Bisogna sempre distinguere tra fini e mezzi, perché confonderli porta solo guai, come coi famosi workholic tanto intenti a sciogliersi del tutto dentro il puro frenetico attivismo lavorativo, da cancellare completamente il motivo vero per cui avevano cominciato, e cioè la gratificazione del lavoro, monetaria e non monetaria. E del resto, parlando di monetario e non monetario, anche quella perversione pur solo parziale di chi sacrifica tutto al puro aspetto pecuniario dell’attività, la dice lunga su come ci si possa confondere tra fini e mezzi: ok, si guadagna, ma in fondo ci sarebbe anche da chiedersi cosa si guadagna a fare, no? Il che ci porta, parlando come sempre di cose urbane, alle idee di evoluzione e trasformazione della città, e al rischio che si confondano anche qui i fini coi mezzi, parlando di economia, di salute, di verde, di abitabilità: sono obiettivi o strumenti? E in quale misura? Se guardiamo anche solo a questi quattro termini, notiamo come l’economia (a meno di essere sotto sotto delle specie di workholic pure noi) appartenga al campo strumentale, e non certo degli obiettivi in sé e per sé, così come la salute, che quando c’è la salute c’è tutto si suol dire, senza dubbio a quello dei fini. Terzo, l’abitabilità: se fosse un mezzo, sarebbe finalizzato al benessere, magari per stimolare economie, garantire in fondo la salute, però gira e rigira anche l’abitabilità è un fine, o meglio un altro modo per dire salute, trovarsi a proprio agio, star bene nel proprio ambiente. Ci resta il verde, e anche quello subito diranno molti, è un fine. Ma perché mai?
Siamo al verde
Spesso in quelle pubbliche assemblee e infuocati dibattiti sul futuro dei quartieri e certe trasformazioni incombenti, salta fuori tranchant e perentorio il classico «più verde, facciamo del verde, ci vuole il verde». Sembra una richiesta sempre sacrosanta e indiscutibile, ma altrettanto sempre si merita impeccabili repliche e precisazioni. La prima è quella economica, o meglio monetaria, visto che in genere la richiesta riguarda le trasformazioni propriamente urbane, nelle zone relativamente centrali, quando ad una funzione e organizzazione ne sta subentrando un’altra. Le argomentazioni di chi si oppone a questo «più verde, facciamo il verde» riguardano sempre i costi di bonifica, allestimento, manutenzione, e naturalmente la rinuncia a farci il di solito assai più lucroso intervento edilizio. Ma non dimentichiamo che anche chi chiede sempre verde, ha una propria egoistica motivazione economica, perché storicamente e ovviamente il loro immobile si avvantaggerà dalla presenza di parchi e giardini nei paraggi. È piuttosto noto a chi conosce la storia dell’urbanistica, l’uso strumentale della localizzazione di verde pubblico e destinazioni d’uso delle superfici adiacenti, per premiare questa o quell’altra zona, così come le discussioni a volte aspre tra i fautori del grande parco (che premia in valore immobiliare una quantità ridotta di frontisti) e i favorevoli a una maggiore diluizione (che premia in valore d’uso e prossimità più quartieri). Basterebbero queste brevi considerazioni a illuminare forse anche meglio il ruolo strumentale del verde, il suo non essere fine in sé, ma mezzo per conseguire abitabilità e salute urbana. Ma come valutarlo in modo preciso?
I servizi del verde
Esiste una intera branca di studi dedicati ai cosiddetti «servizi dell’ecosistema», ovvero a valutare in termini monetari ciò che sinora è stato o ignorato, o dato per scontato, o calcolato in quanto vantaggio tutto da definire, anche se ovviamente apprezzato e determinante. Sono quelle cose che da sempre per esempio conoscono gli esperti in localizzazioni produttive, la serie di fattori naturali del luogo che avvantaggiano sia il lavoro degli impianti che quello degli addetti, senza per questo comparire esplicitamente nei calcoli di bilancio. Con l’approccio servizi dell’ecosistema tendenzialmente queste cose finirebbero per comparire, nei bilanci, magari con la voce «cosa dovremmo pagare se non ci fosse qui vicino garantita quella particolare cosa». Per quanto contestato da parte dell’ambientalismo, che ci vede (non del tutto sbagliando) anche un rischio, di ridurre la natura a merce scambiabile, questo sistema di valutazione se lo consideriamo un mezzo e non un fine, può se ben applicato portare a risultati straordinari di tutela, valorizzazione, uso accorto e adeguato delle medesime risorse. Pensiamo al verde urbano: ci sono ormai infiniti studi e conoscenze sulla sua funzione in termini di salute individuale e collettiva, fisica e psicologica, che vanno dalla purificazione dell’aria, alla regolazione del clima, al senso di benessere e relax rilevato negli abitanti e frequentatori di aree meglio servite di altre eccetera. Ma monetizzare esattamente il valore di questo verde urbano, e compararlo ai costi sanitari per la collettività indotti dalla sua assenza o carenza, o inadeguata distribuzione, o cattiva qualità di manutenzione, significa una sola cosa: poter introdurre in modo esplicito nei bilanci cittadini una vera e propria voce attiva, un asset. E (non è affatto poco) rispondere documentatamente a muso duro a quei tizi che dicono, il verde non si può fare perché mancano i soldi.
Riferimenti:
Urban forestry project ties residential nature to health care spending, Phys.org 7 ottobre 2016