambiando una cosa asettica e tecnica come l’ordinanza di zoning si ottengono vantaggi molto concreti per la casa e per tutta la città.
Da: Grist, 19 maggio 2019 – Titolo originale: Here comes the neighborhood – Traduzione di Fabrizio Bottini