Il Comune è l’espressione d’un insediamento urbano e del suo entroterra; il modo col quale vi si vive, vi si abita, vi si circola, vi si fruisce dei fondamentali servizi, e non solo di quelli di ordine materiale, dipende in buona misura dalle possibilità, e dall’orientamento, dell’amministrazione civica. E’ interessante osservare che (..) assistiamo oggi, in alcuni grandi centri urbani, all’estendersi di questa stessa tematica non solo in tutto l’arco della sinistra (…). A Milano, il tema della autonomia e la polemica contro il centralismo statale sono espliciti nel programma democratico-cristiano; e addirittura hanno avuto un momento di elaborazione originale in quello del partito liberale. Quanto alla denuncia dell’insufficienza dell’attuale amministrazione nei confronti dello sviluppo cittadino e dei suoi problemi, non è difficile trovarla anche nei partiti di maggioranza; i quali non si limitano a presentare quel che hanno fatto, ma apertamente riconoscono (…) la svolta di indirizzo necessaria a colmare le lacune più gravi; l’autocritica permette loro di candidarsi come i leaders di una nuova amministrazione «per una Milano moderna e democratica». (…)
L’uguaglianza fra le situazioni di diritto non toglie che la differenza fra un piccolo insediamento e una grande città non sia meramente quantitativa. Nel villaggio, il carattere personale dei rapporti è ancora assai forte, e rende, si può dire, fisicamente distinti i padroni e i loro rappresentanti, riempiendo quindi immediatamente la lotta politica a livello comunale d’una sua concretezza. (…) La «cosa pubblica» è tale effettivamente; e il Comune come scuola di autogoverno è una esperienza reale della collettività, la grande città invece spezza il carattere personale del rapporto fra i cittadini, che diventa, nel suo complesso, inafferrabile e astratto, non solo nell’intero tessuto urbano, ma perfino nel quartiere e nella casa, soggetti a una continua mobilità sociale; si allenta o si annulla il rapporto fra amministrato e amministratore; e il complesso dei problemi, il moltiplicarsi degli interessi in gioco appare di difficile acquisizione, in tutta la sue estensione e i suoi nessi, a chiunque non sia uno specialista. Questo carattere impersonale, astratto, esteso e sfuggente della grande città rispetto al suo abitante, fa sì che egli vi si senta inserito come in un quadro che non è possibile dominare, e al quale spesso non lo lega non é radici né futuro, cioè nessun rapporto che non sia meramente funzionale (vivere, dormire, nutrirsi, lavorare per procacciarsi i mezzi di sussistenza). Nella grande città quindi l’esperienza di governo, o almeno di conoscenza della cosa pubblica, si annulla o diventa indiretta, mediata dalle correnti politiche (che rappresentano la sola cerniera con gli amministrati) o dai grandi strumenti di opinione. Questa distanza di partecipazione rischia di allentare ancora di più il rapporto di fiducia, di necessità fra il cittadino e l’istituto comunale; e d’altra parte rende più facile un certo giuoco di bussolotti, da parte delle classi conservatrici, attorno ai temi fondamentali della politica amministrativa. (. ..)
Finita attorno al 1948-49 la fase della ricostruzione dei molti danni subiti dalla guerra, la città iniziava un processo di espansione a ritmi impreveduti. Tracciato il Piano Regolatore, l’estromissione delle sinistre dalla Giunta impediva al Comune di servirsene per la costituzione d’un demanio comunale – che avrebbe avuto il duplice scopo di arricchirne il patrimonio e costituire un settore di calmieramento nella edilizia, bloccando la corsa alla speculazione – e la proprietà privata si lanciava nell’acquisto e nella edificazione con un incremento del mercato, che rimase altissimo fino a circa il 1954, e poi ancora oggi sostenuto ( …) . D’altro canto, l’aggravarsi delle condizioni di sviluppo sul terreno nazionale faceva gravitare sulla provincia di Milano una migrazione interna che supera ormai le centomila unità annue. Se l’insediamento si verifica inizialmente, per una parte, fuori dalle porte del Comune, per la difficoltà d’una sistemazione a buon mercato nella cerchia cittadina, si tratta peraltro d’una sorta di assedio e di lenta avanzata verso il centro urbano; dove comunque si svolge la giornata di lavoro.
(…) L’andamento del tessuto urbano fuori dall’ambito amministrativo è l’esempio immediatamente visivo di un fenomeno che ha ben altre dimensioni, e cioè la caratterizzazione del ruolo svolto da Milano come centro di produzione e di scambio sul terreno nazionale e internazionale: Qui è la realtà stessa della struttura che non ha più alcun punto di riferimento con i confini e i poteri del Comune, sul quale tuttavia ricadono gli obblighi di organizzazione dei servizi, che l’incremento demografico e la intensa mobilità sociale inerenti a questo grado di sviluppo della struttura stessa comportano – dalla casa, ai trasporti, all’assistenza. E lo scontro fra l’unità del fenomeno e la molteplicità degli istituti amministrativi (gli altri comuni) che vi sonò interessati a parità, in linea di principio, di poteri, conduce rapidamente Milano a contrapporsi impazientemente a essi, tentando di determinarne le linee di sviluppo: di qui la tecnica «imperialistica» del piano regolatore intercomunale concepito soltanto dalla città più grande, pone questi reciprocamente l’uno contro l’altro per l’accaparramento degli insediamenti industriali man mano che questi escono dalla città, e infine pone Milano in antagonismo con lo Stato, per l’insufficienza dei rapporti istituzionali, per l’intervento o tardo o burocratico e comunque involutivo del potere centrale sullo sviluppo dei problemi locali, per la folle sistemazione tributaria.
(…) a un certo grado di sviluppo sociale e produttivo, quale si viene delineando in questi anni, la crisi del grande Comune come potere effettivo di regolamentazione della città non si risolve attraverso un assestamento giurisdizionale, e neppure nei soliti limiti della lotta contro lo Stato di polizia («via il Prefetto!») o per un ammodernamento del sistema finanziario, che dia oggettivamente al Comune possibilità di spesa adeguata ai compiti che gli stanno di fronte, (riforma della finanza locale), ma attraverso una concezione dei rapporti fra la città e lo Stato (…) che interpreti e sviluppi il dettato costituzionale fuori delle secche liberal-radicali. L’autonomia si sostanzia soltanto in una struttura organica della società nazionale, e in un disegno organico del suo sviluppo. (…) La conquista d’un autogoverno effettivo si accompagna, insomma, inscindibilmente con la conquista d’un nuovo Stato, capace di esprimere – per così dire -la razionalità d’uno sviluppo nazionale.
da: Rinascita, n. 10 1960