Lo sprawl è devastante, specie per il portafoglio

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Foto M. B. Fashion

Quante volte ci è capitato di confrontare per caso, ma molto direttamente, stili di vita urbani adottati magari senza farci poi troppo caso, con altri modelli tanto diversi, in cui si scivola altrettanto spontaneamente con alcuni presupposti. Tre gli ambiti fondamentali, che detti così paiono sciocchezze o poco più, ma finiscono per produrre specie umane che tra un po’ non riusciranno neppure più a riprodursi tra loro: equilibri spaziali, mobilità, consumi. Chi abita l’ambiente denso della città si costruisce alcune idee a proposito, che magari trova a volte assai migliorabili o davvero insopportabili, e a volte li molla al loro destino optando per il suburbio (che sono in tanti a chiamare ostinatamente «campagna», ma ne parleremo un’altra volta come tante). Per esempio l’equilibrio spaziale della città propende per un notevole valore attribuito allo spazio pubblico, vuoi perché manca e ciò che è scarso si valuta sempre assai, vuoi perché potrebbe essere di qualità migliore, vuoi perché da qualche parte a fare certe cose bisogna pur andare, e di ambienti privati adeguati non se ne hanno a disposizione. Chi sceglie la localizzazione suburbana ha, consapevolmente o no, prima di tutto deciso di optare per una propensione privatistica, di allargare il proprio ambito personale-familiare sul territorio. In fondo è da qui che discende tutto il resto.

Facciamo i conti giusti, per una volta

Prendiamo l’esempio classico, così classico che ci sono mega investimenti di mercato e immaginario a giragli attorno: il giovane che si affaccia alla vita adulta e mette su famiglia, secondo certi modelli di consumo «deve» allargare l’ambito privato, e il modo più efficiente per farlo sarebbe allontanarsi dal centro urbano. Ci sono due cose, che gli spacciatori di felicità agreste per gonzi paiono sorvolare: la prima è il motivo per cui lo spazio in centro costa di più proprio per il «mercato» altrimenti sacro; la seconda è addirittura uno degli slogan più apparentemente ovvi: drive till you qualify! Ovvero inforca l’auto e procedi tenendo le spalle al centro, finché i cartelli VENDESI indicano una cifra che puoi permetterti. I venditori di sogni sorvolano sul fatto che ciò che costa di più in qualche modo vale, di più, e vale di più per un sacco di motivi, compreso il valore d’uso generale. I venditori di sogni paiono scordarsi che tutto quel guidare alla ricerca del cartello col prezzo giusto, non solo avviene a spese del cliente, ma è la pallida ombra di quel che poi si dovrà fare di continuo, per spostarsi da quella localizzazione a valore unitario minore (perché priva di servizi) verso le altre, procedendo idealmente a ritroso. Insomma non ci dicono che tutto il risparmio sui metri quadrati di casa, giardino, stanza per gli ospiti e annessi, poi se ne va con aggiunte varie sia in benzine e spese fisse per l’auto, sia in spese di manutenzione dell’immobile e del verde privato, sia in consumi accessori prima impensabili ora diventati indispensabili.

Chi se ne fa una ragione

Chi magari per puri motivi contabili è restato nel suo appartamentino un po’ buio ma sopra la fermata della metropolitana e la via commerciale, magari qualche volta va a trovarli, gli amici emigrati sulla frontiera col deserto dei tartari. E anche a parte alcuni particolari (ad esempio il fatto che tutti arrivano trafelatissimi a casa piuttosto tardi da commissioni puntualmente lontane) è colpito dalla lista delle spese, che in città non si mettono proprio in conto, spese grosse, o minuzie che però messe in fila non sono più tanto minuscole. L’auto che si ingrossa, diventa due o tre auto in realtà, e si consuma a vista d’occhio, oltre a richiedere altro spazio privato per essere stivata adeguatamente, come richiede il pudore sociale del vicinato. Il solo giardino è un intero bilancio a parte, fra lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, arredi, recinzione, sfalcio, macchinari, prodotti, manodopera specializzata. E poi la cucina da cinquanta metri quadrati, da riempire di ogni bendiddio fino al soffitto sempre per dovere sociale e di immagine, ma anche perché non esiste certo sotto casa il take away o la pizza d’asporto dell’ultimo minuto aperto fino a tardi. E poi ancora (ma quanto costa al metro quadro?) la sala giochi-proiezioni-festicciole indispensabile perché per divertirsi un po’ altrimenti tocca andare al centro commerciale, e sono tempo e soldi. Del resto basta un’occhiata a quel mucchio di scontrini e fatture di fianco al frigo da due metri cubi, a far venire i brividi. E per cosa, poi? Beh, si è fatto tardi, io me ne torno in centro, godetevi pure il rombo lontano dello svincolo della nuova circonvallazione suburbana, eh? Ciao ciao!

Riferimenti:
Maurie Backman, The Hidden Costs of Living in the Suburbs, The Motley Fool, 13 febbraio 2016

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