Capita a volte di chiedersi chi siano gli utenti dei nuovi servizi di mobilità condivisa. O meglio, che equilibri e intrecci esistano fra i profili reali, le aspettative e stili di vita, di questi utenti, e i piccoli o grandi segmenti di mercato a cui si rivolgono gli operatori nelle proprie strategie. Perché almeno su una cosa non c’è alcun dubbio: se lasciassimo al modello di libera concorrenza allo stato puro il compito di sbrogliare la matassa, staremmo davvero freschi. Gli operatori privati proprio cercando di trovare segmenti chiave su cui puntare le strategie finirebbero per elaborarne di confliggenti anziché complementari (lo riconoscono pure loro), e il rischio è che così anche tutte le potenzialità innovative delle sperimentazioni tecnologiche e delle pratiche organizzative in corso, finirebbero per perdersi come lacrime nella pioggia, o addirittura per far danni. Sta alle autorità regolative e di pianificazione urbana e dei trasporti, il compito di lavorare nell’interesse dei cittadini e della qualità abitativa dei territori. Ciò in primo luogo comporta una approfondita e aggiornata conoscenza delle evoluzioni in corso nel settore, specie per quanto riguarda i diversi rapporti ed equilibri che è possibile instaurare tra mobilità, stili di vita, veicoli, infrastrutture, sistemi fisici e flussi immateriali. Perché il consumatore-cittadino, nelle sue varie forme singole e collettive, non finisca a fare inutilmente da cavia, o unico luogo di ricomposizione di spinte divergenti.
Intermodalità sbilanciata
Partendo dall’unico punto possibile, ovvero la situazione attuale, abbiamo una rete di flussi di mobilità (e relazioni spaziali) cresciuta attorno al veicolo a motore individuale, e che già oggi si sta orientando verso una maggiore trasversalità intermodale. Ma è opinione diffusa e fondata, che in un modo o nell’altro l’automobile continuerà ad occupare un posto centrale, anche se cambieranno molti elementi di contesto. Per esempio il rapporto interattivo con le infrastrutture, appena agli inizi nella gestione di un car-sharing ancora sostanzialmente in tutto analogo al modello proprietario storico (a parte giusto la proprietà) nella fruizione, ma destinato a grandi trasformazioni man mano diventano pervasivi i flussi della smart city, trasmissione e ricezione di dati, strade e sensori intelligenti, integrazione e interazione. Premessa ad esempio per l’entrata in campo dei veicoli driverless, che consentiranno un ulteriore balzo avanti della disponibilità, e insieme un arretramento nel numero di veicoli necessario a coprire la domanda di spostamenti, nonché di altre prevedibili trasformazioni, prima fra tutte la quasi obliterazione degli spazi per la sosta (oggi un’auto sta ferma in una delle diverse piazzole a cui ha diritto per legge il 95% della sua vita, domani queste immense superfici saranno rese disponibili per altre funzioni), o in prospettiva addirittura l’abolizione della differenza tra carreggiate e altri spazi urbani, visto che la capacità di interazione di una auto che si guida da sola le consente di muoversi ovunque.
Pubblico-privato
L’equilibrio si realizza anche e soprattutto quando l’impresa privata e la pubblica amministrazione dimostrano di «fare ciascuna il proprio mestiere», ovvero dal punto di vista delle città quando i governi locali hanno una chiara idea di sviluppo generale e assetto spaziale di massima da mettere in campo, che comprende localizzazioni, risposte alle domande sociali, ambiente, sviluppo locale, o tante altre cose (come ad esempio una riduzione programmata degli spostamenti obbligatori pendolari o merci). Dentro questa cornice, poi si possono sviluppare quelle sinergie pubblico privato tanto decantate, dove l’amministrazione garantisce le infrastrutture base dentro cui si muovono anche le diavolerie tecnologiche e organizzative escogitate dalle imprese, a realizzare la smart city multimodale e interattiva. Solo in questa logica, si evita che enormi investimenti e programmi vadano al traino delle particolari esigenze dell’operatore di mercato, in pratica sostituendo l’antico carico di parcheggi, semafori, svincoli, polizia urbana del traffico, con nuovi oneri, magari diversi ma non meno impropri. E i veicoli, qualunque forma e organizzazione verranno ad assumere, tenderanno così a rispondere a bisogni reali di mobilità dei cittadini e di crescita complessiva della città, invece di privilegiare le sole esigenze di (pur legittimo) profitto di produttori e gestori. Come osserva un’alta responsabile tecnica di una città già all’avanguardia nel settore come Helsinki: «Il principale problema sarà sempre quello di rispondere ai bisogni reali, quando ci sono interessi in conflitto: la sfida è soprattutto quella di privilegiare le modalità di trasporto complessivamente più sostenibili».
Riferimenti:
– In particolare, Matt Jones, New megacities inspire smart mobility solutions, Automotive Megatrends Magazine Q3 2016 (pp. 36-39, il link è diretto al pdf dell’intero numero, con numerosi altri articoli interessanti e che completano il quadro)
– Immagine di copertina: D. Farman, Les Automobiles, Librairie Industrielle, Parigi 1896