Introduzione
Dispersione non è una bella parola. Ha assunto una forte connotazione negativa, e cosa ancora peggiore non è neppure precisa. Continuiamo a usarla per un solo motivo, molto semplice: non ne abbiamo trovata nessun’altra che ci metta d’accordo tutti. Questioni semantiche a parte, possiamo concentrare l’attenzione su due aspetti impliciti che ne migliorano il senso. Primo: aree metropolitane concentrate offrono obiettivi assai facili; occorre ridurne la vulnerabilità diffondendone le componenti. Secondo: edifici davvero sicuri richiedono forti investimenti economici, di lavoro, di materiali; cosa che si deve per quanto possibile evitare spostando la popolazione che non deve necessariamente restare in aree bersaglio, e imponendo che in futuro le aree metropolitane crescano in modo diffuso.
Principio base: difesa attraverso lo spazio
1 – Le grandi aree urbane sono un elemento essenziale di forza nazionale e risulta di importanza critica programmarne la sicurezza.
Proteggere le città un tempo significava tutelarle dai vicini bellicosi, e le opere urbane principali erano mura e fossati. Col passare degli anni, la protezione delle città ha voluto dire forze di polizia, i pompieri, le strutture per la salute, le norme edilizie. Oggi che la bomba atomica è diventata più a buon mercato dell’aereo che la sgancia, un cerchio si chiude. Chi potrebbe sostenere che nella prossima generazione esista una probabilità di attacco militare inferiore a quella di un grande incendio a Cocoanut Grove in New England, o a un terremoto in California? Ma a questi ultimi rischi siamo abituati a rispondere con misure protettive. E quindi dovremo tornare ad adeguarci a quello di attacco militare anche attraverso la forma urbana.
In una corsa alla bomba atomica come quella in corso oggi, ridurre in qualche modo sostanziale la vulnerabilità urbana diventa un importante vantaggio militare, e può anche fungere da deterrente a un attacco in grado di innescare una nuova guerra. Quanto siamo vulnerabili, oggi? Nelle aree urbane degli Stati Uniti si trovano i due terzi della popolazione, una percentuale anche più elevata di lavoratori dell’industria e dei servizi, la stragrande maggioranza del lavoro più qualificato, tecnici, scienziati, dirigenti e altre figure chiave. Per capire meglio il tipo di concentrazione: la superficie totale delle nostre principali 32 città, con una popolazione di 33 milioni di abitanti, potrebbe trovar posto in un quadrato di meno di 90 km di lato. Il quarantacinque per cento della nostra popolazione, una quota anche più alta del lavoro industriale, si trovano alla portata di missili facilmente lanciabili dai sottomarini. Più di metà del commercio estero e marittimo costiero del paese si svolge in sei porti, tutti altamente vulnerabili a bombardamenti atomici, sia dall’aria che dall’acqua. Un quarto di questo commercio è concentrato nel solo Porto di New York. La stessa concentrazione naturalmente ci mette a rischio da attacchi chimici o biologici.
2 – Tutti coloro che in qualche modo si occupano delle città lavorano da molto tempo per cercare di ridurre la congestione, che mette a repentaglio una buona convivenza
Chi progetta residenza, anche quando lo fa per esclusivi motivi di guadagno come nel caso di Bill Levitt [l’inventore delle Levittown di casette suburbane n.d.t.], preme decisamente per un modello insediativo aperto e a edifici bassi, grandi lotti e spazi per il gioco. Altrettanto entusiasti gli industriali di quanto non siano gli studenti di progettazione, quando si tratta di stabilimenti decentrati con ampi spazi per crescere, per i parcheggi, per comode autostrade. Chi realizza edifici commerciali conosce molto bene il valore di una buona localizzazione, dei grandi centri commerciali integrati regionali. E tutti sono favorevoli a scuole moderne, autostrade veloci e sicure, ampi spazi per il tempo libero.
3 – Quali sono le tendenze?
Ma nonostante tutto non abbiamo ancora ridotto davvero la nostra numerabilità urbana. La dimensione delle città cresce ad ogni censimento da quando esiste il paese, e ad ogni guerra si verifica una enorme accelerazione di questa crescita. Ci sono stati alcuni spostamenti di minore entità, nel corso della seconda guerra mondiale, di stabilimenti industriali verso il Sud e l’Ovest, ma il cuore produttivo degli Stati Uniti, dal Massachusetts all’Illinois, resta la sede di circa il 60% della popolazione nazionale e dei posti di lavoro nell’industria degli ultimi cinquant’anni. Il censimento 1950 mostra nel decennio trascorso una crescita di popolazione delle aree metropolitane del 21,2%, due volte e mezzo quella delle aree non-metropolitane. Insieme a questo movimento verso le aree metropolitane, una parallela tendenza, al loro interno, a una crescita più rapida del suburbio rispetto al nucleo centrale.
Nell’ultimo decennio il suburbio è cresciuto del 35%, contro il solo 13% dei centri. Si tratta della “fuga dalla città” ampiamente discussa, ed è certamente un fatto importante. Ma prosegue la congestione delle aree centrali, anche se a tassi decrescenti. Detto in parole povere, fra il 1940 e il 1950 di ogni dieci persone che si spostavano verso le aree metropolitane sei andavano nel suburbio, ma ancora quattro nella relativamente meno sicura città centrale. Secondo Engineering News Record, ogni dieci dollari investiti nelle aree metropolitane dalla seconda metà del 1950 a tutto il 1951, sette sono andati nella fascia suburbana e solo tre nella città centrale, e senza tener conto di uffici e edifici commerciali! È stato stimato che nei centri più congestionati delle grandi città il flusso quotidiano di persone per lavoro e spese arriva a dieci milioni, con un incremento di presenze del 75%!
4 – La congestione cittadina danneggia la produttività e quindi inizia a far danni anche prima che venga sganciata qualunque bomba.
Se il traffico non scorre, lo stesso accade alla produzione. Se le condizioni abitative diventano intollerabili, si deve prevedere un elevato ricambio nei posti di lavoro. Ma parecchie scelte federali, statali e locali continuano a sostenere questa concentrazione. Nel 1950, il 53% di tutti gli alloggi nelle aree urbane ha ricevuto sostegni federali, e nonostante la Federal Housing Authority abbia alimentato ilboom suburbano nel suo crescere, i criteri di intervento sono ben lontani dal diminuire le classiche densità cittadine. Alloggi pubblici, addirittura le ricostruzioni, per non parlare degli enormi progetti privati, continuano invece aincrementare le densità. Gli edifici del governo federale sono fortemente concentrati a Washington; la gran parte di quelli “dispersi” sta a New York o San Francisco. E si continua a localizzarli senza alcuna cura per questo problema. I programmi per le strade, rispondendo alla forte domanda, si sono ancora concentrati alla realizzazione di arterie radiali che convergono verso i centri città, con scarsa attenzione ai sistemi tangenziali, come quello della Route 128 a Boston che aprirà rapidamente a uno sviluppo esterno di aree residenziali e industriali.
La dispersione deve essere attuabile, e produttiva
1 – I centri metropolitani di sicuro non si dissolveranno: è uno dei peggiori modi di rispondere al problema.
Fra i vari motivi materiali e sociali per cui ci si sposta verso le metropoli uno dei più importanti è quello economico. Le nostre aree metropolitane sarebbero le grandi macchine su cui si basa la vitalità di tutto il sistema. Molte volte e per molti motivi si è tentato di compilare un elenco di “strutture essenziali di difesa”. Ma è sorprendente che nessuno di questi elenchi concordi su un fatto: le grandi città sono essenziali per la produzione della difesa. Esistono anche motivi legati alla cultura, all’istruzione, alla società, ai trasporti, alla distribuzione, ai mercati, per l’esistenza dei centri urbani. È la metropoli a rendere possibile quel tipo di vita familiare in cui un bambino cresce con riferimento a un piccolo gruppo di isolati, mentre suo padre per lavoro magari la metropoli la attraversa tutta, fino a centri vicini.
La produttività dell’alta specializzazione, con le persone più importanti per il processo messe in grado di operare insieme in stretta relazione, rappresenta una componente importante della nostra civiltà e della nostra forza. Ciò si rispecchia nei quartieri finanziari, nel polo sanitario, in quello legale, educativo, nel centro commerciale, e in tutti gli altri che si incontrano di norma nella metropoli, a volte in stretta relazione uno con l’altro, a volte distribuiti su un’area vasta.
Quindi ha perfettamente senso operare in una prospettiva di difesa consentendo la vita normale e il guadagno in epoca di pace.
Sarebbe una pazzia, sacrificare la produttività con la scusa di tutelarla. Per usare un’analogia militare: il nostro obiettivo è di costruire uno schieramento aperto, dove gli uomini operando lontani l’uno dall’altro abbiano maggior sicurezza, ma al tempo stesso possano agire efficacemente all’unisono. L’analogia evoca però anche un altro aspetto: una città non si potrà mai disperdere al punto da smettere di essere un bersaglio. Diffusa quanto si voglia ma ancora attiva, l’area urbana resta pur sempre un bersaglio più concentrato del resto del territorio. Non sta nei nostri poteri la trasformazione della città da bersaglio a non-bersaglio. Possiamo però ridurre la vulnerabilità attuale attraverso una serie di interventi, e ridurla al punto che un eventuale nemico possa essere scoraggiato da un attacco dopo averne calcolato i probabili costi.
Alla dispersione non si può e non si deve arrivare in un colpo solo
1. Nemmeno il nostro paese può permettersi i costi di demolizione e ricostruzione delle proprie città con un gesto improvviso.
Anche se potesse, non sarebbe sostenibile il costo delle localizzazioni provvisorie. Parlando da urbanista, non vorrei proprio assolutamente dover avere la responsabilità di un programma del genere: non ci sarebbe la possibilità di confrontare opinioni diverse, per sperimentare, per gli errori di progetto e realizzazione, ovvero tutto ciò che di solito porta ai migliori risultati.
2 – I ritmi normali di evoluzione e cambiamento sono già sufficienti a fare una notevole differenza.
Gli investimenti più recenti in impianti e macchinari avvengono al ritmo di 25 miliardi di dollari l’anno, e i nuovi alloggi dopo la seconda guerra mondiale sono stati in media oltre un milione l’anno. L’aggiunta netta per le strutture urbane è dell’ordine del 2,5% annuo. Nell’ultimo decennio abbiamo stipato nelle nostre città centrali l’equivalente di trenta volte la massa di Flint. Michigan. Naturalmente saranno molto significativi gli effetti cumulativi di questo incremento.
3. Guidare questa crescita sarà un notevole contributo alla nostra sicurezza, e insieme a un ragionevole programma di rifugi potrebbe davvero fare la differenza in una posizione strategica per gli anni a venire.
E se non riduciamo così la vulnerabilità delle nostre concentrazioni urbane, è difficile che la difesa civile sia riconducibile a dimensioni gestibili. Ricordiamocelo: gli obiettivi di una pianificazione per il tempo di pace corrispondono esattamente a quelli della protezione, ovvero evitare una espansione urbana continua, promuovere insediamenti aperti, migliorare l’efficienza localizzativa e i trasporti correlati, sviluppare la massima produttività e vantaggio sociale. Questa idea di controllo non è certo nuova: c’è bisogno di coordinarsi verso obiettivi condivisi.
Ci sono enti come Federal Housing Administration, Public Housing Administration, Veterans Administration, con ampia capacità di intervento nel settore degli alloggi, le città hanno da lungo tempo esperienza per quanto riguarda la pianificazione urbanistica, o la programmazione del territorio alle varie scale. Esistono poi i noti controlli del tempo di guerra: regulation X, Controlled Materials Plan, sveltimenti di procedure e molti altri. Quello di cui c’è bisogno insomma non sono nuovi strumenti, quando concordare su obiettivi di ampio respiro, utilizzando poi tutti gli strumenti democratici per raggiungerli.
La dispersione è un obiettivo essenziale
1. Occorre iniziare da subito, e prevedere che non ci vorrà poco tempo.
Molto di quanto si propone trova senso anche nei normali rischi del tempo di pace. A Boston nel caso di un grave incendio in un quartiere della città è necessario dispiegare tutte le forze del Servizio: perché non iniziare riducendo la probabilità? Cosa importante, si rileva una maggiore volontà e capacità di affrontare questo genere di gravi problemi da parte di persone che hanno a che fare con le armi e la loro gestione. La dispersione non trova i suoi più ferventi sostenitori negli urbanisti, ma nei fisici atomici!
2 – L’idea di spazio deve corrispondere a quella della massima sicurezza: individuare un equilibrio fra le necessità di ricovero, tutela dagli incendi, dispersione, e quelle fiscali del paese.
Se adeguatamente attuato, coordinato, attraverso l’uso intelligente di strumenti democratici, a gran parte di un piano di tutela del genere si può arrivare con pochi costi aggiuntivi. Basta progettare adeguatamente tutto ciò che è nuovo. E sarà nostro fermo impegno realizzare il massimo vantaggio sociale da ogni centesimo investito.
Un esempio da parte del governo federale
1 – il governo federale può diffondere a tutti l’importanza di questo problema assumendo un ruolo guida, invertendo la tendenza alla concentrazione delle proprie sedi e di tutti gli interventi che finanzia.
Se il livello federale non compie questo passo, è difficile che stati, amministrazioni locali e investitori privati prendano coscienza dei rischi connessi. Non dico con questo che dovrebbe essere il governo federale ad assumersi l’onere di ricostruire le città: ma finché non fisserà alcuni criteri per il proprio agire nelle grandi concentrazioni di popolazione e industria, gli stati, le municipalità, i privati, troveranno piena giustificazione nel pensare che per la difesa nazionale all’ordine del giorno vale un “business as usual”. Inoltre, l’esempio federale può avere un peso essenziale visto che tra le varie attività controlla oltre un terzo del volume di denaro speso per le trasformazioni nelle aree urbane: il più importante strumento per indurre cambiamenti di strategie e ridurre la vulnerabilità anziché aumentarla.
2 – Le politiche attuali sono inadeguate allo scopo.
Considero la Industrial Dispersion Policy carente e senza risultati di rilievo. Carente perché riguarda solo gli impianti di interesse militare, solo i nuovi impianti di interesse militare, e solo quelli con oltre 100 dipendenti. Così se ne escludono moltissimi, e nulla si fa per comprendere il resto della produzione industriale del paese (mentre magari un attuale produttore di macchine da cucire può rivelarsi un fattore critico per l’industria bellica di domani, con minimi cambiamenti). E inoltre non si fa assolutamente nulla per l’insediamento residenziale e commerciale.
Viene rigorosamente ignorato il problema della riorganizzazione regionale, che si è rivelato dinamite politica in passato. Si lascia l’iniziativa per i programmi e la gran massa degli interventi a forze locali, soprattutto Camere di Commercio, Associazioni industriali, e altri soggetti con poca propensione ad agire sul lungo periodo soprattutto per l’interesse del paese. Non si fa nulla per prevenire nuove concentrazioni residenziali o di industrie non legate alla difesa, né per ridurre quelle esistenti, anche nei casi più critici di aree a rischio. Inoltre, questione pratica, la strategia è stata introdotta solo dopo le decisioni e realizzazioni di nuovi impianti per la difesa, chiudendo la stalla dopo che tutti i buoi erano già scappati.
Dal punto di vista della pianificazione ci sono poi altre carenze. È difficile redigere piani locali adeguati se non si ha la certezza che troveranno corrispondenze a livello nazionale. Non si fa nulla per sostenere le aree rurali verso cui si dovrebbe inoltrare la nuova crescita, coi loro problemi di servizi. Né si richiede un programma generale: una dispersione non pianificata sarà difficilmente una buona dispersione. La mia non vuole essere una critica al National Security Resource Board, quanto all’attuale atteggiamento del governo. Il National Security Resource Board ha potuto solo fare i primi passi, ma li ha fatti. Ed entro questi limiti programma e strumenti vanno bene. Ma i risultati non sono tangibili.
3 – Dipendono dal governo federale, o da organismi che esso gestisce o controlla in tutto o in parte per contratto, tutti coloro che sono in grado di capire profondamente in rischi di un attacco.
E quindi da lì deve partire l’iniziativa per una azione specifica, da chi ha le conoscenze chiare. Nel campo della dispersione, così come in quello della sicurezza strutturale o antincendi, ci sono molti interventi di breve termine da intraprendere. Ma per progredire davvero ci vuole una spinta di più ampio respiro. Con la possibilità di ridurre la vulnerabilità in modo sostanziale, e a costi aggiuntivi modesti, tutti i nuovi edifici vicini alle aree bersaglio possono costituire rifugi e difese dagli incendi. Poi norme per prevenire ulteriore concentrazione, sia residenziale che commerciale che industriale. È il governo federale a poter iniziare il processo facendo sì che questi criteri si applichino a tutti gli edifici che finanzia e realizza. Se esiste un grave rischio, non si devono spendere fondi pubblici in modo da aumentarlo.
Ma sono in molti ad avere interesse alla crescita nelle aree centrali, e hanno una forte influenza. Pur concordando in linea di principio sulla necessità di ridurre il rischio, possono rilevare contraddizioni o ingiustizie in qualunque norma possa essere proposta. Se, per esempio, dovessimo tentare non solo di arrestare la crescita della congestione, ma anche di ridurla nelle trasformazioni future, ci risponderebbero che blocchiamo le costruzioni perpetuando i rischi attuali. Quanto meglio sarebbe, ci direbbero, avere più persone in edifici sicuri, che l’attuale sovraffollamento! Non si tratta di temi semplici da gestire, se non si ha chiaro il fatto che sovraffollamento significa rischio, non solo dagli attacchi atomici, ma anche da armi chimiche o biologiche, e cercare dei compromessi potrebbe sul lungo periodo fare danni irreparabili.
Un intervento del governo federale dovrebbe comprendere almeno quanto segue:
1 – Individuare le aree più congestionate da cui sostenere processi di dispersione. Da questo punto di vista il National Security Resources Board ha già cominciato bene.
2 – Adottare e applicare criteri per ridurre le densità dell’insediamento commerciale, industriale, residenziale nelle zone congestionate individuate.
3 – Coordinare i programmi federali sulle aree urbane in questa prospettiva. Trasformazioni urbane e nuovi progetti residenziali devono ridurre le densità. I programmi per le strade devono sostenere i sistemi tangenziali esterni oltre che quelli radiali convergenti verso i centri. I piani per parchi e tempo libero devono allentare la congestione centrale, specie nelle zone a rischio incendi ed eventi naturali.
4 – Prevenire qualunque nuova concentrazione che possa costituire bersaglio. Le industrie non solo devono decentrarsi, ma concentrarsi in modo limitato. Anche le zone residenziali non devono congestionarsi.
5 – Pianificare tutto in modo coordinato. Se un’amministrazione locale ha un proprio piani di dispersione redatto secondo buoni criteri, lo si deve appoggiare il più possibile nell’attuazione. Si devono individuare tutti gli eventuali problemi delle fasce esterne verso cui orientare servizi, trasporti, residenze. E cercare in tutta la metropoli spazi aperti: la forma più economica, efficace, e infinitamente gradevole di difesa possibile.
Relazione al convegno Building in the Atomic Age, MIT, Boston 16-17 giugno 1952; Testo ripubblicato dal Journal of the American Institute of Planners, inverno 1953; titolo originale: The necessity for dispersion – scelto e tradotto da Fabrizio Bottini