Non c’è scampo assessore: è solo colpa tua!

Qual’è il compito, o diciamo pure il più adeguato esercizio del potere, per una pubblica amministrazione eletta locale? Senza esagerare potremmo ragionevolmente fissarlo secondo un equilibrio (variabile, ma in modo trasparente anche a connotare il colore politico) fra scelte discrezionali, vuoi nel senso pubblico che in quello pubblico-privato degli interessi particolari individuati come leva per quelli collettivi, vuoi nella pura esecuzione di quel vincolo di mandato, o rappresentanza, della miriade di interessi manifestati in un momento o nell’altro dagli elettori. È quanto a volte si chiama, con riferimento solo ad una parte di questi processi, «partecipazione», e riguarda in sostanza l’ascolto mescolato alla comprensibile e legittima ricerca di consenso, attraverso le varie forme del dialogo diretto, delle analisi mirate e filtrate, della ricomposizione di progettualità individuali. Il limite a un esercizio corretto e trasparente di quest’ultimo potere-dovere, viene da sempre indicato sostanzialmente in quello che anche i pianificatori chiamano l’incolmabile iato fra l’analisi, per quanto approfondita, e il progetto o programma che dir si voglia. E figuriamoci quanto possa rivelarsi rudimentale, l’analisi-conoscenza, quando riguarda i desideri, dei cittadini o delle loro associazioni.

La macchinetta della politica?

In epoca democratico-partecipativa, ovvero più o meno dalla seconda metà del ‘900, si sono accumulate montagne di proposte e metodi tecnico-politici di gestione del flusso decisionale in senso non discrezionale. Sin dai primi manualetti elaborati nell’immediato secondo dopoguerra, per una ricostruzione edilizia e urbana più adeguata ai bisogni concreti delle popolazioni che alle soggettive teorie professionali, si provano a introdurre innovazioni varie rispetto alla classica pedagogia scolastica del Wacker’s Manual protonovecentesco, elaborato nella Chicago trionfante della City Beautiful. Innovazioni che vanno dal semplice articolare la comunicazione per fasce di età e cultura (le mostre, i corsi, i convegni e seminari di discipline urbane), al ruolo crescente seppur sempre sotto tono dello strumento tecnico, evidentemente sempre più diverso dall’originario libro o opuscolo, dalle diapositive con proiettore, al cinema radio o televisione, alla stessa intricata «multimedialità inconsapevole» della partecipazione di tipo assembleare classica a scala di quartiere, specie nella forma propositiva sullo stile della successiva ma elitaria Charrette. Sottovalutato, il ruolo praticamente eversivo dello strumento tecnico, probabilmente perché si ritiene tutto sommato ineludibile la valutazione discrezionale, vuoi scientifica vuoi prettamente politica, delle proposte emerse, nonché dei criteri selettivi o di filtro. Mentre invece come appare dalle ultimissime evoluzioni informatiche, forse siamo di fronte a una svolta che sarebbe molto piaciuta al McLuhan de «il medium è il messaggio»: oggi grazie a computer, portatili vari, e relative app e strumenti di elaborazione, è possibile esprimere oggettivamente e direttamente i desiderata dei cittadini.

Qualcosa di più della scatola di montaggio «Il Piccolo Architetto»

Pensiamo al classico piano di trasformazione urbana a scala di quartiere o di via, ovvero al modello spaziale più diffuso nella «progettazione partecipata». Oggi esistono, a portata di chiunque, strumenti semplicissimi ed elaborati secondo criteri disciplinarmente molto avanzati, tali da consentire proposte complesse anche a chi esprime visioni molto soggettive e rudimentali, nonché bisogni da utente molto focalizzati, potenzialmente confliggenti con quelli di altri. Non è tutto, perché lo stesso supporto informatico apre già all’automatica innovazione di scala superiore, ovvero che la miriade di proposte che è possibile raccogliere in questo modo (non c’è limite, teoricamente, alla quantità e qualità dei partecipanti, basta prevederne adeguate collocazioni in sede di elaborazione) possa convergere in una o più proposte organiche. Invece dei progettini, delle idee estemporanee, dall’assemblea virtuale emerge insomma un dignitosissimo piano, al quale manca soltanto l’indispensabile respiro politico: confrontarsi alla pari con altre proposte, confrontarsi col contesto più ampio, delle evoluzioni socio-economiche, o magari del rilancio propositivo che dovrebbe essere il sale della politica, anche se non sempre lo è. Immaginiamoci poi che anche una parte almeno di queste contestualizzazioni «esterne al progetto» possa egualmente entrare in un mainstream elettronico certificato, ed ecco che il gioco (per ora) si conclude. Come? Lo dice il titolo di questo articolo: se le cose poi non vanno per il verso giusto, non c’è scampo assessore, è solo colpa tua! Per capirci meglio, giocherellate un po’ sulla pagina del link (è solo una delle tante possibilità)

Riferimenti:
Restreet app

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