Gli urbanisti hanno compreso soltanto negli ultimi anni che le teorie e pratiche applicate di solito alle città possono allargarsi anche alle aree verso cui la stessa città si sviluppa, e dentro le quali stanno gradualmente prendendo forma altre municipalità. Zone esterne tanto ampie, così numerose le comunità coinvolte, così imponente la questione nel suo insieme, che è possibile considerare in senso proprio la pianificazione regionale in quanto applicazione su larga scala e a maggior ragione dei principi urbanistici. La zona attorno a una città centrale e l’insieme dei centri minori presenti in quell’area richiedono, per uno sviluppo ordinato e sistematico, un governo coordinato e parallelo delle trasformazioni, delle reti, degli usi dello spazio. Devono affrontare in modo cooperativo i problemi comuni. Forse la principale differenza, tra la pianificazione urbana e quella regionale, sta nel fatto che in città in massima parte l’oggetto centrale è trasformare zone già urbanizzate. Mentre a scala regionale abbiamo territori più che altro non edificati, e invece di un solo corpo urbano si devono affrontare le attività intrecciate di una serie di entità diverse, collocate attorno a una città centrale.
La pianificazione e il piano regionale
Non trovandosi di fronte a tutta la serie di errori del passato legati a un territorio urbanizzato, la pianificazione regionale offre una grande occasione all’urbanista, di agire in anticipo e predisporre le migliori condizioni. Una occasione che si concreta nel piano regionale dentro cui convergono studi e conclusioni riguardanti i vari aspetti del territorio dell’area metropolitana. Il piano regionale deve essere condiviso in linea di massima tra i cittadini. Tale piano, efficientemente predisposto e attuato, sarà di inestimabile servizio per lo sviluppo della regione, mettendo in relazione trasformazioni urbane e suburbane, affrontando situazioni e problemi che sono oltre la capacità di controllo delle singole municipalità.
Inoltre col piano regionale si possono concepire là dove necessarie grandi arterie più ampie e di comunicazione diretta, circonvallazioni attorno a zone congestionate, viali continui. Si possono stabilire criteri per l’arretramento adeguato degli edifici, una gestione più efficace e sicura delle linee interne di tram e ferrovie. Il coordinamento regionale risolve nel migliore dei modi il problema di abbassare i costi delle attività economiche eliminandone alcune fonti, ad esempio la depurazione di acque che si può evitare del tutto vengano inquinate, intervenendo sulla rete di un insediamento urbano confinante. A scala regionale i cittadini possono trovare abbondante risposta alle esigenze del tempo libero nei bacini dei corsi d’acqua, sulle sponde dei laghi, nei boschi, nella tutela delle preziose bellezze naturali.
Col piano regionale si affronta la crescita normale e auspicabile delle città e del loro circondario, nel quadro di un’area che migliora complessivamente a fa sì che gli abitanti traggano ogni vantaggio dalla propria localizzazione, dalla propria casa. Le città congestionate di oggi possono lasciar spazio alle città ampie del domani. Perché esistono metodi, risorse, strumenti legali, per realizzare questo modello. In breve, un programma coordinato in una regione promuove la salute, la sicurezza, la morale, la comodità, l’efficienza, la ricchezza, il benessere generale di chi la abita.
Cos’è una regione
Certo il tipo di regione metropolitana da affrontare con questo metodo di piano è decisamente variabile, tutto dipende da dove si trova, o da altri fattori, ma considerato in generale riguarda sempre la zona di influenza di una città centrale, o città madre, entro un raggio di facile spostamento pendolare, entro il quale può espandersi. Questo territorio può comprendere una serie di satelliti municipali del nucleo centrale, abbastanza correlati gli uni agli altri, e che devono il proprio sostentamento, le proprie dinamiche sociali, la presenza o meno di servizi, in pratica l’esistenza, alla città centrale regionale. Tutte queste municipalità minori hanno problemi e interessi comuni, sovrapposti, intrecciati.
Per quanto riguarda le varie distanze che copre il raggio di queste regioni metropolitane, vediamo nel caso di New Haven una distanza di circa 20 km fra il centro città e il limite della zona inclusa nel piano. Attorno a Norfolk, Virginia, raggio identico. Nei casi di Boston, Buffalo, St. Louis, Cleveland, o Toledo (Lucas County), quel raggio si allunga sino a 30-40 chilometri, e a New York City sino a 60-80 chilometri. Queste fasce esterne rappresentano grosso modo il territorio corrente di distribuzione commerciale della città centrale, e corrispondono ai punti in cui ad esempio abita chi ha aperto un conto in un grande magazzino. Varia nel medesimo modo anche l’entità delle superfici regionali coinvolte. L’area attorno a Boston è nell’ordine dei 1.000 chilometri quadrati; che a Chicago diventano ben 20.000; a Los Angeles 10.500; a New York 14.000; Niagara Frontier, 4.000; Filadelfia, 10.500; Santa Barbara, 7.000; o Washington, 1.200 chilometri quadrati. Per fare un paragone, il bacino della Ruhr in Germania comprende 3.900 kmq.
Val la pena anche tener presente come una regione metropolitana possa coprire un territorio di fatto troppo ampio per rappresentare al meglio i propri interessi. Da questo punto di vista, Alfred Bettman sostiene che allo stesso modo in cui si prova a costruire per le città la consapevolezza della natura organica dei problemi, alla dimensione metropolitana occorre quella che lui chiama “mentalità regionale”, ovvero consapevolezza di una corrispondente natura organica. Bettman precisa però che questo interesse si può estendere su un territorio troppo ampio. Al tempo stesso il pianificatore regionale deve tener presente che nella prospettiva di uno studio comprensivo, l’area metropolitana da considerare non può limitarsi ai confini di competenza di singole responsabilità di tipo sanitario, scolastico, amministrativo cittadino o altro, anche se non si escludono confini di questo tipo. La natura assai variabile di questo aspetto la si comprende considerando come la regione attorno a Boston abbia 39 circoscrizioni municipali; quella attorno a Los Angeles, 91 città di vario ordine; Filadelfia, ha a che fare con 357 distretti delimitati, dei quali 129 di tipo cittadino o circoscrizionale; nel caso di Niagara Frontier, ci sono 28 villaggi o comuni, e tante altre circoscrizioni di competenze.
La natura della regione metropolitana (che potremmo anche chiamare “poli-politana”) varia non solo per quanto riguarda le forme, dimensioni, articolazioni municipali e di altre circoscrizioni che la compongono, ma anche per le densità di popolazione nelle fasce urbane, suburbane e agricole che compongono il territorio. Ciascuna area metropolitana avrà proprie situazioni economiche, sociali, politiche. Avrà forse una propria radicata storia, tradizioni, identità, oppure essere di formazione tropo recente per averne di tradizioni, e quindi con abitanti molto aperti a nuove idee. Ci possono essere necessità a cui si deve rispondere nell’immediato, o altre che non hanno particolare importanza se non in una prospettiva futura.
L’area di una regione equilibrata è stata molto adeguatamente paragonata, nel caso del Piano Regionale di New York, al pavimento di una fabbrica dove si è tracciato il modo d’uso migliore. E tutto dovrebbe funzionare proprio così come avviene nella fabbrica con quelle linee sgombre parallele non occupate da materiali accumulati, coi vari reparti organizzati per le varie necessità. La regione metropolitana, come la fabbrica, può dover affrontare la concorrenza di rivali più efficienti, i cui impianti sono organizzati meglio. Altra metafora è quella del sistema di cellule di varie forme e dimensioni, che crescono gradualmente sino a sovrapporsi.
Una teoria regionale di distribuzione della popolazione
Prima di pensare all’espansione delle città o alla creazione di nuovi nuclei nell’area metropolitana, dobbiamo almeno capire, pur in modo imperfetto, quale sarà la sua distribuzione di popolazione futura. Sino ad oggi la tendenza generale della pianificazione regionale è stata di promuovere ogni cosa che facesse aumentare il valore dei terreni, senza alcun riguardo per il benessere della popolazione. Ma come osserva l’urbanista Thomas Adams, qualunque sviluppo regionale che induca congestione, magari va benissimo per accrescere il valore dei terreni, ma alla fine nuove sia al benessere che all’economia. Sul lungo periodo, la congestione edilizia non fa neppure bene ai proprietari immobiliari.
Quindi dobbiamo o proseguire come in passato a concentrare la popolazione, oppure redistribuirla nel territorio, secondo un processo di decentramento e ri-accentramento. Cosa vogliamo? Una città che cresce compatta senza alcun limite nel tempo e nello spazio, che rende più acuti i mali della congestione, o un numero imprecisato di centri minori indipendenti, spaziosi al proprio interno, e al proprio esterno ordinatamente inseriti nell’area circostante? Al momento attuale, le spinte decentratrici sembrano puntare verso la prevalenza del secondo tipo di sviluppo. Gli studi su New York City mostrano come “l’industria non tende più a restare nel centro città ed è già iniziato probabilmente lo sfollamento”. Molti esponenti del mondo economico, come Henry Ford, chiedono un decentramento dell’industria, che ovviamente richiede decentrare e riorganizzare adeguatamente anche le case dei lavoratori. Esiste inoltre anche un accelerarsi costante nella crescita delle fasce suburbane circostanti alle grandi città, ma di zone non comprese nella circoscrizione urbana: il tasso di crescita della popolazione a New York è stato calcolato del 24,2%, mentre nella sua fascia suburbana è del 57,4%. (Boston è crescita del 4,8% negli ultimi dieci anni, i suoi suburbi del 25,2%; Filadelfia 7% e il suo suburbio 42%, Cleveland 12% contro un 118%).
Per quanto riguarda i costi degli spostamenti pendolari, fortemente correlati al tema del decentramento, va ricordato che le tariffe dei trasporti si basano sulle distanze, e che il modo migliore per superare le difficoltà e i costi economici e sociali della fatica del pendolarismo, è quello di collocare le abitazioni vicine al posto di lavoro. Questo portare le persone vicine al lavoro si può realizzare se nel piano regionale si ipotizzano delle “città satellite” indipendenti e autosufficienti in qualche misura ma legate alla città centrale. Comunità che naturalmente crescono lungo le grandi arterie di comunicazione regionali. Più vicine alla grande città, più forte ne sarà l’attrazione, più lontane, meno subiranno l’influsso.
Ne segue, che maggiore sarà la distanza dalla città centrale, più i satelliti dovranno dotarsi di servizi indipendenti per la propria popolazione. La teoria indica come la crescita di popolazione debba distribuirsi fra centri suburbani o satellite in grado di gestire le necessarie attività con un grado accettabile di autosufficienza, con ampi spazi, divise le une dalle altre e dalla città centrale da altrettanto generosi spazi aperti. Resta aperto il modo in cui si possano attuare i vari obiettivi della pianificazione regionale qui esposti. Per prima cosa ci vuole una apposita commissione dotata di autorità, orientamenti, strutture e finanziamenti. In secondo luogo, la medesima commissione deve predisporre studi, progetti, raccomandazioni. Infine, si deve attuare il piano attivando gli interessi delle varie municipalità ed enti.
La Commissione per il Piano Regionale
Prima che si affermasse il concetto di commissione per il piano regionale, alcune agenzie pubbliche affrontavano alcuni aspetti della pianificazione, come nel caso delle commissioni per i parchi, per la sanità, per i trasporti. Organismi che naturalmente agivano senza alcun quadro generale a orientarli. Oggi esistono organi sia ufficialmente nominati che volontari, creati per affrontare la questione regionale nel suo insieme; sono di nomina ufficiale quelli per Boston, Los Angeles, le contee di Lucas e Milwaukee, Niagara Frontier, Santa Barbara, e sia quella per Washington che la Maryland National Park and Planning; organismi di iniziativa volontaria operano invece a Chicago, Cleveland, New York, e Filadelfia (Tristate).
Lo Standard City Planning Enabling Act, predisposto dal Dipartimento del Commercio, contiene indicazioni e spunti per l’istituzione delle commissioni di piano regionale. Riguardo al metodo di istituzione, la legge prevede che il governatore di uno stato, o funzionario analogo, su richiesta di un territorio o di un gruppo di 100 cittadini di un territorio, dopo apposita udienza a verificare il pubblico interesse, definisca i confini della regione e nomini una apposita commissione di piano. Esiste anche una procedura alternativa, su iniziativa degli organismi urbanistici esistenti e dell’amministrazione di contea, che possono cooperare a istituire una commissione regionale, decidere i confini, distribuire gli oneri del lavoro.
Secondo la legge, la commissione si compone di nove membri, ciascuno in carica per 6 anni, che operano senza alcun compenso salvo rimborso spese. Organizzazione, regole, procedure, poteri e doveri vari sono identici a quelli di una commissione di piano cittadina. La legge indica i modi di finanziamento e il tipo di competenze dei consulenti da incaricare. Le spese dovranno essere approvate dal governatore dello stato. Amministrazioni nelle varie circoscrizioni e commissari sono autorizzati all’uso della propria quota di finanziamenti e alla predisposizione e attuazione del piano.
Il piano generale regionale comprende tutti gli studi, carte, tabelle grafici necessari a indicare localizzazione e tipi di strade, parchi e altri spazi aperti, edifici e immobili pubblici, reti, boschi, zone agricole, zone di tutela, risorse. Il piano generale comprende anche una suddivisione per zone. […]
Da: Principles of city planning, Mac Graw Hill, New York 1931 – Titolo originale del capitolo: Regional planning in metropolitan areas – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini