Londra strangolata dalla proprietà immobiliare

foto F, Bottini

Quando ho incontrato per la prima volta Ian Dick, responsabile per l’edilizia privata al consiglio municipale di Newham nell’est londinese, mi ha portato in visita ai cosiddetti «beds in sheds». Era il 2011, e anche a parte il criminale sovraffollamento di quegli appartamenti privati in affitto, si avvertiva sempre più forte il problema di persone che abitavano nell’illegalità e nell’abusivismo di fabbricati dentro i giardini. Non era per nulla raro scoprire dieci o venti persone che condividevano una unica stanza sopra qualche friggitoria, o in un seminterrato, o in qualche traballante ala mal aggiunta di un edificio. Quando ci incontriamo di nuovo col consigliere, cinque anni più tardi, è molto contento di parlarmi, non tanto perché quelle questioni non esistano più, ma perché è fiero delle riforme ottenute riguardo al regime di affitti privati. Introdotte a partire dal 2013, sono state il primo tentativo del genere nel paese, e hanno condotto a 800 cause legali, con 28 proprietà a cui è stato proibito di affittare.

Ci incontriamo a Forest Gate, tradizionalmente una delle zone più povere di Newham. «Un’area che si sta radicalmente trasformando: ma qui le istituzioni non parlano di gentrification, preferiscono rigenerazione» spiega mentre percorriamo una via molto gradevole e illuminata dal sole, tra facciate vittoriane restaurate dal comune. Sugli affacci caffè di tendenza hipster o pub si mescolano a negozi di abbigliamento, macellerie halal e botteghe di telefonia. Per mostrami la realtà di alcuni piani superiori, mi accompagna sul retro dove corre per tutta la lunghezza della strada un vicolo di servizio mal tenuto, con una pila di materassi ammucchiati ad una estremità. All’esterno di una proprietà dove fino alla settimana precedente abitavano venti persone stipate dentro una specie di baracca in cortile. «Il proprietario è indagato e diffidato, non arrestato ma sotto cauzione, alloggiava persone in situazioni disperate chiedendo 400 sterline al mese». Poco oltre nel medesimo vicolo si affacciano scale antincendio piuttosto pericolose soprattutto per faci salire dei bambini. Ai piedi di una rampa di scale che sale un po’ traballante verso una porta sta parcheggiato un monopattino.

Sul retro di una grande casa in stile vittoriano aleggia una puzza di fogna, le pareti un tempo bianche sporche e con strisce di fuliggine. «Illegale per forza. Ecco com’è con la casa in Inghilterra: poco di illegale ma c’è sempre» mi spiega Dick, perché le leggi edilizie non regolano molto sulla qualità, però si può intervenire sulle questioni sanitarie. Nel caso specifico c’è la fogna che perde e la situazione rischiosa per la salute. «Un tipo di casa in affitto privata ancora esistente anche dopo tutto quel che abbiamo fatto» continua, prendendo nota su un blocchetto per la denuncia ai vigili e i controlli. Si vede l’interno di uno degli appartamenti attraverso un cancelletto arrugginito di ingresso di servizio. Dietro quelle sbarre ci sono una mamma e un bambino piccolo. Non è un buon posto da bambini – e nemmeno altri – per abitarci, ma è altrettanto chiaro che sfrattandoli da qui difficilmente troveranno di molto meglio. Non saprebbero proprio dove andare, e anche avendo diritto ad una abitazione sociale entrerebbero nel limbo degli alloggi temporanei.

Di nuovo sulla via principale ci fermiamo a guardare i cartelli AFFITTASI sui vetri dei chioschi. Spicca uno in particolare, dove si offre una stanza in condivisione per quattro persone a 160 sterline ciascuno: praticamente un posto letto, non si capisce esattamente se legale o illegale. Si affittano materassi praticamente, come avevo già sentito da diverse persone, ed è una pratica che si diffonde sempre di più, con quelle strutture a soppalco che si intravedono da qualche finestra guardando su. Mentre ci prendiamo un caffè Dick mi spiega come il meccanismo sia quello assai conveniente per chi lo pratica del cosiddetto rent-to-rent o subaffitto a strati.

«Una agenzia immobiliare affitta una proprietà a qualcuno che poi subaffitta ad altri che poi possono subaffittare ad altri ancora. Un immenso mercato sotterraneo di rent-to-rent, tutto praticamente senza nulla di scritto, e andando a vedere magari dentro quella stanza di persone se ne trovano una dozzina o più. «Ci sono vari strati, segmenti, si deve condividere perché l’affitto vero e proprio è pressoché inaccessibile», e aggiunge che bande criminali arrivano a prendere a un certo punto il controllo anche su una ventina proprietà nella catena dei subaffitti ricaricando un ulteriore 20% sul prezzo. Come amministrazione locale si è intentata causa legale a 25 agenzie e operatori, che si possono anche cercare nelle pagine degli annunci: «Si legge una offerta di affitto garantito e significa che sta fuori da ogni regola e controllo».

Le pubblicità immobiliari che si possono vedere girando per Londra mostrano una città popolata da gente piuttosto elegante su terrazzi di lusso. Una metropoli scelta da investitori internazionali e oligarchi, milionari e miliardari che costituiscono la cosiddetta «Èlite Alfa» alla ricerca del miglior ambiente fiscale. Interi quartieri – St John’s Wood, Highgate, Hampstead, Notting Hill Gate, Kensington – hanno totalmente cambiato la propria natura negli ultimi dieci anni. Gli agenti immobiliari si riferiscono a queste zone centrali chiamandole «super-prime» e circoscrizioni placcate oro. Zone ricche lo sono da parecchio tempo, ma in passato si trattava anche di aree con una certa composizione sociale. Adesso questo insieme di persone tutte super ricche scaccia anche le fasce più agiate da Kensington; che a loro volta espellono poi altri da zone periferiche, con un effetto domino che interessa tutta la città, e la conseguenza è la sparizione dalla capitale o il relegarsi in fasce davvero esterne di fasce di reddito medie e basse, incidendo poi sui prezzi degli immobili nell’intera regione.

Lo skyline londinese si trasforma con l’onda delle nuove costruzioni, e i progetti ci parlano di almeno 300 torri residenziali di lusso. Da Nine Elms a Vauxhall a Southwark al ponte di Blackfriars, chilometri di complessi ad appartamenti stile gated community già realizzati. A Elephant & Castle il costruttore australiano Lendlease in collaborazione con l’amministrazione municipale di Southwark sta rendendo irriconoscibile l’intera zona, dove alle case economiche che la caratterizzavano un tempo si sostituiscono quelle splendenti torri. Esiste un rapporto diretto tra la ricchezza di chi sta in cima alla piramide sociale e la crisi della abitazioni nella capitale, e la cosa interessa non solo quelli che stanno più in basso, ma tutta la maggioranza di londinesi che provano a comprarsi una casa, o pagano affitti impossibili. La crisi finanziaria del 2008 ha ribaltato le strategie di organizzazione spaziale, dai redditi minori espulsi dalle proprie abitazioni per affitti troppo alti, a quelli più ricchi spinti a investire per guadagnare in quegli immobili. Tendenza non solo londinese visto che interessa San Francisco, New York e Vancouver, o in Europa Berlino e Barcelona, oltre a città britanniche come Bristol, Manchester, fino a Margate o Hastings.

Non è gentrification, ma un fenomeno senza precedenti in cui il capitale globalizzato sta cambiando forma a intere nazioni. Per tutto il XX secolo le abitazioni di proprietà pubblica pesavano per grande percentuale sulle case britanniche. Dagli anni ’80 in poi quel patrimonio è stato costantemente eroso, insieme dalla vendita alle famiglie inquiline con due milioni di alloggi comunali venduti, spesso solo per essere affittati (col passaggio del 40% degli ex assegnatari al mercato privato dell’affitto dove si pagano canoni tre o quattro volte più elevati rispetto a chi ancora risiede nei complessi pubblici). Negli anni ’80 si è deciso di non costruire più per chi ha redditi troppo bassi, ma di creare invece un sistema di sussidi all’affitto che ammortizzavano ma sostenevano quell’impennarsi dei prezzi. Un impennarsi ampiamente previsto ma nessuno prevedeva fino al punto di oggi. L’insieme delle privatizzazioni, di non costruire più case pubbliche, sposta il mercato dall’affitto sul privato anche per le fasce più basse. Studi della National Housing Federation mostrano un raddoppio dei sussidi pagati alla proprietà privata che affitta: dai 4,6 miliardi di sterline del 2006 ai 9,3 miliardi del 2016.

La penuria di abitazioni economiche ha indotto una serie di problemi nel mercato privato degli affitti, dalle proprietà di veri e propri tuguri con posti letto in edifici molto precari, al ceto medio londinese delle fasce d’età inferiori a 45 anni che non può più permettersi di abitare in città. Ne è colpita una intera generazione e subiscono servizi essenziali per tutti, dagli ospedali alle scuole, per non parlare di tutte le attività di piccola media dimensione. «Calcoliamo che circa un terzo dei proprietari privati di immobili svolga il proprio ruolo in ottima fede e correttamente» spiega il consigliere municipale di Southwark, Mark Williams, «un altoe terzo è in ottima fede ma lavora decisamente male, mentre tutto il resto è proprietà di tipo proprio speculativo. Ai margini di ciò ci sono poi quelli che trattano tuguri ed esseri umani in modo criminale». Southwark, nel sud-est londinese, nonostante la crescita esponenziale di edilizia di lusso, ancora comprende ampie sacche di povertà. Williams racconta che l’amministrazione ha scoperto un alloggio di due stanze nel complesso Aylesbury dove abitavano venti inquilini, che si fanno ogni giorno quaranta minuti di bus all’andata e poi al ritorno da Bromley, per lavorare in nero in un laboratorio.

Da quando la circoscrizione di Newham ha introdotto le proprie regole sugli affitti privati, si è fissato il limite massimo di inquilini per stanza richiedendo che le agenzie mettano in chiaro da subito quel limite, ma alcuni non lo fanno. «Erano in parecchi all’inizio a non rispettare le regole, ma poi hanno smesso dopo i controlli, ma anche noi ci siamo rilassati e le cose sono tornate al punto di prima» racconta Dick. E non lo sorprende affatto: «Perché dovrebbero seguire le regole? Il mercato è squilibrato e ci sono tutte le condizioni per sfruttare in ogni modo chi ha bisogno. Abbiamo a che fare col peggio di due cose: un mercato controllato ma non regolato. Gran parte di quelli a cui abbiamo intentato causa sono proprietà criminali, anche se ufficialmente la definizione sarebbe meno drastica». È come sappiamo difficile avere dati precisi, ma un rapporto del Migrants’ Rights Network datato 2013 conclude che nella sola zona di Ealing ci sarebbero fino a 60.000 inquilini in strutture illegali, mentre l’amministrazione di Slough usando rilevazioni dall’alto termiche ha calcolato 6.000 posti letto in baracche abusive. Ancora nel 2013 un servizio della BBC rilevava agenzie che affittano questo tipo di sistemazioni sia a Willesden Green che Harrow.

Molti riconoscono la validità del programma di controllo dell’amministrazione di Newham, e molte altre amministrazioni hanno espresso l’intenzione di imitarlo. Ma nel 2015, per la delizia dei proprietari, il governo ha chiarito che non intendeva affatto diffondere quei programmi, con l’allora ministro per la casa Brandon Lewis che descriveva le iniziative «una indebita tassa sulla proprietà». Nonostante il Ministero per le Aree Urbane e le Amministrazioni locali avesse erogato al consiglio di Newham un milione di sterline a sostegno, in realtà poi le leggi non solo non sono cambiate per diffondere la pratica, ma addirittura l’hanno resa più complicata. Una amministrazione locale deve chiedere il permesso al governo centrale per qualunque programma di controllo che copra oltre il 20% della superficie della circoscrizione, o interessi oltre il 20% delle proprietà in affitto private. A Redbridge, nord-est londinese, una richiesta è stata respinta dal governo perché interessava l’intero territorio della circoscrizione. E il presidente del consiglio locale, Jas Athwal, dichiara che diventa «impossibile per noi … confrontarci attivamente coi bassissimi livelli di questi alloggi in affitto». Appare chiaro allora come il metodo per intervenire decisamente su questi affitti criminali sia stato individuato, ma è il governo che si rifiuta di sostenerlo.

Il sovraffollamento estremo è illegale, ma le condizioni pessime si trovano comunque anche negli affitti di «mercato normale». Jan è laureata e ha un buon lavoro, ma vive in ciò che definisce «povertà da ceto medio» nonostante guadagni 40.000 sterline l’anno. Insieme al marito nonostante entrambi abbiano un buon stipendio faticano ad arrivare a fine mese. L’ultimo trasloco l’hanno fatto tre anni fa quando il proprietario ha aumentato l’affitto a 450 sterline al mese. Aveva in mente di vendere a un costruttore e trasformare quegli appartamenti in una sola casa di lusso, per questo voleva liberarsi degli inquilini. Le condizioni non erano certo ideali: riscaldamento difettoso, e Jan col compagno dormivano nella stanza soggiorno per lasciare ai figli – un ragazzo di dieci anni e una bambina di sette – una propria camera ciascuno. Nell’appartamento a due locali dove stanno adesso anche quella soluzione diventa impossibile, e si pensa di sistemare una branda nell’alcova in fondo all’ingresso per la figlia. «Ci metteremo una tenda davanti, ma mi pare una cosa da Dickens» racconta. E ripensando a quanti ridimensionamenti di aspettative ha vissuto adattandosi sempre aggiunge: «Stiamo in un appartamento decisamente inadeguato ma va detto che almeno il riscaldamento qui funziona».

Tra gli altri vantaggi dell’appartamento inadeguato ma almeno riscaldato, pieno di insetti, c’è che costa un po’ meno, ma sta nel distretto scolastico sbagliato rispetto alla scuola secondaria a cui vorrebbe iscriversi il figlio, cosa che lo mette parecchio in ansia. Una agenzia le ha trovato un appartamento più grande a West Norwood, dove stavano prima, ma con un affitto che si prenderebbe due terzi dello stipendio. “L’alternativa sarebbe tra stare qui in uno spazio inadeguato e adattarci o tornare a West Norwood, con una bella cucina abitabile, ma vivere al di sopra dei nostri mezzi». Una scelta diversa c’è verso Croydon o Mitcham, ma con prezzi non molto inferiori. «Lì ci potremmo permettere anche un appartamento in palazzina con giardino ma i ragazzi starebbero in un distretto scolastico diverso dal loro, col problema degli spostamenti e la perdita delle relazioni». Jan guadagna parecchio più dello stipendio medio, mentre il compagno è insegnante. Ma al netto delle spese per i figli non resta molto altro: «Vestiti usati e mai una vacanza. Lo chiamano ceto medio in ristrettezze ma è povertà. Influisce su una serie infinita di aspetti davvero imprevedibili». Per giunta proprio il giorno dell’intervista per Jan è stata una giornata tremenda per gli spostamenti, treni soppressi, l’abbonamento ricaricabile che le scala per sbaglio venti sterline in più. «Stavo sulla banchina a piangere, è davvero oltre le mie capacità di sopportazione».

Per gli ultimi trent’anni economia e cultura britanniche ruotano attorno al credo conservatore della casa in proprietà. Ma nonostante la retorica che circonda il tema, le case in proprietà nel paese non hanno mai superato la media europea del 70% ai primi 2000. Anzi c’è stata una discesa al 64%: il minimo da trent’anni. A Londra nel 2017 gli affitti privati di appartamenti sono più dei mutui per l’acquisto di una casa. «Un problema che adesso tocca il ceto medio» racconta Betsy Dillner, direttrice di Generation Rent, associazione per l’affitto privato. «Si crede che noi rappresentiamo solo la fascia del ceto medio, ma certamente se si scopre un metodo per estendere certi vantaggi del settore privato ai settori più vulnerabili della società potrebbe funzionare per tutti». Al giorno d’oggi in Gran Bretagna sono 11 milioni le persone che pagano un affitto da inquilini dentro un mercato a strati sovrapposti che parte dai più incredibili tuguri per arrivare alle abitazioni di lusso.

In quanto associazione, Generation Rent auspica controlli su quel mercato, un registro nazionale delle proprietà e delle agenzie autorizzate: tutto, ammette Dillner, piuttosto improbabile nel clima ideologico attuale. «Pare assai più burocraticamente difficile gestire un ricovero per gatti che non una proprietà in affitto. Non per dire che non ci debbano essere regole per gli animali domestici, ma si vorrebbe che i medesimi diritti riguardassero anche la casa dove abitiamo e i suoi inquilini».

Insieme ad altri 2,3 milioni di londinesi, Sian Berry della direzione del Partito Verde abita in affitto in una casa privata, e ha pagato oltre la metà del proprio reddito diviso tra i sei diversi alloggi abitati da quando si è trasferita a Londra vent’anni fa. Nel 2016, ha pubblicato un Big Renters Survey su 1.000 persone. Secondo gli intervistati la questione principale erano le somme costantemente in crescita, e sette su dieci lamentavano la carenza di manutenzioni e riparazioni. Umido, muffa, impianti idraulici di riscaldamento o elettrici insicuri compaiono spessissimo,insieme alla tendenza delle proprietà allo sfratto dell’inquilino che si lamenta anziché intervenire.

Un inquilino racconta: «Dopo il tracollo in un colpo solo di apparecchiature elettriche del valore complessivo di migliaia di sterline è venuto un elettricista a verificare l’appartamento. I cavi erano l’impianto peggiore che avesse mai visto, una “trappola mortale” per usare le sue parole. Noi ci abitavamo con un neonato. La proprietà decise di sfrattarci buttandoci su una strada anziché fare le riparazioni». Un altro intervistato ricorda di essere stato obbligato a indossare guanti di gomma facendo la doccia per evitare di prendere la scossa, e un altro ancora dice: «Una volta mi è caduto sulla testa e sul mobilio il soffitto di un vecchio appartamento. La proprietà ha mandato degli operai a lavorare alle riparazioni per due mesi durante i quali abbiamo continuato a pagare l’affitto, ma alla fine dei lavori l’affitto è aumentato a una somma che non potevamo permetterci obbligandoci a uscire».

Un altro fattore che condiziona parecchio gli affitti privati è l’irruzione di nuovi operatori come Airbnb. Poter operare su tempi di pochi giorni di fatto sottrae al mercato del termine più lungo molti appartamenti sui cui si guadagna molto di più. E Airbnb è diventato l’obiettivo principale di tante associazioni e gruppi per gli inquilini tra Europa e USA, specie nelle città dove c’è più turismo da New York, a Barcelona, Berlino, Londra. A New York, Barcelona e Berlino, le amministrazioni provano a impedire alla proprietà almeno di destinare interi immobili all’affitto breve di Airbnb. Ma anche se queste politiche di controllo vengono introdotte in alcuni casi, si tratta di un settore difficile specie là dove garantisce enormi guadagni. La bedroom tax, introdotta nel 2013 per gli inquilini di edifici cooperativi o case popolari, è una immagine speculare di Airbnb. In una società in cui crolla il concetto di abitazione pubblica, si impone un carico fiscale per le stanze non stabilmente occupate, mentre invece chi possiede spazio a sufficienza per sé e per altri lo può sfruttare liberamente come fonte di reddito.

Un’altra caratteristica di questa new economy dell’affitto privato è il contratto di vigilanza che accetta chi abita necessariamente in forma precaria fabbricati già destinati alla ristrutturazione per evitare che vengano occupati abusivamente. Spesso in posizioni isolate come la Balfron Tower nell’est londinese progettata da Ernő Goldfinger, dove stanno temporaneamente gruppi di artisti, approfittando dell’affitto ribassato e al tempo stesso sollevando un po’ il tono dell’area. In passato spesso gli artisti gli edifici abbandonati li occupavano abusivamente, a Shoreditch o Brixton, svolgendo un ruolo importante nel conservare una certa articolazione sociale della città, ma favorendo involontariamente la gentrification. Ma nel 2013 è stato approvato un emendamento che inasprisce le pene per le occupazioni illegali fino a sei mesi di carcere, e una multa di 5.000 sterline. Oggi questo tipo di contratti di vigilanza può essere considerato un modo per gestire cooptandoli dei potenziali occupanti abusivi giovani e creativi, ma accelerando la gentrification. E contemporaneamente a svolgere un ruolo di sicurezza per l’immobile, senza alcun diritto, spesso in situazioni abitative pessime che possono essere sfrattati in qualsiasi momento.

La preoccupazione principale, per governo e imprese, è che chi non guadagna a sufficienza per pagarsi quegli affitti esorbitanti sia costretto ad andarsene, svuotando mercato del lavoro e identità urbana. «Ascoltando i datori di lavoro si capisce che faticano a trattenere certe fasce di impiegati e dirigenti, figuriamoci chi svolge le mansioni come le pulizie. Londra sta perdendo anche gli insegnanti, che fanno il pendolare sin da Luton o rinunciano al posto, con effetti devastanti sui servizi» osserva Dilner. I posti non coperti da infermiere negli ospedali sono il 14-18%, secondo uno studio del King’s Fund, e gli iscritti ai corsi obbligatori di aggiornamento per insegnanti sono calati del 16% dal 2010, secondo Ofsted.

Ma non sono solo insegnanti infermieri artisti o ricercatori precari universitari a non potersi permettere una casa a Londra. Fifty Thousand Homes è una associazione di imprese che comprende Royal Bank of Scotland, CBI e altri importanti operatori a Londra, costituita per sensibilizzare la politica sul problema della casa. Le sue ricerche rilevano come secondo le tendenze attuali vengano espulsi dalla capitale dipendenti di commercio e servizi ad ogni livello. Tre quarti dei titolari di attività sono convinti che il costo dell’abitare sia un rischio elevato per la crescita economica di Londra, e il 70% dei londinesi tra i 25 e i 39 anni riferisce come il costo dell’affitto o del mutuo rende sempre più difficile restare a lavorare in città.

Vicky Spratt è una giornalista ventottenne che produceva programmi politici alla BBC, ma ha smesso convinta che non si affrontassero correttamente i problemi della sua generazione, primo fra tutti la crisi delle abitazioni. «La vecchia generazione li sottovaluta perché non li interessa: sono proprietari della propria casa». Spratt è passata alla rivista di costume online The Debrief, rivolta a donne ventenni, lanciando immediatamente una campagna contro le agenzie che offrono affitti, che ha raccolto 250.000 adesioni. E fatto sì che il Cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, tagliasse le tasse delle agenzie con un decreto nell’autunno 2016 che segna una vittoria per la proprietà privata.

Spratt si autodescrive come una militante poco convita, costretta dai fatti a entrare nella mischia. Oggi spende 1.430 sterline al mese, spese escluse, per un bilocale che si può permettere solo perché lo condivide col compagno, mentre prima stava in una stanza «grande letteralmente quanto il letto». Dove «Le pareti erano molto sottili dato che un tempo c’era una stanza più grande suddivisa dalla proprietà per ricavarne due. Ho cominciato a farci caso nel giro di qualche settimana dopo che il mio equilibrio psicologico iniziava a vacillare». Spratt guadagna a sufficienza per potersi permettere un mutuo, ma per colpa degli affitti così alti non riesce a risparmiare tanto da coprire l’anticipo del 20–30% richiesto. «La cosa che le persone della mia età hanno tutte in comune è di non possedere una casa e probabilmente mai la possederemo. La crisi delle abitazioni ha più anni di me e mi colpisce che nessuno sia mai intervenuto, vorrei farne un tema importante dell’informazione. È una mancanza strutturale. Che richiede qualche tipo di spiegazione dal mercato senza alcuna regola e dalle proprietà speculative».

Spratt individua una delle ragioni principali di questo vuoto politico nel fatto che «al potere sta chi non conosce per esperienza diretta quel problema», calcolando che circa un terzo del Parlamento è composto da proprietari immobiliari che affittano. Da laureata a Oxford che ha lavorato anche a Westminster, sospetta addirittura che il grande successo della sua campagna sul tema dipenda dal fatto che «Parlo e sembro come loro». Betsy Dillner, coordinatrice di Generation Rent, continua: «È il tipo di ideologia da libero mercato neo-liberale affermata negli USA e che sta prendendo piede anche qui». Si teme che il risultato possa essere una perdita di anima delle città, «Luoghi dove è impossibile abitare con la famiglia, essere giovani, iniziare una attività, tutte le cose che apprezziamo nella città: il costo dell’abitare si porta via tutto». Se una popolazione che si sposta altrove rispetto a Londra pare un ottimo modo di riequilibrare l’economia del paese, il problema resta comunque che quasi tutte le prime cento imprese ci tengono la sede principale e la gran maggioranza dei posti di lavoro.

Non è possibile pensare a una soluzione della crisi della casa senza radicali cambiamenti economici. La debolezza del mercato del lavoro privato e il taglio dei posti nel settore pubblico di tutte le regioni del paese significa che moltissime persone continuano a fare riferimento al mercato di Londra. Qualcuno se ne va dalla capitale ma qualcun altro arriva e inizia a confrontarsi con condizioni inaccettabili pur di far quadrare lavoro e famiglia. Ciò vuol dire che la «generazione in affitto» deve pagare spropositatamente per abitare in una città sterile, campo giochi esclusivo per ultra ricchi in centro, circondato dai quartieri della gentrification hipster e insieme delle case cadenti e degradate per i lavoratori in nero, tra Barking, Dagenham o Edmonton. Ma il solo trasloco di intere fasce di popolazione tra un posto e l’altro perché crescono i prezzi già crea problemi. Spostar casa non è mai semplice, anche se lo si fa per scelta. Diventa assai peggio quando si viene letteralmente strappati da ogni rete di relazioni e di sostegno, di vita quotidiana e identità, di tutto ciò che insomma chiamiamo casa. Anche la sola paura di essere strappati via così, che si chiama insicurezza abitativa, genera squilibrio psicologico collettivo.

Un posto certo e stabile per abitare rappresenta un fattore essenziale del benessere individuale, secondo uno studio degli psichiatri Ciaran Abbey e TBS Balamurali. Intitolato Housing the Mind, racconta di come lunghi periodi di precarietà abitativa possano intaccare la salute mentale, e lo stesso possa succedere quando più del 30% del reddito se ne per la casa: «Se si spende sproporzionatamente per abitare, resta poco per le altre necessità, a partire dall’alimentazione, aumenta la predisposizione ad ammalarsi, ma anche l’ansia e l’insicurezza di non riuscire a farcela» spiega Abbey. Quando le persone perdono la casa non è solo il rifugio materiale a venire a mancare, ma un intero universo.

Non è un problema di costruire più edifici, ma del tipo di edifici che si costruiscono e per chi li si costruisce. Sono le nostre priorità sociali. Si trasformano proprietà a Londra pensando a ricchi investitori internazionali anziché a chi ha più bisogno di abitazioni. Man mano si prosciuga la scorta di autentiche case economiche e popolari, lievitano gli affitti e il contribuente viene costretto a versare miliardi di sterline in sussidi che finiscono nelle tasche del mercato privato degli affitti in case di pessima qualità. Sinora, tutte le soluzioni, proposte da entrambi gli schieramenti politici, sembrano al massimo rivolte solo all’emergenza attuale. Mentre ci sarebbe bisogno di un autentico nuovo contratto sociale, perché l’abitazione ritorni ad essere un diritto per tutti, non solo una rendita per qualcuno.

da: The Guardian, 25 maggio 2017; Titolo originale: The great London property squeeze – Traduzione di Fabrizio Bottini; Estratto da Big Capital, Penguin 2017

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