Quando alla fine del secolo scorso l’urbanesimo dilagante pose il problema di una disciplina dell’ampliamento delle città, nacquero le prime teorie urbanistiche moderne. Contro gli schemi isotropi, per anelli concentrici, dei vecchi piani si cominciò allora a sostenere la necessità di un frazionamento della massa urbana Lo sviluppo dei mezzi di trasporto rapido suggerì e facilitò l’espansione per elementi satelliti staccati. Nella città-giardino- secondo la teoria di Howard – si sarebbe realizzato il connubio tra città e campagna, tra salubrità rustica e organizzata convivenza sociale: si sarebbe soddisfatta la tendenza centrifuga della popolazione e arrestato il moto centripeto dell’urbanesimo. Il principio della «città in estensione» che dalla città-giardino si genera, trovò risonanza in tutto il mondo e terreno particolarmente fertile in Gran Bretagna e USA. Ad esso si contrapposero più tardi in Europa le «città in altezza» di Le Corbusier, Hilberseimer, Lurçat; mentre in Spagna e Russia si studiavano «città lineari» e «città sociali». Concetti diversi sono stati quindi sostenuti negli ultimi cinquant’anni, ma tutti hanno avuto in comune il senso di alcune esigenze insopprimibili nella nuova urbanistica, e cioè:
– necessità di una «zonizzazione», ossia di una chiara netta distinzione funzionale delle varie parti componenti la città;
– necessità di migliorare le condizioni igieniche e sociali degli aggregati urbani;
– necessità di adattare le vie di comunicazione alle nuove possibilità e alle vere esigenze del traffico.
Di fronte però a una troppo lenta convergenza di aspirazioni e realtà, e più ancora di fronte a una pratica impossibilità di modificare radicalmente nel senso voluto dai teorici la situazione di quelle città che per lungo processo storico si sono cristallizzate in forme difficilmente mutabili, si è venuta lentamente maturando una tendenza, di la teoria americana della «neighborhood unit» ci sembra la più elaborata espressione. Astenendosi dalla più generale questione di sviluppo in altezza o sviluppo in estensione, e pretendendo adattarsi al caso concreto, essa si introduce nello stadio urbanistico della zonizzazione e vuole suggerire il metodo per soddisfare quelle esigenze di cui abbiamo sopra parlato, in tutte le zone residenziali di un aggregato urbano, siano esse centrali, periferiche o extraurbane. Il sistema molecolare, cellulare delle units non pretende quindi di estendersi a tutto il complesso cittadino. La città sarà composta di zone commerciali, industriali, sportive, ecc.; oltre che di quartieri residenziali, organizzati secondo i principi che verranno esposti e limitati nell’applicazione alle zone non costruite intorno all’orlo urbano e alle zone centrali in stato di abbandono (bassifondi o «slums»). Ci saranno poi ancora aree irregolari, di risulta, create da autostrade, ferrovie, fiumi, parchi. Esse avranno dimensioni e ubicazione tali da non ammettere la formazione di unità-quartiere.
La teoria della «neighborhood unit» fu esposta per la prima volta in una delle tre monografie che formarono il volume VII «Neigborhood and Community Planning» della Regional Survey of New York and its Environs, edito nel 1929 dal Regional Plan della Metropoli americana. (La Regional Survey, ossia 1’indagine sulle industrie, popolazione, strade, trasporti, zone verdi, estesa a una zona di 50 miglia di raggio intorno alla città di New York, è stata iniziata nel 1921 e conclusa dopo sette anni di lavoro con la pubblicazione di otto volumi di grosso formato). Sostenitore della «neighborhood unit» fu allora Clarence Arthur Perry della Russell Sage Foundation. Molti particolari del progetto furono suggeriti all’autore dall’esperienza della sua vita a Forest Hills Gardens, quartiere costruito nel 1910 a Long Island a pochi chilometri dal cuore di New York, dalla stessa Russell Sage Foundation. Radici antiche ha quindi la teoria della «neighborhood unit» che, ripresa dal Perry bel 1933 e presentata bel volume intitolato «The rebuilding of blighted areas» a cura della Regional Plan Association, fu trovata deficiente e inattuabile dagli uomini di legge.
Vediamo cosa gli esperti legali rimproveravano al Perry nel 1933. La «neighborhood unit» è la unità-quartiere residenziale destinata ad accogliere quella popolazione che normalmente alimenta una pubblica scuola primaria, e si compone di norma dei seguenti elementi costitutivi:
– scuola elementare;
– abitazioni;
– negozi di vendita al dettaglio, in numero proporzionato alla popolazione residente;
– spazi verdi e campi da giuoco per la gioventù.
A questo nucleo potranno aggiungersi edifici di vita collettiva; cinema-teatro, sale di riunione, biblioteca succursale, chiesa (o chiese), palestra e piscina. La «unit» potrà avere due tipi fondamentali:
– a case singole, per una sola famiglia (tipo estensivo);
– a case ad appartamenti, su molti piani (tipo intensivo)
Il Perry si dichiara favorevole al primo, ma riconosce la frequente necessità del secondo tipo, specialmente là dove esigenze economiche (cioè costo dei terreni) richiedono una maggiore densità di popolazione. Ora, se si pensa che la capacità ideale di una scuola elementare é di 1000-1600 allievi (mentre in pratica le variazioni sono tra un minima di 500 nei piccoli centri, e un massimo di 2.500 in città come New York) e che il rapporto tra popolazione scolastica e popolazione totale è molto variabile negli State Uniti, si può calcolare approssimativamente che la popolazione totale di una «neighborhood unit» varierò tra 3.000 e 10.000 persone. L’area corrispondente sarà tra i 40 e i 70 ettari: ossia un’area considerevole che il più delle volte corrisponde a numerose proprietà fondiarie (nel caso di nuovi quartieri) o edilizie (nel case di bassifondi da trasformare o risanare).
Nelle esistenti condizioni di suddivisione del terreno si incontrano insormontabili difficoltà di attuazione del piano qualora si voglia procedere mediante accordi privati. Siccome però nella progettazione dell’intero quartiere occorre non tener condo dei singoli confini di proprietà originari, il Perry fu costretto a studiare e additare una procedura legale per riunire i vari appezzamenti di terreno e quindi sottoporli nel loro complesso al piano urbanistico: e cioè una procedura che muovesse dal principio di espropriabilità. È in questo metodo, che necessariamente aveva bisogno di rompere la tradizionale indipendenza della proprietà immobiliare americana, mediante nuove leggi e nuove attribuzioni delle amministrazioni comunali, è in questo metodo che gli esperti di leggi trovarono debole la teoria della «neighborhood unit» e la dichiararono inattuabile nel 1933. Il Perry proseguì i suoi studi dedicandosi alla ricerca di una procedura legale integrativa e riespresse la teoria nel libro Housing for the Machine Age pubblicato calla Russell Sage Foundation nel 1939. Tenteremo qui di riassumere i risultati degli studi del Perry.
Converrà forse premettere che i due casi su menzionati, quartieri a case singole e quartieri a case multifamiliari alte, presentano negli S.U. difficoltà di attuazione diverse. La creazione di quartieri ad abitazioni individuali è meglio compresa dall’opinione pubblica americana; essa avviene per lo più in zone periferiche o di nuovo sviluppo ove la proprietà è meno suddivisa; è più facile in definitiva perché più facile é la lottizzazione e la equa ridistribuzione dei nuovi lotti fra i vecchi proprietari. Il modo di migliorare le zone del centro cittadino mediante ricostruzione degli «slums» è invece molto controverso e quindi di più difficile attuazione. Lo sforzo del Perry sarà diretto quindi ad illustrate con esempi molto più numerosi questo aspetto del suo metodo.
Come è nata l’esigenza della «neighborhood unit», ossia di un quartiere residenziale che sia completo fin dalla nascita di scuole, negozi, campi da giuoco, eccetera? Se osserviamo le città esistenti ci accorgiamo di numerose notevoli deficienze degli attuali organismi urbani. Accade talora che l’appetibilità di un quartiere vada declinando molto prima she le singole case comincino a rovinare: ciò influisce sul valore delle abitazioni, il proprietario può tenerle affittate solo abbassando progressivamente il canone; le famiglie residenti tendono a cambiare appartamento spostandosi in nuovi quartieri. Il singolo non può far nulla per porre rimedio al progressivo abbandono del quartiere. Dove si dirigono le famiglie che lasciano le zone centrali in decadenza? Esse tendono a crearsi una casa confortevole (con un tratto di giardino intorno) nei quartieri esterni se non addirittura oltre i limiti cittadini.
Occorrerà allora costruire strade tunnels ponti per facilitate la loro vita. Scuole, impianti di fognatura, strade, stazioni di polizia e vigili del fuoco, restano nelle zone abbandonate e debbono esservi mantenute. Altri impianti del genere debbono essere installati nei nuovi quartieri con una spesa deficitaria che si riversa sui contribuenti alle tasse. Il lavoratore spreca un terzo del suo tempo libero in viaggi lunghi e scomodi. Il vantaggio dei valori terrieri dei nuovi quartieri è illusorio ed è superato dal deprezzamento di più redditizie proprietà che si unisce al deficit causato dalle spese stradali. Nella maggior parte delle città americane si verificavano, prima della guerra, tremendi crolli dei valori terrieri a cause del moto centrifugo della popolazione. Per quali motivi la popolazione abbandona il centro delle città?
Da un esame della routine giornaliera di una famiglia ci si accorge che questa é influenzata dall’aspetto e dall’uso degli edifici adiacenti; dalla posizione delle scuole pubbliche, dai negozi al dettaglio, dai giardini e campi da giuoco e dalle condizioni del traffico che bisogna affrontare. Ma nei quartieri interni le scuole sono troppo lontane dalle abitazioni, senza aria, luce, verde intorno, i negozi non si trovano sul percorso normale degli abitanti da e per i luoghi di lavoro, mancano gli spazi liberi per la ricreazione dei fanciulli, che sono quindi portati a stazionare per i loro giuochi in strade malsane e pericolose per il traffico che le percorre, o costretti a lunghi percorsi per raggiungere i grandi parchi cittadini lontani dalla sorveglianza dell’occhio materno. Nelle grandi case ad appartamenti non esistono le condizioni che creano l’amicizia del vicinato. Mancano le possibilità di incontri e quindi lo stimolo a forme di vita collettiva; capita di frequente che i vicini, gli stessi abitanti dello stesso tetto non si conoscano. Essi vivono in una atmosfera di anonimità, ostile alla vita di buon vicinato. Ecco i principali motivi del moto centrifugo della popolazione.
Perché l’inconveniente non si ripeta, bisogna allora dare non solo nuove case, ma nuove case in un ambiente adatto al più opportuno sviluppo della vita familiare. E ciò per il Perry è possibile tanto mediante la creazione di nuovi quartieri periferici, quanto con la trasformazione e valorizzazione dei quartieri urbani interni oggi occupati dagli «slums». Una volta accettata l’esigenza, vediamo come si organizza nel miglior modo il quartiere residenziale. La «neighborhood unit» riposa su sei principi relativi alle dimensioni, ai confini, agli spazi liberi, ai locali pubblici, ai negozi di uso locale, al sistema stradale interno.
Dimensioni
Una volta fissato il punto di partenza che é quello di alloggiare in una «unit» il numero di famiglie che abbisognano di una scuola elementare, le dimensioni della superficie occorrente dipendono dalla densità di popolamento. Si é già visto che la popolazione residente varierà tra le 3.000 e le 10.000 anime. Supposto allora un quartiere di 6.400 persone e una densità di 100 abitanti per ettaro, l’area risultante necessaria sarà di 64 ha, (pari a 160 acri), che – supposta quadrata – dà un lato di 800 m. (mezzo miglio circa). Sembra questa, o altra di poco superiore, la dimensione massima accettabile. Le esigenze della collettività infatti impongono che:
– i bambini per andare a scuola non facciano più di mezzo miglio;
– i negozi stiano dentro un raggio di mezzo miglio dalle abitazioni;
– i campi da gioco non distino più di un quarto di miglio dalle abitazioni, perché questo é il massimo percorso ammissibile per molti bimbi.
Ciò significa che qualora si abbia una popolazione compresa tra i 6.400 e i 10.000 abitanti la densità deve crescere perché si ottengano buoni risultati funzionali. C’è d’altro canto da osservare che in ogni caso perché il quartiere non sia economicamente sballato, la sua densità non deve scendere al di sotto di un minima che può fissarsi in 55 ab. ha.
Confini
La «unità» deve essere interamente circondata da strade per il traffico di transito. Lo scopo è duplice: impedire al traffico di resecare il quartiere; isolare questo come entità distinta a sé stante.
Spazi liberi
Va previsto un sistema di giardini e spazi liberi per la ricreazione della collettività. Pochi centimetri tolti a ciascun lotto e riuniti per fare un campo da gioco diventano utile a tutti i proprietari senza perdite considerevoli. Del resto quel che si perde in spazi ricreativi si riguadagna nel quartiere gerarchizzando le strade e riducendo gli sprechi che solitamente avvengono nella rete stradale a maglia rettangolare. La superficie da destinarsi a ricreazione e giardini può calcolarsi pari al 10% dell’area totale nel quartieri suburbani a case singole e sarà ripartita come appresso nel caso di terreni di 64 ha:
Terreno della scuola (edificio con giardino ha.1,2
Campi da gioco (uno per ragazzi, uno per ragazze) ha. 2,20
Campi da tennis (12 giochi) ha. 0,9
Piazzale comune ha. 0,9
Piccoli parchi-giardino ha. 1,2
TOTALE ha. 6.4
E nel caso di quartieri con case ad appartamenti la superficie sarà pari al 6,25%, così ripartita:
Campi da gioco per piccoli, presso la scuola ha. 0,4
Campi da gioco per grandicelli ha. 0,8
Campi da baseball e football ha. 1,2
Campi da hockey per ragazze ha. 0,53
Scuola e gardinaggi ha. 1,07
TOTALE ha. 4,00
Edifici pubblici
La scuola dovrà occupare una posizione centrale e ad essa è bene che vadano annessi (o siano adiacenti) il luogo delle riunioni, il club, l’auditorium, palestra e piscina, organizzati in modo che l’attività infantile non interferisca con quella serale degli adulti. L’eventuale chiesa e il cinema vanno invece posti vicino agli incroci stradali perché sono edifici che richiamano pubblico esterno che non deve invadere il quartiere.
Negozi
Uno o più gruppi di negozi, proporzionati alla popolazione, troveranno posto ai margini dell’area, preferibilmente agli incroci del traffico e vicini ai negozi delle collettività adiacenti. È difficile proporzionare il numero dei negozi agli abitanti. L’Autore in base ai risultati di tre indagini condotte sull’argomento dal Regional Plan of New York, da Stein e Bauer (Clarence S. Stein e Catherine Bauer, «Store Buildings and Neighborhood Shopping Centers» in Architectural Record, febbraio 1934) e dallo Schultz (Carlton Schultz, «Community Planning: Number of Stores» in Real Estate Record, 16 gennaio 1937), ritiene di poter fissare come buono il rapports di un negozio di 25 piedi (metri 7,60) di fronte per ogni cento abitanti. Non si avevano però sino al 1939 dati scientifici né quella efficiente esperienza che potrebbe essere invece esattamente fornita dalla applicazione della «neighborhood unit».
I negozi non vanno posti al centro del quartiere perché:
non c’è spazio sufficiente
non si vuole al centro del quartiere traffico di autocarri e automobili
non è bene intaccare il carattere residenziale;
essi non si troverebbero sulla via del lavoratore che esce o torna a casa.
Il sistema delle strade interne
La rete stradale deve essere progettata in maniera da facilitate la circolazione interna e da scoraggiare l’uso di essa da parte del traffico di transito. Da uno studio attento dei movimenti quotidiani dei residenti si può giungere a uno schema della viabilità interna che – abbandonando la maglia reticolare, irrazionale per lunghezza di percorsi e spreco di strade – tenga conto dei punti nevralgici: incroci del traffico, zona degli affari, centro civico dove è posta la scuola; e proporzioni le strade interne al flusso dei soli residenti che le percorrono.
Si é già detto come le maggiori obiezioni alla «unit» si possono sollevare quando so prendano in considerazione le possibilità di attuazione del piano. Nella «neighborhood unit» dovrebbero incontrarsi e conciliarsi le esigenze economiche e quelle sociali della collettività. Le maggiori spese che la realizzazione di simili quartieri comporta debbono e possono essere compensate da una produzione edilizia che abbandoni i metodi artigianali fin qui in uso anche negli industrializzati Stati Uniti d’America, e si serva invece della prefabbricazione e ancor più della produzione in massa. Il Perry auspica la organizzazione della produzione per opera di poche grosse società edilizie analogamente a quanto avviene per la produzione industriale automobilistica. Ma perché si arrivi alle grandi compagnie e quindi alla produzione industriale manca la facile disponibilità dei terreni edificabili. La superficie di 40-70 ha. necessaria a una «unit» é notevole e si incontrano difficoltà nell’acquistarla. Una volta superate queste difficoltà la dimostrazione dei sostanziali vantaggi possibili quando un complesso di intelligenze controlla una grande impresa industriale, dalle materie prime al prodotto finito, é facile. Valgano come esempi il piano di Stoccolma del 1926, il Buckingham Development di Arlington, Virginia, USA, e l’esperienza inglese nel periodo tra le due grandi guerre.
Alle volte è possibile raggiungere un accordo tra i proprietari dei terreni e giungere alla stesura di un piano di «neighborhood unit». Ma il case eccezionale non basta: occorre la facilità, la certezza per le compagnie costruttrici di assicurarsi un vasto terreno. Per ciò è necessaria la cooperazione tra Enti locali e costruttori. Quelli metteranno il terreno, questi l’attività edificatoria. Occorre allora che le amministrazioni comunali possano espropriare i terreni per ragioni di pubblica utilità, dietro l’impegno da parte dei costruttori che il piano di sviluppo del quartiere sia si un piano economicamente redditizio, ma nello stesso tempo vincolato al benessere collettivo. In particolare, l’impresa offrirà:
– di costruire un quartiere con strade piene di sole e di verde, con un traffico disciplinato. con buoni impianti educativi e con la riduzione al minima del peso she incombe ai servizi di igiene e polizia
– di accettare il terreno con certe limitazioni e restrizioni convenute
. di fare il lavoro senza sussidi pubblici
– di pagare le tasse regolamentari
– di accettare la limitazione dei suoi dividendi e di sottomettersi a pubblico controllo.
La città da parte sua dovrà concordare nel:
– acquistare tutti il terreno compreso nei limiti previsti, e a trasferirlo alla Società edilizia con alcune restrizioni di contratto, ad un prezzo pari a quello pagato dalla città con procedure di esproprio
– inserire il nuovo piano particolareggiato nel piano regolatore ufficiale
– permettere l’erezione degli edifici mostrati dal piano di sviluppo
– incaricarsi dei servizi scolastici per i residenti.
Appare evidente da questa procedura proposta che la Commissione urbanistica cittadina dovrà assoggettarsi a due cose fondamentali: 1 – Non dovrà procedere in anticipo alla lottizzazione dei quartieri di espansione. Una volta fissata la zonizzazione e il tracciato di strade e impianti di maggiore importanza, le zone di sviluppo non dovranno essere definite nei particolari, per lasciare la massima libertà nella progettazione dei nuclei residenziali; 2 – dovrà sempre essere pronta e disposta ad accettare le modifiche al P.R. proposte dalle planimetrie delle nuove «units» che sostituiranno i vecchi quartieri fatiscenti del centro urbano.
Se l’espropriabilità dei terreni è stato per il passato l’ostacolo maggiore alle unità quartiere negli S.U. perché difficilmente si riconoscevano ai vantaggi previsti gli estremi di una pubblica utilità, essa non rappresenta un ostacolo così grave oggi in Europa, dove intere città sono da ricostruire ex novo e dove infatti si sono recentemente avuti esempi di «Community Planning» (in tutto simili alla teoria del Perry) in occasione della ricostruzione di Londra, Plymouth e altre città inglesi.
Estratto da: Metron, gennaio 1946
Nota: questo saggio di Roberto Calandra, si meriterebbe almeno due o tre altri saggi solo per spiegarne le varie (e forse inevitabili, all’epoca) lacune storico-critiche, nonché di equivoco culturale; basti qui rinviare, almeno, ai primi studi di Clarence Perry, da cui tutto trae origine, e che si sviluppano nel fertile ambiente sociologico e urbanistico della Chicago di Daniel Burnham, e di Robert Parks: La scuola al centro del quartiere (1914); oppure al successivo lavoro di sistematizzazione delle esperienze europee dei quartieri, di Catherine Bauer, Case economiche e parti di città (1934)