Quando ormai diversi anni fa i due giornalisti canadesi autori di Plenty sperimentavano e raccontavano il loro anno di vita rigorosamente impostata alla «dieta delle cento miglia», giocoforza (motivi ovvi di mercato editoriale) dovevano dare alla narrazione una prospettiva molto familiare e soggettiva. Leggendo l’appassionante libro, si viaggiava dai terrapieni polverosi estivi della periferia urbana, con i cespugli di more mature e gli orti degli immigrati, agli interni invernali del mercato del pesce alla ricerca delle bancarelle con prodotti a km0 o quasi, o in casa nella cucina fumante a preparare conserve e salse varie. Benissimo, per chi è convinto che alla parola «dieta» debba corrispondere quel cortocircuito tutto personale fra la bocca e ciò che ci si infila dentro, con l’aggiunta ornamentale di alcuni dettagli di paesaggio circostante, arredo e battute varie. Un po’ ristretta come veduta per chi vorrebbe magari veder sviluppati meglio i temi ambientali, sociali, territoriali ed economici dell’alimentazione, anche senza dimenticare la tavola, un po’ come si è (in parte) provato a fare con l’Expo 2015 dedicata al tema Nutrire il Pianeta Energia per la Vita.
La pancia e la capanna
Se partiamo dalla prospettiva economica, vediamo che un territorio «dà da mangiare» anche garantendo posti di lavoro, in tutte le attività intermedie fra l’inizio e la fine della catena alimentare, dal campo al piatto insomma, senza dimenticarsi quella versione particolare di «campo» che sono le acque, marine, lacuali e fluviali. O meglio ancora, per dire pane al pane e vino al vino, tutto ciò che non solo produce, ma lavora, trasforma, distribuisce, informa sul cibo, lo promuove e pubblicizza. Come si vede c’è molto ma molto di più del solito signore col cappello di paglia a cui pensiamo automaticamente sentendo la parola chiave «alimentare» riferita al territorio. Un territorio che poi, per svolgere la sua funzione di piattaforma e brodo di coltura per ciò che mangiamo, deve essere sano e affidabile, nonché disponibile in quantità proporzionate al numero di bocche da sfamare, più o meno. Dunque una politica territoriale alimentare deve quantomeno riguardare: produzione, trasformazione, distribuzione e consumo di cibo nelle varie forme; il mercato del lavoro e il sistema delle imprese e della formazione e ricerca connesse agli aspetti produttivi, commerciali, sanitari, di immagine del bacino di produzione; tutela delle risorse acqua, aria, suolo, conoscenze, entro cui si sviluppa l’intera filiera, ovvero dell’ambiente fisico e sociale del territorio; garantire che i vantaggi di queste azioni riguardino in modo tendenzialmente equo tutte le fasce di popolazione, e non solo pochi fortunati.
Quante sono cento miglia
Lo Stato Usa del Massachusetts, come altri territori prima, si è dotato di un proprio Food Action Plan a declinare questi obiettivi strategici per il proprio contesto. Il quale contesto ha però alcuni elementi specifici di interesse. Si tratta di un bacino territoriale-alimentare corrispondente a una forma definita e forte di governo politico-amministrativo, autonomo, articolato, in grado di approvare leggi e articolarle in politiche entro entità minori pure autonome ma per certi versi subordinate (come nei finanziamenti). Questa entità politica opera su una superficie di poco più di 27.000 chilometri quadrati, ricca di varietà interna, acque dolci, affaccio sul mare, popolazione di 6 milioni e mezzo di abitanti circa, di cui i due terzi concentrati nella regione urbano-metropolitana di Boston. Forse molti di coloro che stanno leggendo queste note, facendo qualche elastica comparazione, potrebbero trovare parecchie similitudini fra questi aspetti quantitativi e qualitativi del Massachusetts, e il bacino territoriale in cui risiedono, o qualcosa di molto vicino a loro e ben conosciuto. Un’altra comparazione, per concludere, è quella col bacino del tutto teorico individuato a suo tempo dagli autori di Plenty, citato in partenza, il «raggio delle cento miglia», che nel caso specifico pare perfettamente ricalcato. Insomma se vogliamo davvero dare senso agli slogan programmatici di Expo 2015, forse è meglio partire da queste considerazioni ed esperienze, dai metodi e obiettivi che si pongono in forma integrata.
Riferimenti:
Massachusetts Food Action Plan, dicembre 2015