Contro il fenomeno affatto moderno dell’urbanesimo lottano tutte le nazioni della vecchia Europa. È sintomo di vecchiezza l’anelare delle popolazioni verso la vita raffinata delle città e lo sprezzare la vita dei campi. Per tale via forse la razza per qualche rispetto s’affina, ma per molti altri decade e perde di vigore e di potenza. Perciò la parola del capo del Governo, sollecita di ogni fattore di gloria e di possanza per l’Italia di domani, ha solennemente segnalato il pericolo ed ha incitato alla lotta. Il Podestà di Milano, conscio dell’importanza somma che nel problema italiano ha il problema delle grandi città, anzi delle maggiori città industriali d’Italia, delle città dove forse più che altrove il fenomeno dell’urbanesimo s’accentua, ha in una sua recente dichiarazione pubblicata sul Popolo d’Italia additato il mezzo più potente di lotta che gli si offre pel caso di Milano, ed ha posto l’urbanismo contro l’urbanesimo.
Sistemare le strade e le case, sistemare i mezzi di trasporto, attuare una coraggiosa politica delle aree, sono sembrati i mezzi più acconci alla lotta che nel caso di Milano è particolarmente aspra e difficile. Nel caso di Milano l’attrazione che la metropoli esercita verso la regione circostante è semplicemente enorme, e deve essere contrastata con mezzi corrispondentemente possenti. Non si tratta qui infatti di un incremento di popolazione artificioso, o artificiale, come avviene, ad esempio, per le città che devono il loro accrescimento alle legioni impiegatizie che nelle città si recano chiamatevi dal fatto che la città costituisce un centro esclusivamente politico e amministrativo, dove hanno sede particolari uffici. No: Milano esercita un fascino attivissimo sulla regione circostante sia per ‘attrazione di una intensa vita intellettuale, sia pel fascino dei godimenti che essa può offrire, sia per la sete di rapidi e forti guadagni, sia per la speranza di trovarvi lavoro, sia infine per le svariate provvidenze benefiche che vi si esercitano.
Ogni classe della popolazione, dalla più elevata alla più umile sente il fascino di questa vita che per la sua varietà, per la sua attività, per la sua intensità, ben differisce dalla sonnacchiosa e lenta vicenda di chi vegeta nelle città del silenzio. Questo fenomeno di addensamento della popolazione è stato continuo dacché Milano fu liberata dal dominio austriaco, e crebbe in proporzioni geometriche coll’incremento della città, seguendo in ciò una direttiva comune allo sviluppo delle grandi città. È noto infatti che la curva di accrescimento delle maggiori città mentre ascende con relativa lentezza fino ad una popolazione di 300.000 abitanti, si innalza rapidamente da 300.000 a 600.000, rapidissimamente da 600.000 a 2.000.000 di abitanti, per poi divenire asintotica orizzontale dai 2.000.000 in su. Non vorremmo entrare così poco fiduciosi nella lotta da dichiarare a priori il fenomeno inevitabile ed incoercibile. Solo ne determiniamo con cruda evidenza la potenza perché ci si convinca che altrettanto potenti devono essere i mezzi da adottarsi per far argine ai danni che derivano dall’incremento di popolazione delle grandi metropoli.
In primo luogo: dov’è il male? Nella grandezza delle metropoli o nel tipo di queste metropoli? Per Milano non vi può essere dubbio; siamo in uno dei casi più tipici di addensamento. Il rapido incremento della popolazione, incremento che non ha trovato rispondenza in un rapido sviluppo ed in una rapida riforma dei servizi di trasporto ha fatto sì che la popolazione in un primo tempo continuasse a crescere addensandosi nel nucleo centrale della città. Abitazioni vecchie, malsane, incomode, dove il sole penetra a fatica attraverso cortili che sono pozzi e lungo strade che sono vicoli, hanno visto accrescersi smisuratamente il numero dei loro abitanti. Dove al tempo dei nostri nonni abitava una famiglia oggi ne abitano tre. E se gli stabili al centro hanno aumentato di valore ben raramente ciò è avvenuto per effetto di riforme o di risanamenti. In una mostruosa partenogenesi gli alloggi si sono sdoppiati, triplicati pur non aumentando il numero dei locali e non migliorando le condizioni dei loro servizi.
Ne è derivato un costipamento inverosimile della popolazione umile, che ha accresciuto fortemente il reddito dei caseggiati, anche più di quel che non sarebbe avvenuto se le case fossero state radicalmente riformate e modernizzate. Di qui maggiori difficoltà al miglioramento del nucleo centrale, e sempre minori probabilità di crearvi condizioni di vita semplicemente tollerabili. Perché questo stato di cose? Soprattutto per effetto della deficienza delle strade e dei mezzi di trasporto; deficienze queste che in certo modo concludono l’una e l’altra a uno spreco di tempo, che è particolarmente preso in considerazione da una popolazione attiva e laboriosa qual è la milanese. Occorre appena riflettere che nel passaggio successivo da città provinciale a capoluogo regionale, e a metropoli, l’intervento del fattore tempo è essenziale nel determinare lo sviluppo di una città. Se in una tarda città di provincia poca importanza ha il consumo di tempo, perché meno intensa vi è la vita, meno fervidi i traffici, ben altrimenti è per una città capoluogo di regione, o per una città che s’avvia a diventare metropoli com’è Milano.
Quando la città ha raggiunto una certa estensione le distanze tra i luoghi di lavoro e le abitazioni dei lavoratori aumentano. In una giornata sei viaggi in vettura tranviaria rubano da due a tre ore, che sono sottratte vuoi al lavoro, vuoi allo svago, e così alla produzione in effetto o alla produzione in potenza, perché com’è noto, è lo svago ben ordinato che intensifica la produzione dei lavoratori. Perciò nelle grandi metropoli dell’estero trovano fortuna i mezzi rapidi di trasporto, anche in confronto alle tranvie, certamente più economiche. Ma il tempo è danaro, e l’aforisma non ha bisogno di essere illustrato nelle città dove si vive la vita febbrile dei traffici e dei commerci. Milano tali mezzi di trasporto rapidi, per un complesso di ragioni, non ne ebbe a tempo. È noto che in una città i mezzi di trasporto dovrebbero precedere la costruzione di case. Noi siamo ben lontani da questo ideale. Potremmo essere discretamente soddisfatti se almeno l’estendersi dei vari quartieri fosse stato seguito di pari passo dall’estendersi dei mezzi di trasporto. Invece la realtà è diversa; ed oggi si corre ai ripari così come si può e dove si può, estendendo la attuale rete tranviaria, mentre il Podestà guarda più lontano e intende a ben più vasta meta.
Poiché la città così com’è oggi, risulta eccessivamente densa nel nucleo centrale, ed i trasporti di grandi masse a grade distanza sono ormai altrettanto difficili come i trasporti di masse limitate perché le vie sono anguste e insufficienti ai bisogni di una ferrovia urbana sotterranea, non lo sono meno al traffico superficiale, occorre creare una rete di ampie arterie sufficienti al traffico superficiale e capaci, quando che sia di accogliere la ferrovia sotterranea. Tale direttiva ha la fortunata coincidenza colla necessità di sfollare e di risanare i quartieri centrali della città per modo che al tempo stesso il Comune di Milano può proporsi l’intento di spingere la popolazione che oggi si agglomera al centro verso le zone igienicamente più convenienti che si trovano alla periferia, e di migliorare le condizioni di vita di chi rimane nel nucleo centrale, in quanto solo uffici od abitazioni signorili, e quindi con popolazione relativamente poco densa, potranno continuare a risiedervi.
È dunque questo il programma, programma audace di risanamento della città, programma che va a ritroso delle correnti accentratrici, perché tende a spostare la popolazione dal centro alla periferia e come tale rientra meravigliosamente nelle direttive del Capo del Governo. Programma decentrato, si è detto. Tale programma non può naturalmente limitarsi a spostare la popolazione dal centro verso la periferia. Ove qui ci si arrestasse non si otterrebbe altro risultato che di aggravare ulteriormente il già grave problema dei trasporti. Se ai molti che già oggi si pigiano nelle tranvie si aggiungessero i viaggi – e sei viaggi al giorno per persona – di tutti coloro che ancora oggi risiedono al centro, non sarebbe facile risolvere il problema brevemente e urgentemente come esso dovrebbe essere affrontato.
Occorre pertanto che parallelamente al decentramento della popolazione si promuova il decentramento delle funzioni della città. Occorre cioè sin d’ora così come si prevede un piano regolatore delle strade, e un piano regolatore dei trasporti, prevedere un piano regolatore del decentramento al quale si coordinino gradualmente tutti i servizi della vita civile, siano essi governativi, provinciali, comunali o privati. Così solo si potrà governare armonicamente lo sviluppo della città, e così solo si sarà fatto del sano e saggio urbanismo. Riservate agli uffici e alle sedi centrali le direttive generali di ogni servizio dovrebbero gli uffici periferici esercitare compiutamente ogni funzione di cui il cittadino necessita, senza che perciò esso deva ricorrere al centro. Né che ciò sia possibile potrà negarsi quando nella Chiesa cattolica, la quale nella sua organizzazione mondiale presenta la più mirabile e sorprendente unità di direttive, noi troviamo nelle parrocchie unità decentrate compiutamente organizzate per tutto ciò che riguarda i casi normali della vita materiale e spirituale dei fedeli. Esempio mirabile, ripetiamo, ed assai istruttivo per chi voglia trarne argomento di esempio per un avveduto decentramento.
Provveduto che sia ad un conveniente piano regolatore che determini sin d’ora in vista dell’avvenire non immediato una organica rete stradale, iniziata coraggiosamente la costruzione di una ferrovia sotterranea che raccordi rapidamente i punti essenziali del movimento cittadino, si potrà pensare che la Milano futura possa essere solo un poco diversa dall’attuale. Protese le linee di ferrovie rapide verso lontani obbiettivi – e non importa se più di un alinea abbia come ultima meta lo stesso punto quando i percorsi siano tra loro differenti – la città potrà estendersi con caratteri di minore densità di quel che oggi non avvenga. Sarà spezzato il monopolio delle aree da fabbrica che oggi addensa alla soglia della città forti masse di lavoratori nelle case alveari, che oggi crea alla periferia un’agglomerazione di popolazione poco diversa da quella che si ha al centro, e diventerà possibile un incremento della città – se incremento Milano dovrà pur avere per effetto della sua posizione topografica – che non sarà in antitesi con un tenore di vita più igienico e meno sfavorevole a condizioni di vigoria della stirpe.
Sarà possibile dunque una costruzione più rada, in ragione del minore costo delle aree. Potranno formarsi frequenti giardini e campi di giuoco, potranno riservarsi ampie zone a parco, o conservarsi alla agricoltura. E si potrà anche dare incremento alla costruzione di casette economiche contornate da giardino, a quelle casette di cui non si deve misconoscere l’efficacia sociale, quando si cerca il miglioramento della stirpe, e il risanamento igienico e sociale della popolazione. Ove si sappiano costruire casette veramente economiche e si abbandonino le pretese di una falsa architettura – ricordiamo certi castelli merlati, certi gotici da palcoscenico, certi fortilizi da presepio – ove si sappiano ben determinare le proporzioni tra le strade, i giardini e gli edifici, si potrà davvero economizzare sul costo della costruzione, sul costo e sulla manutenzione delle strade, sull’impianto di pubblici giardini, infine sulla spesa della pubblica beneficienza. E ove si aggiunga il vantaggio incalcolabile che deriva alla nazione da una stirpe igienicamente e socialmente forte si comprenderà di leggeri come, ove anche esistesse un maggior dispendio per una maggiore estensione dei pubblici servizi, ciò sarebbe largamente compensato dai vantaggi, e soprattutto dalla natura dei vantaggi che abbiamo enumerato.
La formazione di città giardino e di città satelliti dovrebbe essere la conseguenza delle premesse che abbiamo enunciato e che sono la base della lotta ingaggiata dal Comune di Milano contro l’urbanesimo. Attuari mezzi di trasporto rapidi, potenti e frequenti, diviene possibile l’avvicinare a Milano le ridenti regioni collinose delle Prealpi e dei laghi. A settentrione di Milano si estende una piana vaghissima, allietata dalla veduta solenne delle Alpi nostre, dal sorriso cerulei dei laghi. Questa zona è oggi sottratta a noi dalla insufficienza dei mezzi di trasporto; in questa zona invece si dovrebbero trovare le risorse più efficaci per l’igiene della Milano di domani: città giardino dove lungi dal mondano rumore i lavoratori si ritemprino nella quieta poesia del verde; città satelliti dove l’officina pulsi presso le case dei lavoratori, ma dove sia però possibile una vita che abbia tutti i vantaggi della vicina metropoli, senza risentirne i danni.
Perché, confessiamolo, la nostra Milano in questo momento ha tutti i danni delle metropoli, e li soffre accentuati e aggravati; non ne gode ancora i vantaggi, costretta com’è tuttavia in una veste provinciale che non ne permette uno sviluppo adeguato all’esuberante possanza della sua vigoria. Audaci intraprese, costruzioni grandiose, servizi sapientemente organizzati possono attrarre a Milano la popolazione delle regioni circostanti; ma tale popolazione qui perde l’amore alla campagna, alla vita salubre, alla vita forte, e non bastano le escursioni domenicali a rifare le energie demolite dallo sfibrante lavoro degli uffici e delle officine. Perché non sarebbe possibile trattenere alla campagna queste popolazioni, arrestare o almeno attenuare il fenomeno della immigrazione che tanto danno all’incremento della stirpe? E perché non cercare il modo di rendere meno efficace l’attrazione che Milano esercita sulla regione circostante col diminuire lo squilibrio che oggi esiste tra la metropoli e i centri secondari della regione, così da rendere più gradito il vivere in tali centri e da trattenervi la popolazione?
Dunque, parallelamente all’azione sulle metropoli esercitata coi mezzi che si sono sopra accennati occorre sviluppare un’altra azione in senso contrario all’urbanesimo, mediante una saggia organizzazione della regione intorno a Milano, che ne avvicini il tenore di vita a quello del centro maggiore, senza che perciò ciascuno di tali centri perda le proprie caratteristiche. L’autonomia di ogni centro deve essere rispettata, ma deve coordinarsi ad una comune direttiva con vantaggio del progresso generale e del generale miglioramento dei servizi. In altri paesi dove il fenomeno si presenta in condizioni affatto analoghe a quanto avviene nella regione lombarda, il problema è stato risolto colla formazione di piani regionali. Si tratta sempre, notisi, di grandi regioni industriali dove la popolazione si affittisce attorno ai centri di lavoro, e dove i centri di lavoro sono relativamente frequenti.
Intervengono allora norme generali di sistemazione affinché la sostituzione delle zone agricole con zone fabbricate avvenga secondo le direttive di maggiore interesse per la comunità e non soltanto secondo il capriccio dei privati. Così soltanto riesce possibile non solo provvedere a che la popolazione non si affittisca eccessivamente su piccole zone del territorio, non solo conservare la riserva dei territori destinati ad uso agricolo che tanto giova socialmente ed igienicamente frammischiare ai centri industriali, ma è possibile la sistemazione dei mezzi di comunicazione più convenienti per collegare tra loro i vari centri secondari e per collegarli rapidamente al centro principale. Non è l’esperienza che manchi ormai in argomento. Alla mostra di urbanismo che si è tenuta l’anno scorso a Vienna erano esposti ben trentacinque piani regionali delle zone industriali dell’Inghilterra e del Galles. La Germania gode già i frutti dell’organizzazione regionale nella zona della Ruhr e l’esperimento ha incoraggiato a rinnovare la prova per la regione della potassa intorno a Merseburg; Dresda, Lipsia, e Chemnitz hanno formato un piano di organizzazione intercomunale. Né ricordiamo qui il piano della grande Berlino che collega i comuni limitrofi perché qui rientriamo nel campo dei piani di ampliamento della città, campo affatto distinto da quel che siano i piani regionali.
Il piano regionale della Ruhr è scaturito dalla necessità di provvedere a condizioni soddisfacenti di servizi di fronte al rapido incremento di popolazione della regione. La popolazione del bacino nel corso di 50 anni si è sestuplicata e molti piccoli villaggi sono in questo periodo divenuti città da 100.000 abitanti. La legge del 5 maggio 1920 intervenne a creare una sorta di federazione intercomunale, la Siedlungsverband Ruhrkohlenbezirk la quale vincola tutte le agglomerazioni grandi e piccole del bacino. È una popolazione di quattro milioni sparsa su un territorio di 3.800 kmq. La federazione collega trecentoventicinque comuni dei quali nove sono di oltre 100.000 abitanti, 16 tra venti e 100.000, gli altri sono più piccoli. La federazione si preoccupa sopra tutto di dare un razionale sviluppo ai pubblici servizi e di preparare tempestivamente le condizioni perché essi possano in avvenire convenientemente estendersi.
È evidente che compito essenziale della federazione è l’assicurare un conveniente sviluppo stradale, provvedendo alle varie specie di traffico coi diversi mezzi che possono tornare meglio convenienti caso per caso. Il traffico ferroviario, quello ordinario stradale, quello automobilistico, quello per via acquea hanno esigenze che devono tra loro coordinarsi pel miglior sviluppo della regione. Anzi, se pure lo Stato coi suoi organi provvede a ciò che può essere interesse generale nazionale, la federazione deve intervenire per coordinare con unità di concetti la rete stradale secondaria a quella principale, talché da essa si possa ottenere la maggiore efficienza e il miglior rendimento.
Nella regione della Ruhr è stata studiata una sistemazione di strade, che pur utilizzando il più possibile la esistente, prevede varianti tali che possano meglio corrispondere alla nuova condizione del traffico, sia aggirando gli abitati, sia toccandoli tangenzialmente ed evitando l’attraversamento, sia infine sistemando curve ed allargando tronchi inadatti ad un traffico rapido e frequente. Corrispondentemente si sono riservati a futuri bisogni, sia di strade che di tranvie e ferrovie, zone di terreno, le quali a modo di enormi nastri collegano tra di loro i vari centri e saranno le sedi di nuovi mezzi di comunicazione allorquando se ne presenterà il bisogno. Si eviteranno così le procedure di esproprii, sempre costose e disagevol e non gradite alle popolazioni.
Se non si vuole che i centri abitati continuamente accrescendosi si fondano in un mare di case, e si vuole invece che a tutti gli abitanti della regione sia garantito il beneficio di spazi verdi, parchi, giardini, compi di gioco, è necessario che ampie aree vengano nell’interesse comune vincolate a divieto di fabbricazione; ed è naturale che l’onere di un tale provvedimento si divida su tutta la regione così come su tutta la regione è il beneficio. Anche qui l’intervento tempestivo della federazione provvede al benessere di domani nel modo più economico ed efficace, e garantisce già oggi a tutti gli abitanti della regione la necessaria riserva di verde poiché la federazione ha ottenuto dal Governo una legge che l’autorizza a vietare le costruzioni su determinati terreni.
Infine la federazione persegue scopi economici o si preoccupa dell’organamento del territori, in modo che le industrie, le abitazioni, le zone agricole siano razionalmente distribuite. Non può allora accadere che una industria nociva o insalubre possa attivarsi con danno dei comuni vicini, o senza che si provveda a servirla con scarichi ineccepibili dal punto di vista igienico. La possibilità poi di coordinare le canalizzazioni di scarico, i servizi di alimentazione idrica, i posti di soccorso del servizio di spegnimento degli incendi e simili non sono gli ultimi vantaggi che possono derivare dalla applicazione di un piano regionale.
Abbiamo iniziato il nostro scritto additando l’opera reale che il Comune di Milano va attuando per tener fede alle direttive del Capo del Governo e combattere colle armi energiche e preste dell’urbanismo la lotta contro il prepotente urbanesimo che colla sua mastodontica potenza tende a soffocare nella sua stretta formidabile la nostra Milano. Il fascino dell’argomento ci ha trascinato nel sogno della Milano di domani, di un domani che dovrà essere bel più vicino di quanto generalmente non si pensi se alla nostra città non verrà meno quella fervida tenacia, quella insuperabile e incrollabile fede nei suoi destini che dal villaggio allobrogo fece la capitale di Massimiano, dal piccolo e glorioso comune medievale trasse traverso dolori e sofferenze inenarrabili superbamente affrontate il centro più vivo di pensiero e di commerci della penisola. Il sogno può dunque essere presto realtà, deve esserlo. Il fervore che oggi agita la nazione tutta, da Milano è partito; la fiaccola qui si è accesa, perché qui il fuoco non si era mai spento.
E se Milano vorrà aspirare a ulteriore grandezza serbandosi severamente fedele alle direttive del Governo nazionale, essa dovrà rinnovarsi così come per un momento abbiamo sognato. Mentre Milano rinnovando le sue vie, rifacendo le sue case, costituendo migliori condizioni di vita ai suoi abitanti, prepara per domani una stirpe essa pure rinnovata e migliorata, nella ascesa faticosa non le mancherà l’aiuto di provvide leggi che rimuovano gli ostacoli apposti dai piccoli egoismi di corta vista, che non vogliono ricordare che il progresso della città tutti avvantaggia, anche se tale vantaggio non appare diretto e subito. Una legislazione edilizia moderna, che tenga conto delle condizioni attuali di vita e delle necessità delle nostre città, e si giovi della esperienza compiuta in altri paesi che in questo campo ci hanno preceduto gioverà assai ad accelerare il processo di trasformazione della nostra città. Né è a temersi che pavide titubanze ritardino quanto fatalmente dovrà accadere. Il Podestà di Milano ha dato il primo impulso. Per volontà di Governo, per consenso di popolo Milano ha iniziato una nuova fase della sua storia.
Da: Città di Milano (bollettino municipale) gennaio 1928