I segni hanno sempre un senso. Figuriamoci i monumenti, quelli veri, come una bella statua di bronzo in mezzo a un’aiuola circolare. Una cosa che a chiunque fa venire in mente l’idea di città. Ed è esattamente a questo che pensa un chiunque passante, o meglio guidante, in rotta verso Milano dal settore orientale, quando sullo sfondo di una lunga prospettiva di pioppi e precompressi misti la vede. La statua di bronzo, di una figura umana seduta, alta un paio di metri e qualcosa sul cocuzzolo di una rotatoria. Incongrua per dimensioni e localizzazione, ma ineccepibile nel segnalare che la nuova dimensione metropolitana ha raggiunto anche il mondo dei segni, oltre a quello delle densità e delle correlazioni spaziali e sociali. Per gli aspetti politico-amministrativi, naturalmente, dovremo aspettare ancora qualche lustro, o secolo.
Siamo sulla strada Rivoltana, l’asse viario che inizia in Piazza San Babila, e poi cambia varie sezioni e nomi passando per esempio davanti alla Provincia, al quartiere razionalista «Fabio Filzi» di Franco Albini, al famigerato centro per immigrati di via Corelli, e poi assume natura e nome di grande arteria davanti al palazzo Mondadori di Oscar Niemeyer, dove si ricongiunge col viale dall’aeroporto (el stradon per andare all’Idroscalo, di Jannacci). Alla fine del territorio comunale di Milano, la strada attraversa una porzione del territorio comunale di Segrate, dove si affacciano tra l’altro sia la citata Mondadori, sia una delle più note neo-cittadelle da utopia piccolo borghese anni Settanta: Milano San Felice. E proprio all’altezza di San Felice inizia il territorio del comune di Pioltello, frazione Limito, segnato da quella rotatoria con monumento cocuzzolare. Di fianco alla rotatoria, una strada sterrata inquadra un cartello. Sullo sfondo, lontano tra i pioppi radi di inizio pianura, qualche gru spunta dall’erba. Il cartello recita: Progetto Malaspina. Per maggiori informazioni consultare il sito web.
Cos’è
Dato che chi scrive non è neppure un dilettante della comunicazione, lascio doverosamente un po’ di spazio ai professionisti: «SINTESI DI BENESSERE. Alle porte di Milano, sul lago Malaspina, nasce un grande progetto di Aedes, Banca Antonveneta, Pirelli Real Estate. Un’iniziativa immobiliare pensata attorno all’individuo, per vivere e lavorare meglio. Residenze e uffici armoniosamente immersi nella natura, in una delle più grandi aree verdi della Lombardia. 720.000 mq di cui 498.000 mq circa destinati a parco pubblico». Ecco qui, in sintesi (di benessere), più o meno tutto. Compresa un’importante specificazione: si tratta di un progetto «attorno all’individuo». Ecco cosa raffigurava quella statua in mezzo alla rotatoria: l’Individuo.
Il documento promozionale da cui è tratta la citazione contiene naturalmente molti altri dati e informazioni. Per esempio che le residenze avranno una superficie lorda di pavimento complessiva di 44.000 metri quadrati, e che il Business Park offre 22.000 metri quadrati di superficie coperta, e circa 80.000 mq di superficie lorda di pavimento edificabile. Alle superfici edificabili, si aggiungono poi 78.000 mq «direzionali», 3.000 mq commerciali, 11.000 mq accessori.
Se si osserva la planimetria generale del progetto, si nota un’organizzazione generale lungo l’asse nord-sud, perpendicolare e relativamente autonomo rispetto a quello della statale Rivoltana, col raggruppamento degli uffici a nord e, separata anche da uno spigolo del lago artificiale che da’ il nome al quartiere, la zona residenziale, inserita ai margini della grande area verde. Un’area verde che, a parte gli standards ovviamente vantati dai promotori, è tutta farina di un altro sacco. Siamo infatti sui margini settentrionali del metropolitano Parco Sud (come si capisce anche da qualche stralcio di paesaggio), e soprattutto in una delle località dove la Regione Lombardia, settore Agricoltura, ha promosso l’iniziativa delle cosiddette «foreste di pianura».
La Foresta
Il Bosco della Besozza (da nome della cascina) copre una superficie di 37 ettari, che sarà interessata da interventi di riforestazione e altre operazioni di ri-costruzione del paesaggio. Come ci spiega il sito del settore regionale competente, il progetto generale si articola in:
– interventi di forestazione (oltre 26 ha), con creazione di una barriera verde tra il parco e la Rivoltana, per ridurre il rumore all’interno del parco e limitare la percezione della presenza della strada;
– ripristino del fontanile esistente come elemento del paesaggio rurale: sarà necessario liberare la risalita dell’acqua dal sottosuolo e consolidare gli argini, ristabilendo la giusta pendenza per permetterne lo scorrimento;
– rinaturalizzazione dei corsi d’acqua,con un laghetto di circa 1000 mq che riproduca l’ambiente palustre. Costituirà un ecosistema complesso con rettili, anfibi, mammiferi, insetti e uccelli;
– creazione di aree aperte attrezzate per la ricreazione, orti urbani, percorsi ciclo pedonali.
E scusate se è poco, a un chilometro a sud dei laghetti di cigni artefatti e minuscoli di Milano Due, e dai pezzi di Parco Lambro via via ritagliati dall’espansione edilizia. Una Milano Due bis, o ter, o quater, almeno negli effetti sull’intorno, che il progetto Malaspina poteva anche diventare, a suo tempo (e fino a non molto tempo fa).
Cosa doveva essere
I circa settecentomila metri quadrati di questo terreno a Limito di Pioltello, al confine con San Felice di Segrate, sono conosciuti da queste parti col nome di Bica. Potrebbe sembrare il solito toponimo da cascina, o corso d’acqua, e invece è una sigla. Sta per Beni Immobili Civili e Agricoli, ovvero il fondo previdenziale dei dirigenti Montecatini (il buon Bianciardi ci scriverebbe un thriller, fosse ancora vivo). Gli immobili Bica sono acquisiti negli anni Ottanta, da nientepopodimeno che Edilnord, ovvero Berlusconi, che nello stile diventato poi noto alle cronache inizia a suo modo i processi di valorizzazione.
L’idea iniziale è di realizzare un complesso per uffici con 12.000 occupati complessivi, sviluppato – pare di capire – a nastro lungo la statale. Cresce l’opposizione locale a quello che si capisce essere un progetto ad alto impatto su un territorio di prima cintura ancora ricco di potenzialità ambientali, ma già sovraccarico in termini di congestione da traffico e insediamento industriale. Con intrecci (ovvio: qui siamo anche fisicamente a Tangentopoli) giudiziari vari, e rinvii nella realizzazione, finalmente si arriva alla metà degli anni Novanta a definire una possibile soluzione, anche se di compromesso. Una variante al PRG del 1999 si riassume per questa zona in:
– “dimezzamento delle volumetrie previste dal vigente Piano Regolatore (125.000 mc invece di 250.000 mc di edifici)”;
– “cessione al comune dell’intera area non edificata”;
– “localizzazione lungo una direttrice nord-sud … , lasciando libero oltre mezzo milione di mq di terreno al confine con la cascina …”;
– “trasformazione a residenza di un terzo dell’intera volumetria edificabile, che il Piano Regolatore attuale prevede destinata tutta a terziario”.
Conclusioni
Ecco, solo per fare un esempio, da dove viene quell’orientamento perpendicolare ereditato dagli attuali promotori (che hanno rilevato le proprietà Edilnord), inusuale e certo diverso dal solito sviluppo a nastro che soffoca tutte le statali per decine di chilometri a diradare in tutte le direzioni. Certo, come si riconosce anche ufficialmente all’interno dell’amministrazione, si poteva anche fare di meglio. E aggiungerei io anche di meno, e magari pure da un’altra parte, visto che qui a fare da cesura col polmone del Parco Sud c’è già la cittadella «introversa» di San Felice, che nonostante tutto il suo privatissimo verde sembra comunque un corpo estraneo piantato in mezzo al paesaggio. Poi ci sarebbe anche da dire sulla scelta della netta separazione anche planimetrica fra il business park e le residenze: buono in un manuale di zoning paleonovecentesco, con la sua certezza dell’investimento ed efficienza gestionale interna, lontanissimo da qualunque idea di città non strampalata. Certo si tratta di piccole dimensioni relative, ma trattandosi di un insediamento nuovo forse anche un progettista americano new urbanism, abituato a ben altre scale, storcerebbe il naso davanti ad un’occasione persa di mixed use.
Comunque, a quanto pare ce l’abbiamo e ce lo teniamo, questo progetto Malaspina, con tutte le sue probabili barriere, visive e non, rispetto al resto del territorio, e col suo bel Monumento all’Individuo Ignoto sul cocuzzolo della rotatoria. Una forma attenuata di quanto pensato nelle brume metropolitane di pre-Tangentopoli, ma tutto sommato un’eredità di un modo sballato di pensare il territorio. Certo, visto da un altro punto di vista, un successone, se si pensa a quello che succede «a dieci minuti d’auto» in qualunque direzione.
Nota integrativa di Mario De Gaspari
Qualche parola sulla statua
L’autrice è Eugenia Bolocan, che abita a Pioltello, per la precisione a Seggiano. La «donna seduta» è nata piccolina, più o meno alta una settantina di centimetri. Quando Eugenia me la regalò, anzi quando la donò al comune, la collocammo sopra un tavolino fuori dal mio ufficio. Siccome avevamo da qualche anno portato a Pioltello, anzi sempre a Seggiano, la Maf, la moderna fonderia artistica sfrattata da via Soperga a Milano, chiedemmo alla scultrice se se la sentiva di farne una copia in grandi dimensioni. Alla Maf, cooperativa storica di artigiani che ha lavorato per tanti artisti, come Medardo Rosso, Manzù, Manfrini, Bodini…, avevamo assegnato un fabbricato dismesso che il comune aveva da poco acquistato da Aem. Comodato gratuito in cambio di opere, e possibilità di tenere in fonderia iniziative varie, tra cui il corso di fusione per gli studenti di Brera.
Così anche la «donna seduta», fusa a cera persa, entro nel patrimonio del comune e con Eugenia ne stabilimmo la collocazione. Anzi fu lei in pratica a sistemarla sulla rotatoria in mezzo al traffico sostenuto della Rivoltana, seduta e meditabonda in mezzo al can can dei pendolari. E lì è rimasta fintantoché la rotonda è diventata oblunga e lo spazio si è troppo ridotto. La nuova amministrazione ha deciso così di trasferirla nel prato a sud della stazione ferroviaria senza chiederle nemmeno un parere. Ora è lì, non dirige più il traffico e non sa che fare.
La vicenda urbanistico-amministrativa
La storia della Bica è un po’ più complicata e comincia, se ricordo bene, verso la fine degli anni 80, con l’acquisto da parte del gruppo Berlusconi dei terreni di proprietà della curia milanese, per la precisione della fondazione Figli della divina provvidenza. Venne tangentopoli e la Bica fece la sua parte. L’amministrazione di sinistra arriva in affanno al termine del mandato. Porta in consiglio l’operazione fuori tempo massimo, ma giusto in tempo per perdere le elezioni a vantaggio di un’amministrazione leghista. Una sorta di commissariamento elettivo. Siamo nel ’93. Ma anche il sindaco leghista non ce la fa. La sua giunta monocolore implode, sempre su quel progetto da un milione di metri cubi firmato da Federico Oliva. Comune commissariato. Nel ’97 sinistra, lista civica, popolari mi candidano sindaco. Non sono iscritto a nessun partito, ma mi conoscono perché ho contribuito a far nascere con qualche amico il comitato per l’Ulivo. Campagna elettorale estenuante e vittoria al ballottaggio. Si parte da 40 a 60 e si vince 60 a 40. Il giorno dopo l’insediamento, prima ancora che venga convocato il consiglio e si costituisca la giunta, arriva la sentenza del Tar che dà ragione alla proprietà, Edilnord 2000, in quanto il consiglio comunale ha rigettato il piano di lottizzazione senza motivazioni. Faccio incazzare subito i miei dando immediatamente mandato per il ricorso al consiglio di stato. Iniziano le discussioni, gli incontri e le trattative. I «nostri», che si annunciavano numerosi, non arrivano mai. Anzi i nostri non ci sono proprio. Anzi, in tuch de lur, mediatori, consiglieri e ruffiani. Un sacco di gente che dà consigli non richiesti. E sempre nella stessa direzione.
Alla fine propongo il dimezzamento delle volumetrie, lo spostamento dell’edificato a ridosso di San Felice, concentrando i fabbricati sull’asse nord sud. Concediamo un terzo di residenziale, ma vogliamo tanto spazio libero e la cessione delle aree verdi alla firma della convenzione in modo che la partita sia chiusa una volta per tutte. In pratica 450.000 metri cubi, 300.000 direzionali e 150.000 abitativi. Non so se si sarebbe potuto fare di più. Per come ho vissuto io la vicenda, è stata una buona operazione, pulita, civile e senza polemiche. Ricordo che sentii l’architetto Hoffer, durante una riunione, dire al suo vicino: «Finora abbiamo sempre pagato e non abbiamo mai costruito niente. Stavolta non ci chiedono tangenti e magari riusciamo a costruire qualcosa». Un po’ pirla? Nel frattempo riscuotevo 800 milioni per il patteggiamento dell’ex dirigente dell’ufficio tecnico, 400 per il patteggiamento di Paolo Berlusconi e un centinaio di milioni per il patteggiamento dell’ex sindaco socialista. In seguito Edilnord 2000 cedette la realizzazione dell’operazione a Pirelli RE. I primi, devo dire, mi sembravano interlocutori molto più attenti e interessati alla qualità dell’intervento. Il progetto del Bosco della Besozza non è della Regione. È nostro, del comune in collaborazione con l’Ersaf. La Regione ci finanziò la realizzazione. Anzi il nostro fu il primo comune ad ottenere i fondi del programma «Dieci foreste di pianura», perché eravamo gli unici in Lombardia ad avere la proprietà e la disponibilità immediata delle aree. Se ricordo bene furono stanziati per il progetto 4 milioni di euro.
Sulla zona suburbana della fascia orientale milanese vedi anche in questo sito Bre.Be.Mi. e mutazione genetica