È un fatto interessante, che tra i primissimi pionieri per l’obiettivo di una casa migliore spicchino due donne, Octavia Hill, a Londra, e Ellen Collins, a New York. Di queste due donne è stato detto che: «Erano simili perché quando nessuno riusciva a vedere quanti danni determinano cattive condizioni abitative in una città, più di tante altre cause, loro videro, e compresero. Cosa ancora più importante, affrontarono quel male, e furono tra i pochi ai loro tempi ad averne il coraggio». Spinte dal lavoro di Octavia Hill in Inghilterra, Miss Fox, Miss Parrish, e altre si organizzarono per la riforma della casa con la Octavia Hill Association, emanazione del Civic Club di Filadelfia, gruppo di donne dedite alle indagini sul sovraffollamento negli isolati e alla redazione di studi. L’associazione è ancora esistente. Acquista immobili nei quartieri, costruisce nuove abitazioni o ristruttura le vecchie cedendole poi in affitto. Agli azionisti è garantito un reddito del 4% e le abitazioni tuttavia vengono tenute in condizioni perfettamente salubri. Si tratta di carità anche se superficialmente si presenta come investimento. Gestisce immobili per chi ne ha bisogno, manifesta un interesse più che pecuniario per gli inquilini.
Gli ideali dell’associazione sono stati copiati altrove, come a Detroit o Washington. Hanno ispirato la Women’s Municipal League di Boston, che oggi gestisce le sue proprietà secondo i medesimi principi. Si considera chi raccoglie le pigioni un operatore sociale, che svolge un ruolo di assistenza sia per la proprietà che per l’inquilino. Ai tanti convinti che la colpa delle cattive condizioni sia da imputare esclusivamente o soprattutto agli abitanti, risponde una componente della Octavia Hill Association. Dopo aver rilevato come la somma di un anno di riparazioni derivanti da poca cura degli inquilini nelle 500 case dell’Associazione ammonti a soli 50 dollari, qualcuno si chiede sino a che punto essi siano responsabili delle cattive condizioni. E la risposta è immediata: «Per nulla». Il lavoro di Ellen Collins a New York lo racconta Emily Dinwiddle nel suo Tenements for a Million People. Jacob Riis aveva delle ottime collaboratrici.
Ci sono donne con mezzi economici che hanno contribuito a realizzare complessi abitativi modello, considerati contributi importanti dal movimento per la casa nelle sue primissime fasi. Mrs. W.K. Vanderbilt, Sr., ad esempio, ha speso un milione di dollari per costruire tre complessi in affitto modello a New York, rivolti ai malati di tubercolosi e alle loro famiglie. Il movimento di riforma della casa si allargava a qualcosa di più della demolizione di qualche area di slum o della realizzazione di complessi modello, e le donne si dimostravano ancora più attive nelle nuove articolazioni. Oggi si comprende che la Questione delle Abitazioni ha diversi aspetti per le diverse classi sociali, anche se sono simili le necessità di sole, aria, salubrità, riscaldamento, spazio.
Case per lavoratrici
Le lavoratrici che non dispongono di una abitazione hanno un grave problema, perché in quanto inquilini a bassissimo reddito non solo non trovano stanze salubri e ariose, ma sono spesso obbligate a situazioni immorali, o a guadagnarsi qualche extra in modi che mettono a rischio il loro futuro. Di conseguenza la casa per le giovani lavoratrici è stata in molte città una questione particolare. Edith Hadlcy, presidente della Chelsea House Association di New York, dimostra lo spirito con cui le donne in genere affrontano questioni così: «Noi che viviamo nel privilegio e in case calde, pulite, accoglienti, non possiamo dire a queste ragazze Sorella vieni a Casa, ma spetta certo a noi far qualcosa collettivamente. E se risolvere il problema della casa per queste ragazze non si può fare a livello di comunità, dobbiamo rivolgerci con ancor più decisione all’iniziativa privata per trovare una soluzione. Non ci deve essere in tutta la nostra terra un luogo in cui una ragazza non possa trovar rifugio sicuro, un luogo che nel suo grande bisogno lei possa chiamare casa».
Migliori salari, da soli, non risolverebbero il problema, e le donne lo capiscono. A New York, secondo il censimento ci sono 22.700 lavoratrici a salario che vivono da sole; ma solo quaranta case dove è stato fatto specificatamente qualcosa per le loro necessità. Capendo l’inadeguatezza di questa risposta, è stata individuata la soluzione della pensione, da parte di alcune donne, presiedute da Cornelia Marshall, attraverso indagini su luoghi adeguati da proporre all’attenzione delle lavoratrici. L’iniziativa nasce dagli incontri di alcune competenze dedicate alla casa per le lavoratrici. La riforma del settore delle abitazioni, più in in generale, è una lotta costante per leggi in grado di controllare la situazione, controlli efficienti, quartieri giardino, casette modello invece di casermoni in affitto. A questo si aggiunge la necessità di integrare gli immigrati, di educare all’igiene personale nelle scuole e nelle case, di controllare chi trae guadagno dal settore, tutto per il diritto alla casa.
Indagini
Le più attente fra le donne impegnate nelle riforme per la casa, capirono presto che agire solo emotivamente inutile, per migliorare davvero le cose ci si doveva basare su una conoscenza della situazione, delle sue cause, degli effetti. Così l’indagine precede la propaganda per nuove leggi o iniziative; molte delle migliori inchieste del paese sul tema dell’abitazione si devono a donne. Ciò si deve alla maggiore immediatezza con cui donne ammettono altre donne ai segreti della casa, e così le inchieste possono avere successo. Donne capiscono meglio le necessità di donne e bambini dal punto di vista dell’alloggio, o quanto si può impegnare un’altra donna nei lavori domestici per ottenere certi risultati. Tra i loro compiti c’è il bucato familiare, accudire i figli, farli giocare, cucinare e servire i pasti, spolverare e pulire, sono in una posizione migliore degli uomini per capire quali tipi di strumenti possano facilitare il lavoro, e cosa invece lo ostacola o lo impedisce. La migliore prova di tutto questo sono le testimonianze copiosamente riversate al Bureau of Agriculture in risposta alla domanda su cosa sarebbe potuto risultare utile alle donne nelle campagne. Mogli di contadini che piangevano l’assenza di semplice acqua corrente. Là dove si dedicavano tante eccellenti attenzioni e abbondanza d’acqua a maiali e vacche, mogli e figli venivano privati dei servizi più elementari […]
Riforme
La Women’s Municipal League di New York ha condotto indagini sulle case in affitto denunciando poi violazioni delle leggi in materia agli organi competenti. Ha impedito che venisse approvata una norma che sottraeva gli edifici tri-familiari ai controlli del Tenement House Department, proposta reazionaria che aveva suscitato le proteste delle donne impegnate nel sociale, oltre a quelle degli uomini sensibili. L’associazione vorrebbe che anche le case bifamiliari e quelle con stanze in affitto fossero poste sotto il controllo del Tenement House Department.Ha ocndotto una ricerca sui custodi di questi edifici, scoprendo che operano in condizioni tali da trasgredire norme sanitarie, antincendio, e sulle case in affitto. Si afferma che: «I custodi dovrebbero ricevere un salario più adeguato, avere alloggi migliori, ed essere formati sulle leggi da rispettare».
Da tutto il continente, arrivano notizie di associazioni di donne impegnate nelle riforme per la casa. Scrive l’American Club Woman: «A Los Angeles si studia la questione delle abitazioni. Ci si attende un forte afflusso di popolazione a seguito dell’apertura del Canale di Panama. Così il Woman’s Friday Morning Club ha realizzato un villino modello tipo da 500 dollari. Il club propone di acquistare terreni lungo il corso del fiume e in altre zone, per costruirci queste piccole case. Dotate di orti che contribuiranno a diminuire il costo della vita. Il sogno è una città senza casermoni in affitto, una città immacolata sin nei più nascosti angoli e pieghe; una città di migliaia di piccole casette, il cui affitto costa come quello che oggi si paga per un appartamento, e dove tutti siano dotati di comodità e servizi, abbiano diritto ad una crescita personale, alla privacy e al conseguente sviluppo morale e dell’identità. La Los Angeles Housing Commission di cui fanno parte Mrs. Johanna von Wagner e altre donne, ha sviluppato alcune interessanti iniziative coi messicani trasferiti dalle rudimentali baracche in cui vivevano, verso dignitose e sane abitazioni su terreni di proprietà comunale». […]
Case per neri
Al Sud così come al Nord, le donne operano per il problema della casa. Al congresso 1912 della National Municipal League, a Richmond, Virginia, risultò evidente ai delegati del Nord quanto il Sud e le sue donne fossero sempre più consapevoli della questione abitazioni. Miss Elizabeth Cocke nel suo discorso su casa e moralità a Richmond diceva: «La situazione locale di Richmond è di assenza di veri e propri casamenti in affitto degradati. Esistono certo edifici occupati da una mezza dozzina di famiglie, ma nonostante le condizioni davvero pessime di sovraffollamento, non si può dire che manchino luce e aria, basta aprire le finestre per ventilare. In un caso ho trovato una stanza da letto occupata da sette persone e del tutto priva di finestre: c’era una porta d’accesso da un’altra stanza, che aveva due finestre, e un’altra porta sul pianerottolo superiore. Fra la nostra popolazione relativamente ridotta non esiste un vero e proprio sovraffollamento generalizzato, ma va detto che le situazioni peggiori si concentrano tra la popolazione nera. Qui ci sono le situazioni più squallide e senza speranza, ma credo che molto dipenda dagli effetti deprimenti delle pessime abitazioni e dell’ambiente, che non incita certo a migliorarsi».
«Bambini che crescono a Jail Bottom, dove l’unico panorama è un enorme mucchio di stracci che marciscono su un lato, e sull’altro un rigagnolo che è una fogna a cielo aperto, la cui puzza sale fino al cielo da tanto sporca è l’acqua, e lascia fanghiglia viscida sulle sponde, ecco, potranno mai questi bambini avere idee che non siano perverse? Potranno mai i genitori inculcare alti valori morali, quando nella stessa strada o all’angolo ci sono quelle case a “luce rossa”? Quando qualsiasi locale o sgabuzzino o cucinotto con finestrella manca di qualunque decente accorgimento di schermatura? Il nostro mondo è troppo piccolo per trovare posto anche a qualche aspetto buono della vita? I valori dei terreni e degli immobili sono superiori ai valori di salute pulizia moralità?»
«È falso che sia il povero a non volere una casa migliore. In un magnifico discorso tenuto la scorsa primavera alla Child Welfare Conference di Richmond, un oratore nero diceva in sintesi che “Noi useremmo e gradiremmo la vasca da bagno tanto e tanto spesso quanto i nostri fratelli e sorelle bianchi, se potessimo permetterci case che hanno il bagno. Non siamo noi a preferire scomodità e miseria, non ci piace essere obbligati a vivere in quartieri dove c’è solo depravazione e squallore; ma i migliori tra di noi hanno troppa autostima per imporre la propria presenza ai fratelli bianchi, che non ci vogliono ad abitare tra loro”».
Tutto quanto raccontato da Miss Cocke era confermato dal presidente del convegno, John Stewart Bryan, che in quanto editore del più influente giornale del Sud, The News Leader, è in una ottima posizione per conoscere i fatti. «È una cosa ben nota a chiunque lavori in questo campo – dichiarava – che una persona nella posizione di un nero a Richmond paghi più tasse di quanto non faccia la persona più ricca, dato che in proporzione rispetto a quanto paga, che è una importante quota del suo reddito, riceve così poco in cambio. Tutto quello che racconta Miss Cocke è vero. Sono segregati nella circoscrizione di Jackson, e secondo le nuove ordinanze finiranno ancora più segregati. Casa gravemente sbagliata, economicamente sbagliata, e nulla al mondo può cambiarla salvo un mutamento dell’atteggiamento pubblico, che dovrà esserci».
Uno studio sulle attività delle donne e delle loro associazioni per la questione della casa, mostra quanto si stia iniziando a riconoscere l’importanza di buone abitazioni per i cittadini di colore. La professoressa Sophonisba P. Breckinridge, dell’Università di Chicago e della Chicago School of Civics and Philanthropy, ha dedicato all’argomento specifiche ricerche, e dobbiamo a lei questa approfondita dissertazione sul particolare tema, proposta da The Survey:
«Tra i molti gravi problemi con cui si confronta la popolazione nera, sia nelle città meridionali che in quelle del Nord, c’è la difficoltà incontrata nel trovare abitazioni decorose per la famiglia. Di fronte al manifestarsi del pregiudizio razziale, il nero silenziosamente si adegua, dato che anche al Nord – una volta la sua Mecca della Libertà – non gli sono concessi parecchi diritti civili. Raramente protesta quando non viene ammesso in alberghi o ristoranti, o gli viene negato di fatto il divertimento al teatro o all’opera. Ci sono però tre punti su cui non deve cedere, su cui non gli possiamo lasciar cedere. Deve rivendicare un’abitazione decorosa per sé e la famiglia, ad affitto ragionevole, in un quartiere rispettabile, un accesso al lavoro identico a quello dei bianchi, istruzione per i figli. Qui prenderemo in considerazione solo il primo dei tre punti».
«In una recente indagine sulle condizioni delle abitazioni a Chicago, si è rilevato come il problema della popolazione nera sia piuttosto diverso da quello degli immigrati. Coi neri, il dilemma della casa diventa questione grave non solo per i poveri, come accade per immigrati italiani, polacchi, ebrei, ma anche per chi ha dei mezzi. E chi è al tempo stesso povero e nero affronta nella forma peggiore il problema degli alloggi degradati e malsani .Ma per chi è nero, ricco o povero, esiste il problema di affitti da strozzino, e della pericolosa vicinanza al vizio segregato. I neri non sono soltanto costretti ad abitare in quartieri segregati tutti di neri, ma si tratta anche quasi invariabilmente delle zone in cui la polizia ammette certe attività. Quindi quella segregazione diventa solo segregazione dai bianchi rispettabili. Quelli meno rispettabili gli vengono imposti. Non è esagerato affermare che nessuna famiglia di colore può sfuggire a lungo la presenza di qualche vicino discutibile o deviante. Certo neri rispettabili e dotati di mezzi riescono con qualche trucco a comprarsi immobili in qualche zona migliore, ma prima o poi saranno seguiti dai poco di buono a cui è concesso di operare anche fuori dalle cosiddette zone a luci rosse».
«In nessuna altra parte di Chicago, neppure nel Ghetto, si trova un quartiere così profondamente degradato come la fascia nera di South Side. Nessun altro gruppo ha tanto sofferto il dilapidarsi degli edifici, tetti che perdono, porte scardinate, finestre rotte, condotte marce, pavimenti pieni di buchi, e una generale assenza di manutenzioni. In nessuna altra zona i proprietari sono così indifferenti, così poco propensi a intervenire dove necessario, o a rescindere contratti così che l’inquilino si trovi una sistemazione migliore altrove. Certo andare altrove è impossibile, per un inquilino nero. In quella fascia di South Side il 74% degli edifici è in stato di degrado; in una zona migliore in parte di colore, lo è solo il 65%, ma un terzo è in condizioni terribili».
«Non solo la popolazione nera soffre di queste situazioni estreme, ma paga anche affitti molto alti. Una analisi attenta porta a porta mostra come nei quartieri di popolazione di colore più degradati della città, l’affitto per un alloggio corrente di quattro stanze sia molto più alto che altrove. Nelle sovraffollate zone degli immigrati in varie parti della città, la pigione media per questo appartamento da quattro stanze oscilla fra gli otto dollari e gli otto e mezzo; a South Chicago vicino alle ferriere sta tra i nove e i nove dollari e mezzo; nel quartiere ebraico i paga fra i dieci dollari e i dieci e mezzo. Ma nella zona nera di South Side la somma pretesa per quelle quattro stanze sta fra i dodici e i dodici dollari e mezzo. Pensando che metà di chi sta nelle zone polacche o lituane paga meno di otto dollari e mezzo, i lavoratori delle ferriere meno di nove e mezzo, gli ebrei del ghetto meno di dieci e mezzo, un nero in tutto quel degrado e sovraffollamento, nel territorio del vizio segregato, deve pagare da dodici a dodici dollari e mezzo.Vuol dire da due a quattro dollari al mese in più di quel che paga un immigrato, per un appartamento in condizioni migliori».
«Pare utile raccogliere e diffondere questi dati sulle condizioni abitative nei quartieri neri di Chicago, con la speranza che non sarebbero più tollerate se i bianchi ne conoscessero l’esistenza. La maggioranza ha un atteggiamento favorevole. La persecuzione subita dai neri per pregiudizio razziale è espressione senza dubbio di una piccola minoranza di cittadini bianchi. Il suo persistere si deve indubbiamente al fatto che la stragrande maggioranza ignora completamente il grave carico di ingiustizie subite dai neri. L’ignoranza è il baluardo del pregiudizio, e il pregiudizio razziale dipende in modo particolare dall’ignoranza, che ne siamo certi è a volte volontaria, ma nella maggior parte dei casi del tutto accidentale. Accade però che quella sparuta minoranza che coltiva il pregiudizio abbia il potere di rendere la vita sempre più dura per i neri. Oggi non soltanto ci si rifiuta di sedersi nella medesima parte del teatro, o di ammetterli negli alberghi dei bianchi, ma anche di abitare in certe vie, in certi quartieri insieme ai bianchi. Anche al Nord, dove le amministrazioni cittadine non riconoscono zone «ghetto» nere da zone «pallide», gli agenti immobiliari perpetuano e commercializzano il pregiudizio razziale facendolo diventare universale, e applicandolo nella pratica. Da questa persecuzione di una minoranza, è nata la particolare questione delle abitazioni dei neri».
Da: Woman’s Work in Municipalities, Appleton & Co., New York-Londra 1915 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini