Premessa del traduttore
La «morte» dei centri commerciali, più o meno annunciata e auspicata da tanti (per motivi a volte confusi, a volte di più lungimirante contenuto ambientale), è ormai considerata fatto fisiologico, comunemente accettato, con cui le comunità devono in qualche modo imparare a convivere. Resta naturalmente aperto il problema territoriale e socioeconomico di questi vuoti, che nello stesso modo di quelli militari, ferroviari, industriali, possono rappresentare una vera piaga, che trascina nel proprio declino la comunità e il territorio nel suo insieme. Il testo che segue, dell’ormai piuttosto lontano 2001, tocca praticamente per la prima volta il problema, e in modo limitato anche se non ne disconosce esplicitamente la complessità. Si deve alla corrente culturale New Urbanism, che come con il concetto parallelo di smart growth spesso nasconde approcci ideologici, o di comodo, o un marchio come un altro per riverniciare di nuovo pratiche professionali per nulla innovative. Resta però l’interesse che suscita il fatto di affrontare la questione a scala nazionale, identificando piaccia o meno un problema che va oltre qualunque logica locale o di «progetto», richiamando ad altre, più mature riflessioni di carattere sia disciplinare che sociale. Questioni naturalmente colte quando ad affrontarle c’è in un ruolo centrale la pubblica amministrazione: non certo progettisti e men che meno immobiliaristi, per quanto bene intenzionati, che sono pur sempre «operatori commerciali» tanto quanto i negozi in crisi a cui vorrebbero restituire vitalità (Fabrizio Bottini)
I centri commerciali in crisi: un problema nazionale
I centri commerciali obsolescenti punteggiano il panorama urbano d’America. Per trovarli non ci vuole un’abilità particolare. Un parcheggio recintato ne tradisce la presenza. Le vendite di auto usate nel fine settimana sono un forte indizio. Le vetrine dei negozi trasformate in centri di attivismo politico comunitario e ambulatori, sono chiari segnali. Proprietari immobiliari, affittuari e investitori sono consapevoli del proprio declino. I vicini, ex commercianti, ex dipendenti, lo sanno. Chi governa la città, i rappresentanti dei cittadini, lo sanno. Ma non è che, semplicemente conoscendo il problema, conoscano anche la soluzione.
Il Congress for the New Urbanism (CNU) vede molti di questi centri commerciali come luoghi ideali per insediamenti a usi misti, orientati ad una mobilità servita dal trasporto pubblico. Alcuni di essi non sono più adatti alla distribuzione commerciale a scala regionale. Ma molti sono ben dotati delle caratteristiche di un sito a insediamento new urbanist, che comprenda abitazioni, commercio, uffici, servizi, spazi pubblici.
Will Fleissig, un costruttore della Continuum Partners di Denver, di recente ha riconvgertitio la “zona grigia” del centro commerciale Villa Italia di Lakewood, Colorado. Fleissig afferma: “Sentiamo tanto parlare di edificazione nelle zone già urbanizzate (infill n.d.t.), di smart growth, sobborghi di prima fascia, insediamenti orientati a trasporto pubblico, e di sprawl. Se guardate ad un quadro più ampio, si tratta della principale questione d’America, oggi. Abbiamo bisogno di costruire quartieri migliori dentro le città, vicino ai mezzi di trasporto pubblici. Queste “zone grigie” sono la prima ondata di una grande quantità di terreni disponibili nelle comunità esistenti, vicino ai trasporti, dotati di servizi, con un potenziale per maggior densità”.
In questa relazione si usa il termine “zone grigie” (greyfields n.d.t.) per descrivere aree commerciali che necessitano di un significativo intervento pubblico e privato per arrestare il declino. Più noti sono i brownfields (siti urbani contaminati) e i greenfields (aree rurali inedificate). Al contrario, le zone grigie sono aree edificate, fisicamente ed economicamente mature per importanti ristrutturazioni.
In mancanza di positivi interventi di rivitalizzazione, il valore dei centri commerciali “zona grigia” si riduce a quello del suolo, meno quello di demolizione degli edifici. Ci sono siti che hanno già raggiunto questo stadio, con gravi ripercussioni sull’economia e sulla comunità, in tutto il paese. Per una comunità locale, una zona grigia è più di un’immagine di degrado. Significa una perdita di base fiscale, perdita di opportunità di lavoro, aree di valore inutilizzate. La serietà dei danni di questo degrado è stata messa in luce quando il Daily Camera di Boulder, Colorado, ha votato la propria “storia dell’anno” per il 2000: il declino del Crossroads Mall. Gli sforzi in sede locale per rivitalizzare zone commerciali deboli o in decadenza sono piuttosto frequenti. Alcuni hanno avuto successo, altri no. Il CNU sta conducendo un’analisi a livello nazionale su come rivitalizzare queste aree, così che possano fornire risorse a comunità e proprietari. L’obiettivo, detto in poche parole, è quello di trasformare le «zone grigie» in miniere d’oro [come recita letteralmente il titolo originale n.d.t.] .
Il New Urbanism e i centri commerciali
Il Congress for New Urbanism ha da molto tempo un interesse particolare per i centri commerciali “zone grigie”.
Dal 1989 al 1996, i new urbanists hanno contribuito a fare del centro Minzer Park di Boca Raton, Florida, da lungo tempo in decadenza, un insediamento a usi misti finanziariamente riuscito. A metà anni Novanta, un altro gruppo new urbanist ha redatto un piano per lo Eastgate Mall di Chattanooga, Tennessee. Ora è in corso di realizzazione, ed è diventato una delle cose di cui gli abitanti di Chattanooga sono più orgogliosi.
Lo scorso anno, altri centri commerciali regionali in tutto il paese hanno visto operare il new urbanism: Cinderella City a Englewood, Colorado; Plaza Pasadena a Pasadena, California; Town & Country a San Jose, California. Altri casi in cui si sono considerate le suggestioni new urbanism sono il Parole Plaza nei pressi di Annapolis, Maryland; Bannister Mall a Kansas City, Missouri; South Square Mall a Durham, North Carolina.
Altri attendono. La PricewaterhouseCoopers (PWC) stima per difetto che ci siano almeno 140 centri commerciali di scala regionale negli Stati Uniti, che sono già “zone grigie”, e altri 200-250 che si stanno avvicinando a questa condizione. Nel complesso, queste due categorie rappresentano il 18% di tutti i centri commerciali regionali a scala nazionale.
Lo Studio
Il CNU ha cominciato il suo studio dei centri commerciali “zone grigie” all’inizio del 2000. L’indagine contava su vari contributi:
- La Graduate School of Design della Harvard University ha sostenuto uno studio, condotto da Will Fleissig del CNU e dal professor Richard Peiser. Questo studio in primo luogo ha progettato riconversioni di centri “zona grigia”, e poi condotto analisi di fattibilità per determinare se il new urbanism “usciva dal seminato”.
- La PWC ha collaborato col CNU fornendo un esame del quadro generale commerciale. I risultati dello studio PWC sono contenuti nel rapporto Greyfield Regional Mall Study, disponibile al CNU.
- Lo International Council for Shopping Centers ha criticato il lavoro di PWC, portando a miglioramenti nella metodologia di analisi.
Lo studio PWC si concentra sui centri commerciali regionali, e non prende in considerazione i molti altri tipi di proprietà commerciali che pongono problemi simili di ristrutturazione. La CNU si focalizza sulla scala regionale perché questi siti – con almeno 35.000 metri quadrati di spazio commerciale affittabile e un minimo di 35 negozi – hanno effetti particolarmente gravi quando entrano in declino, offrendo contemporaneamente una particolarissima opportunità per il riuso.
Caratteristiche delle “zone grigie”
Le caratteristiche dei centri commerciali in crisi citati qui si basano sui dati delle analisi PWC. La PWC ha calcolato che le zone grigie hanno una dimensione media di poco più di 20 ettari. In particolare, questi siti sono sia più piccoli che meno collegati ai sistemi di trasporto regionali, di quelli che ospitano i centri commerciali di maggior successo della nazione, che hanno dimensione media di oltre 35 ettari, visibilità dall’autostrada e accesso diretto dalla rampa d’uscita. Molte zone grigie sono localizzate entro quartieri e zone commerciali consolidate. Will Fleissig, un costruttore che recentemente ha riconvertito un greyfield in Colorado a centro città a usi misti, afferma: “Questi centri commerciali tendono a stare su arterie suburbane con servizio di autobus. Molti sono già stazioni di interscambio di autobus”.
La PWC ha rilevato che l’obsolescenza dei centri commerciali è connessa al formidabile livello di concorrenza. In media, i centri in crisi hanno 230.000 metri quadrati di spazio commerciale in competizione in 22 altri centri (compresi quelli di quartiere e urbani, oltre ad altri malls regionali) nel raggio di otto chilometri. Molti stanno dentro bacini commerciali dominati da formati più recenti e operatori di maggiori dimensioni. Sono spesso più vecchi e piccoli di quelli di maggior successo nella regione.
Mark Eppli, un ricercatore in campo commerciale alla George Washington University di Washington, D.C., afferma che le forme di rinnovamento convenzionali non sono sufficienti a dare una boccata di nuova vita per molti insediamenti: “Una plastica facciale non aiuta gran che. Anche un nuovo negozio anchor, a seconda della posizione di mercato del centro, può non servire”.
C’è bisogno di nuovi modelli di riuso: modelli che vadano oltre la plastica facciale e il tradizionale commercio regionale.
Modelli di riuso
Se i classici centri commerciali “zona grigia” sono ormai inadeguati agli standards attuali, essi generalmente offrono la superficie necessaria per creare progetti insediativi integrati, utilizzando i principi del new urbanism. In quanto localizzazioni commerciali, questi siti possono soffrire l’eccessiva distanza dalle autostrade. Ma una posizione del genere può essere vantaggiosa in un riuso new urbanism. Offre la possibilità di integrare le varie attività entro un contesto di quartiere.
Victor Dover, un architetto che ha lavorato in parecchie rivitalizzazioni new urbanism di centri commerciali, dice che questo approccio spesso è la soluzione migliore. “Qualche volta il centro commerciale va in crisi perché ha perso la propria ragion d’essere economica. Ma quasi ogni comunità ha dei bisogni. Smettiamo di pensare a questi siti come a zone commerciali fallite, e iniziamo a considerarli aree a potenziali usi misti”.
Le comunità lungimiranti, in presenza di zone grigie, stanno costruendo e sperimentando nuovi modelli di riuso. Modelli di cui ci sarà necessità urgente, visto che la dismissione dei centri commerciali è una tendenza in crescita: PWC identifica oltre 200 malls possibili candidati “zona grigia”. Se molti altri centri commerciali ben gestiti prosperano, altri non sfuggiranno all’obsolescenza. Le zone grigie saranno un problema costante, strettamente legato alla pratica contemporanea dell’insediamento commerciale per malls. Con l’emergere di nuove tendenze, e lo spostamento “verso l’alto” dei nuovi insediamenti, i siti più vulnerabili sono spinti al declino. Il rinnovamento riuscito di un centro commerciale può causare la crisi di molti altri, più vecchi, entro il bacino di utenza.
I proprietari di malls hanno tentato molte tecniche di rivitalizzazione della vivacità economica dei loro immobili. La maggior parte dei centri, semplicemente, si espande, si ridecora, attira un nuovo negozio anchor. Alcuni centri commerciali si sono convertiti a uffici secondari, o centri di elaborazione dati. In questi casi, la comunità ospite ha perso la funzione civica precedentemente offerta dal mall. Più importante, né l’ampliamento né la conversione in uffici sfociano nel fornire l’area di una combinazione di residenza, commercio, terziario, e spazi pubblici che i cittadini e i loro rappresentanti desiderano.
I principi per creare ambienti new urbanism comprendono:
Ri-orientare le varie attività del sito ad un affaccio sulla strada.
Ristrutturare il sistema stradale di connessione con il quartiere circostante.
Utilizzare la progettazione urbanistica ed elementi architettonici per rendere il mall ristrutturato parte integrante della comunità.
Enfatizzare il ruolo di uso comune dello spazio pubblico.
Fornire una ampia scelta di tipi residenziali, offrendo case per abitanti di tutte le età e livelli di reddito.
Ulteriori approfondimenti
Il CNU sta continuando i propri studi e ricerche sulle “zone grigie”. Continueremo a sollecitare la partecipazione sia di esperti che di operatori del settore, a migliorare la qualità e importanza del nostro lavoro. La CNU è l’unica organizzazione finalizzata al miglioramento dei centri commerciali decaduti, sia dal punto di vista finanziario, sia per la loro capacità di perseguire più ampi fini sociali.
La prossima pubblicazione del CNU sul tema sarà un catalogo di esperimenti riusciti di rivitalizzazione new urbanist. Continueremo anche i nostri sforzi per analizzare le cause del declino dei malls, e dei catalizzatori di rivitalizzazione.
(Una breve rassegna di principi generali)
Il New Urbanism per le zone grigie: i siti dei centri commerciali abbandonati aiutano a invertire la tendenza allo sprawl urbano
- I centri commerciali riassumono un panorama dominato dall’automobile. Negozi circondati da parcheggi, anziché da quartieri, erano inconcepibili prima che l’uso dell’automobile diventasse diffuso ovunque. Ora, queste strutture che hanno aiutato la diffusione della cultura automobilistica stanno raggiungendo la fine di un ciclo, e offrono un’opportunità unica per invertire la tendenza allo sprawl urbano, creando veri quartieri fra sobborghi sparpagliati e città sdentate.
- Le zone grigie sono fra le migliori opportunità d’America per realizzare insediamenti in area urbanizzata (infill n.d.t.) orientati al trasporto pubblico. Al contrario del classico insediamento suburbano, i quartieri new urbanism sono abbastanza flessibili per rispondere a numerosi bisogni della comunità. Possono contenere abitazioni per residenti a redditi differenziati, posti di lavoro, commercio, spazi pubblici, e altre attività essenziali per un’alta qualità di vita.
- Si tratta di aree di dimensione sufficiente. La maggior parte dei terreni edificabili disponibili nelle città e piccoli centri sono troppo piccoli per giustificare l’aumentato rischio e costo della urbanizzazione infill. Sono anche troppo piccoli per contenere progetti insediativi di scala sufficiente ad offrire reali benefici per la comunità. Spazi più grandi, come le zone grigie dei centri commerciali spalmano il costo di urbanizzazione e consentono progetti che comprendono tutti gli aspetti dei principi new urbanism.
- Accessibilità via mezzi pubblici. Amministratori pubblici e abitanti, sono interessati alla realizzazione di nuovi insediamenti orientati al trasporto collettivo che includano abitazioni, negozi, posti di lavoro, scuole. Molte zone grigie sono lungo linee di trasporto pubblico, a molte hanno addirittura stazioni di interscambio al proprio interno. Ancora più fondamentale, la realizzazione di nuovi centri di attività sui siti di shopping malls decaduti, concentra in sé sufficienti origini e destinazioni di traffico da sostenere il servizio di trasporto pubblico.
- Abitazioni per redditi misti. L’accesso all’abitazione è un problema grave in molte aree metropolitane. Ma la realizzazione di residenze per redditi misti ad alta densità nel quartieri esistenti è spesso difficile, perché gli abitanti si oppongono ai progetti e gli spazi sono di solito troppo piccoli per realizzazioni di qualche significato. Le zone grigie sono ampie a sufficienza per contenere un quartiere interamente nuovo, fornendo una opportunità di realizzare abitazioni per redditi misti di alta qualità, che beneficiano dell’ambiente circostante.
- Spazio civico. Spazi pubblici attrattivi e ampi, sono tristemente scarsi in molti sobborghi. Gli insediamenti new urbanism forniscono spazi pubblici per quei momenti importanti, quando non si è al lavoro né a casa. Spazi che hanno dato al new urbanism la sua reputazione di “architettura della comunità”.
Titolo originale Greyfields into Goldfields: from Failing Shopping Centers to Great Neighborhoods – traduzione di Fabrizio Bottini
Sfogliando il tag «Shopping Mall» al link in fondo alla pagina si trovano anche gli estratti dal libro I Nuovi Territori del Commercio in cui questo medesimo saggio viene ricontestualizzato anche nel territorio italiano