La recente Tenement House Exhibition a New York segna una svolta degna di nota nella storia sociale metropolitana. Una folla immensa aspettava l’apertura, più persone di quante ne sarebbero mai riuscite a entrare, e poi nelle due settimane di svolgimento le sale sono state visitate da moltissimi interessati e curiosi di ogni classe e ceto sociale. Sorpresa, qualche tristezza, ma tutti probabilmente ne hanno tratto la chiara impressione e dimostrazione, grazie ai modelli, alle fotografie, alle carte, di uno stretto rapporto tra la cattiva qualità degli alloggi e i problemi sanitari, morali, di cittadinanza.
La questione delle abitazioni rappresenta il più fondamentale problema sociale sul territorio. La frase dello scomparso Cardinale Manning secondo cui «La vita domestica costruisce la nazione»la definisce perfettamente. Perfettamente vero anche l’opposto: l’assenza di vita domestica può distruggere una nazione. La casa è il fondamento della vita sociale; là dove sono scarse o mancano del tutto le occasioni per un libero dispiegarsi dei caratteri che producono salute, serenità e virtù, possiamo solo aspettarci degenerazione e degrado. Guardando gli schemi che descrivono i grandi quartieri di case economiche in affitto a New York City, esposti alla Tenement House Exhibition, si nota l’enorme parte giocata dalla cattiva qualità delle abitazioni nel generare le principali malattie sociali. Le grandi città sono i punti deboli della civiltà moderna, una comunità che non consente a tanti dei propri membri di vivere in strutture adeguate a un sano sviluppo dell’esistenza domestica, costringendoli a lottare con immensa fatica contro le forze del degrado. Esiste un rapporto molto stretto tra l’umanità e gli ambienti in cui vive. Persone intelligenti e dalla forte volontà costruiscono o modificano il proprio ambiente. Chi è più debole, meno attento, poco preveggente, finisce per esserne dominato. Una valutazione realistica ma abbastanza schematica.
Con l’eccezione di chi è straordinariamente forte e virile, l’ambiente della casa determina gli orientamenti di tutta l’esistenza. Masse popolari sovraffollate come bestiame, così come accade oggi nei quartieri di case operaie in affitto di New York City, resisteranno solo con grande difficoltà alle malevole influenza da cui sono circondate. La Commissione Reale Britannica del 1885 per le Abitazioni della Classe Lavoratrice, esaminando l’ambiente di vita degli operai nelle zone più povere di Londra, esprimeva l’opinione che i dati statistici sulle malattie legate al sovraffollamento non fornissero una immagine completa sulle carenze sanitarie. Il London Board of Health varò una indagine in quei quartieri a verificare la perdita di ore lavorative annue determinata non da malattie, ma pura debolezza fisica. Rilevando come abitare in casamenti sovraffollati, dove gli alloggi non erano adeguatamente soleggiati e ventilati, poteva significare in media venti giornate lavorative perdute ogni anno per ciascun lavoratore o lavoratrice.
Gli schemi esposti alla Tenement House Exhibition mostrano l’intima correlazione tra sovraffollamento, mancanza di sole, aria negli alloggi, e alcune forme di malattia: dalla tubercolosi, alla difterite, febbri tifoidi e scarlattina. Il rapporto tra povertà e cattive condizioni degli alloggi in affitto è anche esposto con straordinaria efficacia in un’altra serie di schemi sull’intero settore urbano di questi quartieri. La The Charity Organization Society definisce la povertà una malattia contagiosa. «La necessità del nostro sostegno caritatevole si allarga nelle case come succede alla tubercolosi. Si abbassa il tono sociale. Una famiglia chiede sostegno e lo ottiene. Un’altra donna che fatica a mantenere sé stessa e i suoi bambini si chiede: «Perché lavorare tanto?» e chi chiede carità; viene meno l’autostima delle famiglie». Conferma questa immagine anche Keller, a capo del Department of Charities of New York.
Esiste poi la grande questione dell’abuso di alcol. È assurdo pensare che il consumo smodato di bevande si possa risolvere finché le persone continuano ad abitare alloggi la cui assenza di salubrità risucchia la vita stessa, dove il baccano e la bruttezza spingono a cercare qualunque sollievo fuori da lì. Non sono in genere molto propenso a considerare certi rapporti di causa effetto tra le situazioni, ma ritengo di poter credere che il concentrarsi dei saloon nei quartieri dove esistono le peggiori condizioni abitative sia più di una semplice coincidenza. I più sovraffollati quartieri di New York sono anche l’incontrastato regno dei liquori. Alcuni anni fa la Church Temperance Society pubblicava una mappa con riportati 148 saloon tutti dentro uno spazio lungo poco più di 500 metri e largo poco meno di 400. L’intera St. Giles Ward a Edimburgo comprende 127 locali in cui si serve da bere contro 234 esercizi alimentari. Forse un criterio comparativo di questa differenza di clientela è che l’affitto nel secondo caso corrisponde all’80% del primo. Il settore urbano contiene un undicesimo della popolazione totale della città, ma pesa per un terzo sulla criminalità. A dispetto del fatto che il 17% della superficie è a verde, il tasso di mortalità resta del 40% più elevato che nel resto della città. A Glasgow il notorio Sanitary District 14, con la più elevata densità di abitanti/stanza, il più alto tasso di mortalità al di sotto dei cinque anni, e di morti prima di raggiungere un anno di vita, la maggiore quantità di denunce all’Ufficio Igiene, la più alta quantità di persone che non pagano né tributi locali né tassa scolastica – che sarebbero obbligati a pagare dalla legge – comprende 43 locali di mescita contro 104 negozi alimentari, con gli affitti e l’orientamento largamente sbilanciati verso il primo tipo.
C’è poi l’aspetto morale. Abitare in promiscuità dentro alveari umani rende impossibile intimità e indipendenza familiare, distrugge modestia e cura personali. Dentro questo generale ammassarci come animali qualunque membro della famiglia sin dalla più tenera infanzia, diventa facile preda di forze che lo trascinano in basso. Immagini e suoni malsani si imprimono nella memoria dei bambini mettendo rapidamente fine all’infanzia. L’esuberanza della gioventù, quando non trova nessuna possibilità di sfogo dentro casa, viene avvelenata dalla strada. I tassi di mortalità sono un criterio vago di lettura dei mali connessi all’abitare nel tugurio. Perché non esiste morte peggiore di quella della virtù, il crollo degli ideali, lo spegnersi degli alti desideri nell’anima.
A New York ci sono state diverse inchieste, sia pubbliche che private, sulla situazione delle case d’affitto. La prima nel 1846. Un’altra nel 1856 poi nel 1867, nel 1884, e nel 1894. Credo sia anche giusto ammettere come ciascuna, in misura maggiore o minore, abbia lasciato dei risultati. Non fosse stato per la maggiore consapevolezza da parte del pubblico, delle migliorie introdotte nelle norme grazie all’opinione pubblica, la situazione oggi sarebbe anche peggiore di quella che è. Ma credo anche che tutto l’impegno profuso sinora, e la necessità di proteggere la cittadinanza, troveranno ancora più ampia diffusione dopo la Tenement House Exhibition e le informazioni presentate.
La Mostra comprendeva una serie di modelli di complessi di abitazione, buoni e meno buoni; oltre 1.100 fotografie, a illustrare ciascun aspetto del problema abitativo con particolare riguardo a New York; mappe, schemi, tabelle statistiche, specie sui risultati ottenuti nel mondo dai progetti pilota di nuove case economiche, alloggi suburbani, pensionati, la situazione sanitaria ed economica, servizi aggiuntivi dai parchi, ai bagni pubblici e campi da gioco, oltre a 200 progetti urbani di varie dimensioni. Tra le cose a mio parere più interessanti da un certo punto di vista, la ricostruzione di un isolato esistente a New York, quelle definito dalle vie Bayard, Canal, Chrystie, Forsyth, nelle condizioni in cui era al primo gennaio 1900.
Non si tratta della peggiore situazione della città, ma è stata scelta perché propone una notevole varietà di condizioni. Si compone di 39 diversi edifici in affitto, per un totale di 605 appartamenti, abitati da 2.781 persone, di cui 466 bambini sotto i cinque anni di età. Nell’intero isolato non esiste un bagno, solo 40 appartamenti hanno l’acqua calda. I gabinetti sono comuni. Sono 441 le stanze prive di finestre e ventilazione diretta dall’esterno, e nessun soleggiamento salvo quello che riesce a entrare dalla stanza accanto. E 635 locali ricevono luce e aria esclusivamente da chiostrini bui e profondi. Dieci degli edifici sono completamente interni all’isolato. Gli affitti che rende il tutto, compresi quelli delle botteghe, ammontano a 114.000 dollari l’anno. In un altro isolato, definito dalla Sessantunesima e Sessantaduesima Oves, da Amsterdam Avenue e West End Avenue, di cui non era esposto il modello, costituito dalle cosiddette case double-decker ( 1 ), vivono ammucchiate 4.000 persone. Meno della metà delle stanze è dotata di finestre sull’esterno. Nessun bagno, salvo sei famiglie in due edifici che se lo sono installato privatamente, altre 800 ne sono prive.
In netto contrasto con questi tenebrosi opprimenti alveari umani, vengono proposti i disegni degli edifici realizzati solo a poche decine di metri di distanza dalla City and Suburban Homes Company, la principale compagnia di costruzione di abitazioni economiche di New York. Il lotto di terreno tipico del modello double-decker è di 7,5 x 30 metri, e l’esperienza insegna come sia praticamente impossibile ottenere risultati soddisfacenti su quelle dimensioni. Il progetto City and Suburban Homes Company ha un affaccio che varia da 15 a 30 metri per una profondità di 30 metri. Al centro di ciascun complesso un cortile di nove metri di lato, a cui se ne aggiunge un altro ogni due complessi più arretrato di circa 6 x 20 metri. Gli appartamenti non sono mai più profondi di due stanze e sono soleggiati e ventilati su due lati. Non esistono locali senza finestre e neppure poco illuminati. Ciascun appartamento è una casa completa, ben diviso dagli altri con pareti insonorizzate, dotato di gabinetto, vasca da bagno, lavandino, acqua calda fornita da un impianto centralizzato, impianto a gas per cucina, stenditoio per panni interno e altro. Scale e atri sono riscaldati a vapore. Ci sono docce al pianterreno e vasche da bagno nel seminterrato, oltre a lavanderia e asciugatori a disposizione degli inquilini. C’è un montacarichi per portare i pesi dalle cantine. Gli edifici sono a prova di incendio.
Gli affitti di questi appartamenti si calcolano in 93 centesimi stanza la settimana. Se la calcoliamo per unità di superficie la pigione non è più alta, forse anche inferiore, a quella dei desolati complessi che abbiamo descritto più sopra. Nei nuovi edifici realizzati dalla City and Suburban Homes Company nello Upper East Side, tutti gli appartamenti sono allacciati al gas e riscaldati a vapore. Si calcola una resa dagli affitti del 5% sull’investimento. Con gli alloggi realizzati in precedenza è stato così e anche coi nuovi appena consegnati si prevede andrà nello stesso modo.
Alcuni anni fa venne fatta una interessante proposta di tipo cooperativo municipale da I. N. Phelps Stokes. Che quando il Comune espropriava qualche isolato per realizzare dei giardini ne cedesse una striscia su entrambi i lati larga 12 metri a una Model Tenement Company, o altri operatori privati, che accettassero di realizzare alloggi in affitto secondo alcune condizioni. Così la profondità massima non avrebbe superato i due locali, con eccellenti risultati in termini di soleggiamento e ventilazione. E all’interno sarebbe restato il giardino accessibile dagli altri due lati dell’isolato. Stokes ha esposto un modello della sua idea alla Mostra. Adottando lo schema la città si arricchirebbe sia di tanti giardini che – cosa forse più importante – di case in affitto molto migliori con la medesima spesa. È difficile contestarne la validità, né si vedono particolari ostacoli alla realizzazione di un progetto tanto raccomandabile.
La mostra propone altri materiali di grande interesse, concepiti per raccontarci how the other half lives [lo riporto in originare perché anticipa alla lettera il titolo della famosa opera di reportage di Jacob Riis di tre lustri più tardi, n.d.t.] e come potrebbero invece vivere. È quasi impossibile pensare che la pubblica opinione possa permettere l’esistenza dei cosiddetti pozzi d’aria, in realtà infernali pertugi da cui di aria quasi non ne passa affatto, larghi meno di un metro, lunghi nove, alti diciotto metri, con affacciate 52 finestre che costituiscono l’unica fonte di luce e aria per delle stanze. Gli affitti per appartamenti da tre stanze, di cui due affacciate esclusivamente sul pozzo, variano da 10,50 dollari a 14 dollari al mese. Il Tenement House Committee ha una offerta economicamente migliore per i suoi progetti innovativi su lotto da 15 x 23 metri e affacci e profondità da 30 metri. Sono già stati presentati 250 progetti con queste caratteristiche, vincitori di premi e che dimostrano i grandi progressi dell’architettura per le case in affitto. Il giudizio è stato calibrato sia sugli aspetti sanitari che su quelli economici. La giuria del concorso ha messo in palio anche un premio speciale per un progetto adatto al classico lotto newyorchese da 7,5 x 30 metri: curiosamente vinto da un progettista francese che non ha mai visto New York. Ma quale dovrebbe essere la posizione delle istituzioni sul problema della casa in affitto?
1. Credo debbano esistere Commissioni di Inchiesta, composte di esperti, che periodicamente — almeno ogni dieci anni — riferiscano sulla situazione delle case in affitto di una certa circoscrizione. Un tema di grave importanza sociale da tenere costantemente all’attenzione dei cittadini. A volte questi rapporti di inchiesta di commissioni tematiche non hanno particolari effetti, ma se esiste un male il modo più efficace per contrastarlo parte dalla consapevolezza. Qualche riforma ne deriva certamente; e se non si risponde ai problemi almeno la pubblica opinione ne è informata. A New York ogni volta che è stata nominata una commissione di questo tipo ne è derivato un utile progresso.
2. Lo Stato dovrebbe imporre un codice di norme sanitarie e edilizie per le case in affitto da applicare specificamente ai grandi centri. Perché può anche darsi che alcuni problemi e squilibri non si presentino nelle case in affitto di Buffalo, ad esempio, come accade a New York coi double-decker; ma ammucchiare persone dentro alloggi inadeguati ha effetti molto simili in entrambe le città. Un codice di norme per le case in affitto deve tutelare dai rischi di incendio, salvaguardare la salute e la morale. Se si vuole addirittura arrivare per legge a proibire la costruzione di questo tipo di alloggi nelle cittadine minori, a mio parere tanto meglio. Anche il tenement migliore non riuscirà mai a offrire le potenzialità abitative della casa individuale.
Un codice di norme per le abitazioni in affitto dovrebbe prevedere regolari ispezioni periodiche nei caseggiati, oltre a quelle episodiche per denuncia. Ispezioni da affidare a personale scelto e numeroso di polizia sanitaria, formato a controlli notturni per prevenire il sovraffollamento. E quando il sovraffollamento lo si verifica come condizione stabile sanzionare come fatto per esempio a Glasgow. Dove una amministrazione illuminata ha adottato un sistema regolare di controlli notturni per le case dove è già stato rilevato sovraffollamento indebito, e le situazioni dove continua subiscono denuncia. Il sistema venne adottato per la prima volta durante una epidemia di febbri tifoidi, e ancora se ne seguono le tracce originali. Certe categorie di inquilini più agiate evitano i caseggiati segnalati e i loro quartieri. Di conseguenza i padroni degli immobili vengono avvisati preventivamente, prima di ufficializzare la segnalazione, così che possano eventualmente salvare il buon nome del fabbricato sfrattando gli inquilini colpevoli del sovraffollamento. Una brutta abitudine che dovrebbe essere considerata un reato e punita in modo esemplare. Chi possiede edifici che ospitano oltre sei famiglie dovrebbe anche essere obbligato a dotarsi di un custode del caseggiato.
La dichiarazione di inadeguatezza e inabitabilità per esseri umani di certi alloggi avviene dopo un avviso per posta alla proprietà o suo rappresentante all’ultimo indirizzo noto, che avvisa dello sgombero almeno ventiquattro ore prima dell’esecuzione. Per rendere più efficace la norma, viene istituito un Registro in cui le proprietà sono tenute ad annotare nominativo e recapito, proprio o del rappresentante, e adeguatamente sanzionate in caso di inadempienza. È stato anche ipotizzato di poter rilasciare una particolare autorizzazione a chi possiede un casamento in affitto, sulla base del fatto che esso potrebbe anche costituire una minaccia alla salute, non solo a chi abita gli alloggi, ma a tutto il quartiere. Anche se le tariffe di questo rilascio di autorizzazione fossero tenute ragionevolmente basse in alcune città si tratterebbe comunque di un notevole gettito, da utilizzarsi poi per intensificare i controlli.
Un buon codice sanitario-edilizio dovrebbe introdurre come requisito minimo la disponibilità di almeno una vasca da bagno o doccia ogni dodici famiglie, posta in spazi separati accessibili a tutti gli inquilini. L’idea secondo cui le classi lavoratrici non apprezzerebbero la pulizia e non sfrutterebbero affatto quei bagni anche se ci fossero, si basa su una scarsa conoscenza delle persone che vivo o nei casamenti in affitto. Come possono testimoniare i proprietari dei nuovi complessi modello, quei bagni vengono invece utilizzati con molta frequenza, e anche pubbliche amministrazioni e associazioni che gestiscono bagni pubblici riferiscono la stessa cosa. Il Tenement House Committee del 1894 rilevava nella propria indagine che, su un totale di 255.033 persone del campione studiato, erano solo 306 quelle che potevano accedere a un bagno dentro la casa abitata; in un’epoca in cui non esistevano bagni pubblici a New York. Il rapporto conclude correttamente che il fatto generale stesso di tutelare la salute e prevenire e curare le malattie ha molto a che fare con questo grave stato di degrado.
3. Un edificio del tipo tenement economico in affitto non dovrebbe avere pozzi di ventilazione e illuminazione più stretti di circa due metri quando lo sviluppo in lunghezza del cortile è di dieci metri. La larghezza poi deve aumentare di venti centimetri per ciascun metro in più di lunghezza. Questo il requisito minimo, ammettendo che in città i lotti sono organizzati su affacci di 7,5 metri per trenta metri di profondità.
4. A livello statale si dovrebbe approvare una legge che consente alle amministrazioni locali di espropriare inderogabilmente gli edifici malsani. L’unica cura al cancro è il bisturi; per sradicare il tugurio non esiste altro metodo se non strapparlo dalle fondamenta. Gli Stati americani sino a tempi recenti non hanno affrontato il problema dello slum in termini radicali come viene fatto in Inghilterra. Chi scrive ha già ribadito l’urgenza fondamentale di una legge di questo tipo di fronte al Tenement House Committee 1894. E più tardi la commissione riuscì a far approvare una norma ispirata proprio alle esperienze inglesi ( 2 ). Nelle procedure di esproprio per giardini lo Stato dovrebbe concedere alle amministrazioni locali di procedere secondo le linee indicate da Mr. Stokes, così come riassunte sopra.
5. Se le amministrazioni locali vengono dotate di questo potere pare non esistere la necessità di un ulteriore impegno diretto nella costruzione e gestione di case pubbliche in affitto di buona qualità. Forse c’è stato un equivoco di interpretazione delle politiche urbane inglesi o scozzesi. Che anche nei casi migliori non intendevano andare oltre «progetti dimostrativi». Nel nostro paese si teme che questo genere di dimostrazioni non costituirebbero un buon esempio. Le politiche americane devono svilupparsi secondo una regolamentazione pubblica, non la proprietà pubblica.
Ma è possibile risolvere il problema del casamento in affitto dentro l’economia corrente e con la salvaguardia di un adeguato codice di norme igienico-edilizie? Dalla risposta a questo quesito dipende il benessere sociale di enormi masse di cittadini, di oggi e ancor più di domani. Il New York Tenement House Committee del 1894 rilevava come nella città la media delle rendite realizzate dalla proprietà di questo tipo di immobili era tra l’8 e il 10 per cento del valore. Certo si può anche contestare la correttezza del calcolo, ma credo che la cifra reale non possa comunque scendere di molto sotto il minimo dell’8%. Casamenti in affitto realizzati e gestiti in modo corretto non arrivano, né a New York né in qualunque grande città, a rendere oltre. Ma nel calcolo si salta però la maggiore regolarità e sicurezza sul lungo periodo di questa rendita. Secondo un principio di concorrenza, un buon alloggio è preferibile a un altro meno buono, e se ben costruito durerà ovviamente anche di più. Quindi, la resa del 5% dei progetti pilota si deve in sostanza portare al livello di quel 7-8% del tenement medio newyorchese. Quei casamenti modello guadagnano oggi e hanno guadagnato in passato in tante città americane ed estere.
Lo confermo documentatamente in uno studio che ho condotto qualche anno fa per conto dello United States Department of Labor. Con un elenco di 49 iniziative sia commerciali che filantropiche, in varie città europee e americane oltre i centomila abitanti. I tassi di dividendi e guadagni netti mostrano che quelle perfettamente in attivo sono l’ 88%; il rimanente si divide tra un 6% di chi ha recuperato l’investimento e gli interessi, un solo 6% che non ci è nemmeno arrivato. Realizzando costruzioni con disponibilità di soleggiamento e ventilazione ben oltre il minimo legale, e con una percentuale di copertura del lotto edificabile dal 50% al 65%. Edifici durevoli; e affitti che in linea generale risultano lievemente inferiori a quelli medi del medesimo tipo di casamenti nel quartiere in cui si localizzano i progetti.
Gli interventi pratici di nell’ambito di questa edilizia innovativa negli Stati Uniti sono ben esemplificati dalla City and Suburban Homes Company di New York, istituita nel 1896 con l’obiettivo di proporre un investimento sicuro di capitali e al tempo stesso realizzare case di qualità rivolte a inquilini lavoratori. Il principio generale su cui si basa l’iniziativa è che la casa sia un problema da risolvere con metodi economici. E che la filantropia non possa fare più di tanto visto che l’ambito è davvero sterminato. Però al tempo stesso che esiste un’area intermedia tra la pura filantropia e il puro business. Chiamiamola se vogliamo filantropia di investimento, ovvero una intenzione benefica che grazie ad una adeguata organizzazione si traduce anche in un certo vantaggio economico per chi ci investe.
Il secondo aspetto di questa iniziativa è il suo carattere popolare, intendendo il termine nella sua accezione più generale. Porre l’investitore in grado di scegliere su un piano di relativa parità, se orientarsi verso qualcosa di socialmente utile, in assoluta sicurezza. E più in particolare pensare agli stessi risparmi delle masse come risorsa da investire a loro diretto vantaggio. Coerentemente, le azioni della compagnia sono fissate a soli 10 dollari ciascuna per attirare persone di mezzi modesti. Costruendosi una base composta dalle masse lavoratrici anziché da ricchi col cuore d’oro, le operazioni della compagni possono poi allargarsi teoricamente all’infinito.
Terzo principio è quello della differenziazione su vari fronti per rispondere a bisogni di varie classi e ceti di lavoratori. Dal parsimonioso artigiano che ha risparmiato poco a poco e il cui reddito è sufficiente ad affrontare mensilmente piccoli versamenti, che però sull’arco di vent’anni ne faranno il proprietario di una confortevole abitazione. Al meno fortunato o fortunata lavoratrice con stipendio più basso, che può abitare in un casamento in affitto decoroso, comodo, che garantisce privacy, igiene e salute, pagando un affitto minimo.
Abbiamo brevemente descritto gli interventi modello realizzati da questa compagnia. Molto positivi anche da un punto di vista finanziario. Con resa del 5% e modesti surplus, mentre tra alloggi non piazzati e arretrati non recuperabili le perdite sono inferiori al 5%. A causa delle abitudini di mobilità della popolazione dei casamenti in affitto di New York, la perdita per alloggi vuoti è molto più elevata di quella dei crediti irrecuperabili. Probabilmente non ha bisogno di alcun commento l’indiscutibile valore di una abitazione suburbana in proprietà per la stabilità sociale. Chiunque la persegua contribuisce molto più che abitando nel migliore casamento modello in affitto. Il proprietario è riflessivo, attento, prudente, orientato all’ordine e razionalmente conservatore, di solito sordo d’orecchio a qualunque insinuante «ismo». La proprietà suburbana è certamente un ambito che val la pena coltivare. Una volta realizzata, con ottimi economici ritorni per chi ci ha investito attraverso i piccoli ma regolari pagamenti mensili dell’acquirente, si è concluso un processo di promozione sociale.
La City and Suburban Homes Company, come spiega già il nome, si dedica alla questione della casa così come si presenta in questa fase. Sta realizzando un attraente complesso di qualità a Homewood, Brooklyn, a quaranta minuti dalla sponda di New York del Ponte. Dove il capofamiglia medio guadagna 1.000-1.500 dollari l’anno, e può permettersi i versamenti mensili per la casa in proprietà, spendendo più o mano quanto pagherebbe per un affitto di un appartamento in città. Viene richiesto un versamento del 10% iniziale, oltre alla stipula di una assicurazione sulla vita; né esistono difficoltà particolari a provvedere identicamente per le incertezze della salute o altri casi della vita. Finanziariamente, senza altro aggravio di spese per l’occupante siamo alla proprietà della casa. Da un punto di cista etico nessuno può mettere in dubbio che i bambini di quelle famiglie cresceranno in un ambiente sicuro e salubre, più di quanto sarebbe avvenuto se i genitori fossero restati inquilini in affitto in un appartamento standard di sei locali in un quartiere della città.
Ma cosa ne potrà essere dei casamenti in affitto già costruiti e non irrimediabilmente malsani, adeguabili in qualche modo a criteri futuri? Credo che il metodo migliore qui sia quello di applicare i sistemi di affitto sperimentati con successo da Octavia Hill e dalla sua associazione a Londra. Con una buona gestione e cura per lo stato dei fabbricati e degli alloggi, è possibile rendere quel tipo case perfettamente abitabili alle popolazioni più povere della città. L’idea centrale della signora Hill è sempre stata quella che devono migliorare insieme le persone e i luoghi dove abitano. Perfettamente condivisibile, e l’esperienza dimostra come nessuno è più capace di ottenere risultati delle donne a cui vengono messe a disposizione adeguata formazione e capacità gestionali, oltre che un atteggiamento propositivo.
Le abitazioni modello si possono utilizzare per i senzatetto di entrambi i sessi. In questo ambito esiste la dimostrazione degli interventi a Londra di Lord Rowton, a Glasgow di Robert Burns, di D. O. Mills a New York, oltre a quelli pubblici municipali di varie città inglesi o scozzesi, che fanno pensare davvero nella loro riuscita come mai non ce ne siano tanti di più. Perché, dato che funzionano, se ne avverte ancora così tanto l’assenza? A mio parere per tre ragioni fondamentali:
In primo luogo, la vera natura della questione delle abitazioni e dei suoi riflessi sul benessere collettivo si sta solo iniziando a comprendere e valutare. Tanti interventi erano in origine essenzialmente filantropici, e così veniva classificato il problema: una cosa caritatevole invece che economica e di gestione.
In secondo luogo, si sta solo iniziando a capire che non si tratta di attività semplicemente solidale, ma di qualcosa di economicamente redditizio.
In terzo luogo, tutta la gestione dei tenement nel passato è avvenuta davvero in un mondo di pessima fama, con operatori che ragionavano solo in termini di sfruttamento e speculazione. Il gestore di saloon, il padrone di laboratori dove si sfruttano gli operai, l’investitore spietato, compaiono così frequentemente nella proprietà di questi fabbricati, anche perché persone dalla condotta più etica e corretta non si sono mai sentite di entrare attivamente nel campo.
Ma con l’inizio dell’attività di nuovi soggetti, che seguono nelle nostre città gli esempi di Londra, con una migliore comprensione del possibile ritorno economico di questi investimenti, oltre alla crescente consapevolezza sociale di poter al tempo stesso trarre vantaggi e fare una cosa utile, il futuro appare certamente promettente.
da: The Quarterly Journal of Economics Vol 14, 1900; Titolo originale: The Housing Problem in Great Cities – Traduzione di Fabrizio Bottini
NOTE
( 1 ) Il modello di alloggi double-decker viene così descritto dalla Tenement House Committee nel suo rapporto del 1894: «Si tratta della forma più brutale di alloggi in affitto. Non ventilati, non soleggiati, non sicuri in caso di incendio. La costruzione avviene su un lotto di 7,5 x 30 metri o meno di profondità, con appartamenti per quattro famiglie a ciascun piano. Ciò comporta la copertura dell’86-90% dell’intera superficie del lotto. Le scale realizzate al centro e le pareti portanti e divisorie riducono ulteriormente la larghezza delle stanze centrali (camere dal letto per almeno due persone ciascuna) a poco più di tre metri, e il pozzo di aria e luce richiesto dalle norme edilizie sulle pareti laterali taglia ancora un po’ di spazio a questi locali. L’illuminazione diretta esiste solo per le stanze affacciate sul fronte e sul retro. Le altre devono accontentarsi di ciò che arriva dagli scuri ingressi, strette chiostrine, stanze posteriori. L’aria attraversa altre stanze o stretti pozzi e arriva viziata. Un edificio di questo genere realizzato su cinque piani contiene appartamenti per 18 -20 famiglie, — una popolazione che spesso raggiunge le 100 persone, e talvolta cresce anche di più se ci aggiungiamo ospiti o inquilini in subaffitto, fino a 150 e oltre». Ogni anno a New York si costruiscono 2.000 edifici del genere.
( 2 ) «Oggi a New York si può procedere ad esproprio da parte del Board of Health, prevedendo un indennizzo alla proprietà. Nell’atto si dovrà dimostrare: —
«1. Che la concessione in affitto dell’edificio era per attività illegali, o per una occupazione sovraffollata al punto da risultare pericolosa e rischiosa alla salute degli abitanti; o
«2. Che l’edificio fosse carente in termini sanitari o di adeguata manutenzione; or
«3. Che l’edificio fosse inadeguato e non adeguabile ad abitazione umana; nel caso poi la commissione giudicante abbia rilevato l’esistenza di questi requisiti, l’indennizzo —
« (a) Sarà nel primo caso, a seconda che si basi sull’affitto, sull’affitto dell’edificio distinto da quello del terreno su cui sorge se fosse stato ottenuto da attività legali, e solo relativamente al numero di persone a cui era affittato senza quei caratteri di sovraffollamento che mettono in pericolo salute e sicurezza; e
« (b) Sarà nel secondo caso, l’ammontare dell’indennizzo, stimato sul valore dell’edificio quando posto in condizioni salubri e accettabile manutenzione, dedotte le spese calcolate per metterlo in tali condizioni;
« (c) Sarà nel terzo caso il valore dei materiali dell’edificio»