A fine ‘800 molte donne di epoca vittoriana cominciano a adottare il velocipede togliendo corsetti e indossando comodi mutandoni. Nel 1896, la suffragetta americana Susan B. Anthony scrive: «Credo che la bicicletta abbia fatto più di qualunque altra cosa per l’emancipazione femminile. Esulto ogni qual volta vedo passarne una pedalando. Emana una sensazione di autosufficienza e indipendenza che inizia nel momento stesso in cui si monta in sella, e via a correre, l’immagine stessa di femminilità liberata». Queste pioniere del ciclismo hanno contribuito ad imporre l’immagine della Donna Nuova, in grado di uscire dalle faccende domestiche e dalla loro oppressione. E la cultura della bicicletta si esprime in una nuova evoluzione sartoriale di cu testimoniano le pubblicità dell’epoca che mostrano eleganti modelle in abiti sportivi.
Oggi però nelle nostre città in sella sembrano prevalere nettamente gli uomini. E per risolvere questa disparità di genere, non basta migliorare le strutture dei percorsi ciclabili, ma promuovere una diversa immagine e idea della donna ciclista nel ventunesimo secolo. Che magari su una e-bike, porta a scuola i figli o va al lavoro, e non è per nulla strana anzi molto normale oltre che alla moda. Nel ciclismo le donne vengono considerate «specie indicatrice» nella rilevazione di quanto una città sia bike-friendly. A Copenhagen, dove ho abitato da ventenne, ci sono più donne che maschi in bicicletta, ed è molto popolare una moda bici-chic. Andavo al lavoro ogni mattina pedalando con un vestito formale e i tacchi, e sul percorso sorpassavo mamme che portavano all’asilo i bambini piccoli in cargo bike. «Il diritto al vento tra i capelli» era una campagna promozionale per il ciclismo tra gli anziani.
Ma se ci spostiamo negli Usa, il ciclista urbano maschio supera la quantità di donne nella misura di due a uno. Peggio ancora dove vivo io, a New York City: se gli spostamenti per lavoro sono raddoppiati negli ultimi dieci anni, il rapporto maschi femmine tra i pendolari si assesta comunque sul 3:1. Cifre che colpiscono se si pensa a quanto le donne americane siano affezionate alla cyclette domestica (in cui superano i maschi nei programmi di allenamento indoor). Ma perché le città americane respingono così le cicliste? Si può rispondere sia per ragioni di sicurezza che di forme sociali. Dopo essere tornata a New York, ricordo il mio primo straziante tentativo di pedalare da Williamsburg al Financial District, dove avevo l’ufficio. Automobilisti che mi parcheggiavano di traverso sulla pista, parecchie esperienze più o meno micidiali di portiere spalancate davanti all’improvviso. Ero una delle pochissime donne per strada a schivare automobili e competere coi maschi. E una volta arrivata, legata la bici al Toro della Borsa, me la sono trovata rubata la sera.
Come ovvio le questioni della sicurezza riguardano tutti i generi, ma qualunque studio rileva come le donne siano più sensibili al rischio quando decidono se spostarsi in bici oppure no. E ne hanno ben donde di preoccuparsi, a sentire Laura Fox, ex massima responsabile di Citi Bike, il principale programma di condivisione nazionale: una ricerca mostra come gli automobilisti tendano a tagliare la strada tre volte tanto alle donne in bicicletta rispetto ai maschi. In generale la soluzione poggia molto su piste dedicate e protette, in cui le auto vengono escluse da una barriera fisica. Una analisi condotta da Citi Bike rileva come la costruzione di infrastrutture adeguate possa incrementare il numero di donne cicliste dal 4% al 6%. Con crescite ancora maggiori su percorsi dove il tratto protetto è superiore all’80% del totale.
La buona notizia è che finalmente crescono i finanziamenti per le ciclabili. Il governo federale attraverso l’Inflation Reduction Act ha stanziato cinque miliardi di dollari per il programma «Strade Sicure per Tutti» per cui le domande scadono il 10 luglio. Le città devono predisporre progetti e soprattutto convincere nei quartieri a rinunciare a piazzole di sosta per realizzare piste protette. Con la disponibilità di fondi, si possono accelerare le realizzazioni dei progetti concentrandosi sui percorsi pendolari per lavoro. Nuove strutture significa catalizzare l’effetto sicurezza: le cicliste sono tendenzialmente più lente, più donne in strada più altri soggetti troveranno interessante provarci. Piani e programmi in grado di coinvolgere più soggetti e fasce sociali risultano sempre più efficaci di quanto non possano fare nuovi modelli di biciclette con cambio automatico o mode di abbigliamento tecnico elegantissimo.
Ma certo non basta l’infrastruttura a risolvere il gender gap ciclistico. Le ricerche rilevano che le donne tendono a fare più spostamenti per questioni domestiche di quanto non succeda agli uomini, e che scoprano quanto sia quasi impossibile spostare in bicicletta bambini o spesa (a Portland si sono addirittura tentai dei corsi di formazione specifici su «Fare la Spesa in Bicicletta»). Un’altra tendenza delle donne è il temere che andare al lavoro in bicicletta possa in qualche modo influire sull’immagine personale.
In sostanza per cambiare le abitudini delle donne ci sarebbe bisogno di qualche campagna a convincerle che è possibile portare i bambini in tutta sicurezza, fare la spesa, caricare un computer portatile, e arrivare alla meta sia tutte intere che perfettamente a posto e in ordine. A ciò potrebbero contribuire le evoluzioni introdotte dalle e-Bike. Il mercato americano di questi modelli è cresciuto del 240% fra il 2020 e il 2021, ae si ritiene che possa continuare a crescere a ritmi elevati se gli Stati approvano riduzioni fiscali analoghe a quelle già introdotte a livello federale per tutti i veicoli elettrici. La e-bike elimina tanta fatica fisica del pedalare, come succede con la cargo portando i bambini, e percorrere lunghe distanze senza inzupparsi di sudore. L’hanno adottata anche gli Amish, molti optando per una ricarica energetica solare a sostituire i classicissimi calessi tirati da cavalli per fare la spesa. Il settore produzione di questi modelli fa pubblicità simili a quelle delle auto, ma su un tono molto rivolto ai maschi (oggi la maggioranza anche nelle e-bike).
Invece di un atleta scolpito avvolto da abito da ufficio che fende il traffico mi piacerebbe vedere una donna in tailleur che pedala calma e serena, o si toglie il caschetto facendo uscire la messa in piega fresca fresca, e poi entrare dentro l’ufficio o il negozio. Vedere insomma più «modelle da marciapiede» come era successo con Beyoncé, quando si era conquistata titoli di giornale nel 2013 arrivando in bici al Barclays Center per uno spettacolo. 150 anni fa le biciclette liberavano le suffragette dalle costrizioni degli abiti femminili imposti dai costumi. Qualche settimana fa, David Byrne — ex leader dei Talking Heads e convinto sostenitore delle piste ciclabili — è arrivato su una bicicletta di titanio al Met Gala in elegantissima giacca bianca. Mentre una colonna di auto di lusso era bloccata dalle proteste di attivisti climatici, facendo arrivare in ritardo celebrità in vestito da sera tipo Paris Hilton. Speriamo per l’anno prossimo che tante donne adottino la bici. A me piacerebbe pedalare in abito da sera haute couture, sempre che mi diano gratis il biglietto di ingresso.
da: Bloomberg CityLab, 25 maggio 2023 – Titolo originale: US Cities Are Failing Their Female Cyclists – Traduzione di Fabrizio Bottini