La storia economica è anche evoluzione sociale. Individui e famiglie si uniscono a produrre beni e servizi. Il tipo di questi gruppi si modifica di volta in volta al mutare sia dei rapporti interni che del contesto circostante. Non esiste un modello interpretativo unico, ma se ne trova una spiegazione parziale nell’adattamento economico per rispondere a bisogni biologici. In altre parole, una popolazione che cerca di superare la pura sussistenza determinata dai modi di produzione. Facendo nascere nuove economie, stili di vita e modi di pensare. Se si osservano questi mutamenti, si è colpiti dal fatto che in generale essi comportano una continua divisione e specializzazione del lavoro, e insieme una crescente interdipendenza dei singoli dal gruppo. Ovvero, cresce la libertà di scelta per il lavoro degli individui, ma una volta effettuata questa scelta la libertà svanisce di fronte alla maggior dipendenza da altri operatori. La si può considerare una legge del progresso sociale, se volessimo definirla in questo modo.
Sono così nate nel tempo cinque forme di organizzazione economica: l’economia dei raccoglitori, quelle delle colture nomadi, l’economia dei villaggi, l’economia delle città, e nei nostri tempi moderni l’economia metropolitana. In un modo o nell’altro, ponendo l’accento su questo o quell’aspetto peculiare, i primi quattro tipi di economia sono riconosciuti, pur con varie critiche, come fasi dell’evoluzione umana. Mentre in genere dopo l’economia della città si considera come stadio attuale l’economia nazionale.
La città e la sua economia erano un tempo al centro del sistema, ed elemento di regolazione. Quando l’economia della città si affievolisce sino a scomparire, se ne separano le due funzioni, quella prettamente economica passa alla metropoli, mentre quella regolativa è assunta dalla politica, in epoca tradizionale dall’impero e in tempi moderni dallo stato nazionale. Val la pena notare a questo punto che una delle differenze principali fra era antica e moderna, è che se la prima non possedeva la metropoli a sostituire la città com centro economico, la seconda ce l’ha, insieme allo stato nazionale invece dell’impero.
È proprio questo stato nazionale, stati come Inghilterra o Francia, l’involucro protetto all’interno del quale cresce la metropoli economica. Gli Stati Uniti d’America, grazie alle proprie dimensioni, ricchezza, assenza di tradizioni medievali, sono stati sinora il terreno più fertile per uno sviluppo metropolitano. I centri urbani più favorevolmente localizzati sono cresciuti a diventare nodi commerciali in cui si scambiano beni e servizi su dimensioni inedite.
Questa nuova economia metropolitana si basa su una organizzazione interna di forze produttive, e relazioni esterne con altri nodi, sia delle medesime dimensioni che di tipo più primitivo. Al suo interno la nuova entità si compone di una grande città commerciale che ne forma il nucleo, circondata da un proprio hinterland. Dal nucleo i grandi interessi guardano alla fascia esterna come territorio di conquista. Nella grande area circostante si collocano centri minori, aziende agricole, linee ferroviarie, canali, risorse minerarie, foreste. Non è mai accaduto prima nella storia che così tanti milioni di esseri umani realizzassero una grande entità di produzione e consumo. A partire dal sedicesimo secolo, è questo l’evento più rilevante della storia economica, tutti gli altri per quanto importanti sono sono una fase del tutto.
Ma l’entità metropolitana composta da nucleo centrale e hinterland, come accade per Boston e il New England, o per le Twin Cities e il Nord-Ovest, non vive sola e isolata. Per quanto grande sia l’interdipendenza fra centro e area di riferimento, essa non preclude altre relazioni e interdipendenze con altri sistemi metropolitani o lontane economie urbane, là dove ancora esse esistono. Anzi, una delle funzioni principali del grande nodo commerciale è quella di stabilire e mantenere collegamenti col resto del mondo. Nel centro ci sono le attività che scambiano sia all’interno che all’esterno, e per conto sia di chi opera in qual centro che nell’hinterland. Se abito in una cittadina del New Hampshire, ricevo prodotti inglesi attraverso Boston. Se sto in un villaggio del Nord Dakota, posso procurarmi olio d’oliva italiano o scarpe di Filadelfia attraverso le Twin Cities. Potrei a volte anche farlo direttamente, ma non conviene.
La concentrazione di economie nei grandi centri metropolitani significa l’uso più efficace di risorse umane e materiali possibile. Non si è mai ottenuto tanto con così poco sforzo. Mai hanno prodotto così tanto capitale lavoro e organizzazione. Nella fascia dell’hinterland metropolitano una zona si può specializzare nelle attività estrattive, un’altra in quelle del legname, una terza in agricoltura. Certe aziende agricole producono cereali, altre latte e latticini. Le più piccole possono fare apicoltura, o coltivare orti, o allevare pollame. Ma si tratta sempre di prodotti in tutto o in parte destinati al mercato metropolitano, sia per il consumo interno che per la distribuzione all’esterno. Nel centro operano le agenzie specializzate negli scambi. Ci sono naturalmente i commercianti al dettaglio, ma soprattutto e caratteristicamente i grossisti, che raccolgono i prodotti di agricoltura e industria da conferire poi ai dettaglianti. I corrieri fanno capo al nucleo centrale metropolitano, e come loro ferrovie, navigazione, compagnie di autobus e poste. Impianti di refrigerazione, grandi depositi, si concentrano soprattutto lì. E al di sopra, simbolicamente quanto spesso anche fisicamente, ci stanno le grandi banche, le società, le finanziarie.
Si tratta di economie di grosse dimensioni, per quanto non prive di limiti, anche per il solo fatto che una società trae il massimo vantaggio dalle concentrazione: e questa è impossibile se non in un grande centro. Nella trasformazione, magazzinaggio, trasporto di prodotti, nella concentrazione e distribuzione del lavoro, nell’accumulo e gestione di capitali e credito, il grosso centro è avvantaggiato rispetto a tutte le altre possibilità. Col minimo ottiene il massimo. Alla metropoli importa poco di contenere bellezza e squallore, trionfi e disastri: la grande attività di successo deve avere una base metropolitana. E poi può anche superare quella dimensione, verso altre statali o multinazionali. Ma la sede fisica e i vantaggi economici restano. Non riesco a pensare ad una migliore analogia di quella con la ragnatela. Il ragno fabbrica prima la serie di fili che si irradiano dal centro in tutte le direzioni, e poi tesse l’ordito concentrico. Alla fine si posiziona nel nucleo, pronto ad agire, alla medesima distanza da ogni punto, che può facilmente raggiungere. Con quella singola quantità di tela, ottiene il massimo rendimento.
Non esiste nessun topo di formazione urbana rivale, che sia la Lega Anseatica o altro, in grado di competere con la moderna metropoli. Le città finiscono in una situazione di dipendenza, possono essere importanti come punti di raccolta di materie prime, o di distribuzione, ma sono subordinate: centri satellite di attività commerciali, industriali, o finanziarie, che splendono di luce riflessa.
Nella costruzione delle economie metropolitane hanno concorso generazioni di uomini intraprendenti desiderosi di arricchirsi. Attraverso successi e fallimenti, spesso privi di un vero e proprio piano lungimirante, a volte hanno raggiunto obiettivi, a volte no. Chi ce la fa si arricchisce. E se lo fa nel luogo più favorevole prospera ancor di più, e aiuta a far prosperare chi ci ha realizzato o comprato immobili. In questo modo le ambizioni private svolgono una funzione collettiva. Un sistema metropolitano si afferma solo se esistono condizioni favorevoli. Ci devono essere risorse naturali: all’inizio di che mangiare e fibre tessili; in epoche più recenti ferro e carbone. Se mancano queste cose, una città come Denver non può nemmeno pensare di raggiungere proporzioni metropolitane. Naturalmente si tratta di un problema di capacità e impegno umano, che possono anche prendere il posto di ricchi depositi di metalli o combustibili. Pare che i cinesi debbano riporre tutte le proprie speranze nel lavoro, anche se in molti casi pare una speranza vana. E poi sono indispensabili infrastrutture di trasporto.
Il territorio non può essere troppo montagnoso per strade e ferrovie: spesso le più grandi ambizioni commerciali trovano insormontabili barriere di roccia. Grandi le occasioni dove si incrociano terra e acque navigabili. Sinora non si è data grande e prospera metropoli, senza l’unione dei due fattori trasporto acqueo e via terra. Ma in futuro potrebbe anche essere diverso, con l’aviazione diventata commerciale. E nessun nodo metropolitano può sorgere, se non sta a rispettosa distanza dai suoi simili. Così Providence non può avere un futuro, né Milwaukee. Baltimora soffre la vicinanza di Filadelfia, e Filadelfia a sua volta ha subito l’eccessiva prossimità di New York.Non si tratta tanto di concentrazione urbana e di popolazione, ma di disponibilità di risorse nell’area. Per quanto accaduto sinora, parrebbe che non si possa dare un sistema metropolitano nelle zone tropicali a clima troppo caldo e umido: due limiti sia al lavoro manuale che a quello di gestione.
Si è già sottolineata l’importanza del contenitore nazionale di liberi scambi. E negli Stati Uniti esso è così ampio, così numerose le grandi aree metropolitane che ne sono risultate, che forse dovremmo paragonarlo non tanto alla Francia o alla Germania, ma all’Europa nel suo insieme. Il confine col Canada già funge da limite, o almeno contiene, la crescita verso nord dei sistemi metropolitani, così come quello col Messico forse un giorno rallenterà il pieno dispiegarsi di quelli del Sud, se ne dovessero sorgere. Questi confini internazionali sono già fin troppo fitti in Europa. Anversa si trova limitata dalle dimensioni della sua area di libero scambio. L’ultima guerra ha avuto conseguenze economiche recessive tagliando a pezzi l’Impero Austriaco e rendendo così difficile la crescita di grandi centri. Vienna isolata rispetto al suo hinterland. Costantinopoli si è trovata in una situazione commerciale difficile. Certe guerre di conquista possono certamente spiacere alla sensibilità di alcune minoranze nazionali, ma non c’è alcun dubbio che l’allargamento dell’unità politica comporta efficienza nell’organizzazione economica, la quale alla fine materialmente si traduce in vantaggi per tutti i gruppi nazionali e razziali, maggiori o minori che siano.
Se i primi sviluppi dei nodi metropolitani sono stati spontanei, non programmati da singoli o governi, ultimamente non manca del tutto un certo orientamento. Negli anni più recenti le camere di commercio di città tanto diverse e lontane come St. Louis in America e Marsiglia in Francia hanno operato non poco per lo sviluppo delle rispettive regioni. In entrambi i casi si trovano uomini preparati e motivati col compito preciso di promuovere il progresso metropolitano.
Non è possibile stabilire un momento preciso in cui è iniziata a sorgere, l’economia metropolitana. Da un punto di vista politico la metropoli o grande capitale esiste dai tempi antichi di Babilonia. E di sicuro alcuni centri di tipo metropolitano hanno iniziato un loro cammino, però rapidamente interrotto. Venezia e Firenze sono partite nel quindicesimo secolo. Parigi, e poi in particolare Londra, hanno iniziato nel sedicesimo, e la capitale britannica è stata la prima a raggiungere la maturità. In America c’è stato un rapido progresso nell’epoca della costruzione dei canali, e poi in particolare delle ferrovie. In generale, possiamo affermare che un sistema metropolitano sorge quando convergono favorevolmente due circostanze: sviluppo economico dell’hinterland, e incremento delle capacità e organizzazione del centro. Nelle vecchie nazioni succede all’economia della città, nelle nuove terre può anche nascere insieme ad essa, in posizione subordinata.
Così come la crescita dei centri urbani nell’epoca dell’economia di città segue alcune fasi e passaggi, allo stesso modo avviene con lo sviluppo metropolitano. In una prima fase vediamo il potenziale nucleo centrale estendere i propri tentacoli via terra e via mare ad acquisire risorse e vendere beni. Crea una situazione e senso di dipendenza, anche con una forza relativamente limitata, ma in breve si inizia ad organizzare il mercato. Poi avviene lo sviluppo della manifattura e dei trasporti. In America spesso essi crescono insieme. E poco dopo, la rete finanziaria a legare insieme tutta l’area.
Cola passare del tempo, là dove non ci sono barriere di tipo politico come in America, cresce il numero delle entità metropolitane. Se in Inghilterra ce ne possono essere un paio ben sviluppate, e in Francia al massimo quattro, in America sono più di una decina. All’inizio sono state New York e la forse troppo ambiziosa New Orleans, a cercare di costruirsi due imperi. Ma gli ex centri subordinati hanno finito in un caso per limitarne l’espansione, e in un altro per sostituirsi all’originale. Dai propri territori di riferimento si sono ricavate province economiche Cleveland, Chicago, le Twin Cities, St. Louis, e Kansas City. E là dove esse non osavano, anche San Francisco ha fondato una dinastia, stabile nonostante le sfide.
Forse si può ipotizzare che la tendenza attuale sia verso sistemi territoriali più compatti a hinterland contenuto, dove i nuclei centrali contengono una quota maggiore della popolazione totale, e tutte le parti risultano più fittamente legate da interdipendenza reciproca. Un processo partito spontaneamente, una deriva più che un programma. Poco capito sia dagli operatori che dai governi, che pure come nel caso di Londra facevano molto per sostenerlo, per esempio con le leggi sui cereali e la navigazione. Ma oggi capiamo molto meglio le dinamiche dei mercati, dell’interdipendenza per beni e servizi. Possiamo iniziare a programmare, e qualcuno ha anche già cominciato.
Ciò significa che oggi le associazioni cooperative possono giocare, con sempre più possibilità di successo, il ruolo forse solo immaginato dai pionieri. In principio era solo l’iniziativa privata, col suo occhio attento, a scorgere tendenze e adeguarsi. Ma oggi si studia, chi coltiva grano o frutta, il piccolo o grosso imprenditore, può impegnarsi in attività che abbiano respiro metropolitano, o addirittura superare i confini se è il caso. Anche se la maledizione del progresso fa sì che un po’ si avanzi, e un po’ si arretri: a volte le organizzazioni metropolitane paiono frenare i progressi anziché stimolarli.
Da un lato c’è la possibilità di crescita di nuovi tipi di organizzazioni metropolitane inediti e più efficaci. Dall’altro l’involuzione verso un’economia di città, lo stadio in cui oggi è la Cina, e in cui pare arenata. Così come per almeno tremila anni in Europa si sono alternati città e villaggi, in una specie di su e giù, allo stesso modo potrebbe accadere con la città e la metropoli, sino magari all’emergere di un’altra sinora non comparsa forma di organizzazione economica. Mi hanno accusato di non voler andare oltre la metropoli: non è che non voglia, ma me lo impedisce la pura ignoranza.
Economia metropolitana ha voluto dire più relazioni umane. Ha teso ad eliminare differenze e peculiarità locali, il gergo metropolitano, lo stile, il modo di vestire, finiscono per pervadere un’ampia area. Crea anche un canale per la diffusione delle malattie, fisiche e sociali. L’economia metropolitana coi suoi collegamenti rapidi tra i nodi è la base per l’espansione mondiale di epidemie che poi la scienza avanzante faticherà a combattere. Oggi il controllo politico avviene a scala nazionale, o provinciale, o statale e federale come in America. Un altro possibile sistema sarebbe internazionale e regionale. Il sistema dello stato è così pervaso da pregiudizi e vanità, da far dubitare che sia utile, e che possa continuare. La provincia è così piccola che comprime la crescita regionale metropolitana. Un riallineamento di forze potrebbe vedere una struttura internazionale composta da regioni metropolitane.
Purtroppo per ora l’idea di regione metropolitana resta un fatto informale. Non ha statuto, rappresentanti, confini. Ma si tratta di una realtà ben concreta, vissuta e operata da singoli e gruppi. I geografi ne trattano di continuo nel loro lavoro. Lo studio dei mercati ne ricostruisce fenomeni e storia. Il diritto ne riconosce la necessità. Le camere di commercio la promuovono. I governanti di province e stati avvertono l’esigenza di unirsi, almeno per consultazioni regionali. Le malattie delel piante non rispettano i confini politici. Le ferrovie devono scavalcarli, senza alcun rispetto per i margini amministrativi. Ma le organizzazioni metropolitane,inadeguate come non mai, sono microscopiche rispetto all’entità reale delle economie. Pensiamo a una base composta da regioni metropolitane, e sopra uno stato internazionale in espansione: entrambi sono sogni, in un presente chiuso in anguste province.
Riferimento:
N.S.B. Gras, The rise of the metropolitan community, in Ernest W. Burgess (a cura di), The Urban Community, University of Chicago Press, 1926 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini
Immagine di copertina: Regional Plan of New York and its Environs, 1922 –