Oggi, il suburbio americano vede una grande ripresa dopo decenni di tendenza più verso la grande città, dove soprattutto giovani si orientavano verso il centro urbano. La crescita del telelavoro insieme all’impennarsi dei costi della casa ha attirato, o spinto, moltissimi millennial e non solo al suburbio, anche l’esurbio più esterno. Indipendentemente da come i giovani americani preferiscano vivere e formare famiglia, il suburbio è spesso tutto ciò che si possono permettere. Gran parte degli abitanti del paese in realtà è suburbana, una cosa che non è destinata a cambiare tanto presto. Idealmente, il suburbio dovrebbe offrire il meglio dell’ambiente della città e di quello della campagna: lo steccato bianco del giardino a poca distanza dai servizi del centro, dalle offerte culturali e lavorative.
Ma la città dispersa ha un «implicito problema geometrico» spiega Andrew Justus, analista della questione casa al Niskanen Center, centro studi apartitico. Un suburbio o esurbio che crescono per aggiungere nuove abitazioni — quasi sempre case singole unifamiliari — significano più strade, moltiplicazione delle automobili, e aumento della distanza tra abitazione e lavoro, scuola, negozi. «Si finisce con suburbi lontanissimi sia dal centro che dalle periferie» con abitanti letteralmente «sospesi tra due mondi» racconta Justus. Luoghi che si sono guadagnati una pessima fama in termini di isolamento, noia, insostenibilità. La sfida per urbanisti, studiosi e militanti sul tema dell’abitazione, o chiunque si interessi del cambiamento climatico, è quella di rendere ogni quartiere in cui si abita negli USA più salubre, per i residenti come per il pianeta. E arriviamo al tema di una urbanizzazione pianificata ma decentrata. Secondo gli esperti si tratta di rendere il suburbio più denso, più fruibile a piedi, multifunzionale, sostanzialmente simile a una tradizionale cittadina. «Dobbiamo capire cosa vuole chi ci abita» dice Adie Tomer, esperto di politiche urbane e infrastrutture ed economista alla Brookings Institution.
Suburbi scomodi, esclusivi, segreganti
Il suburbio americano è da sempre sinonimo di qualcosa di comunque sbagliato. A partire dal XIX secolo quando i nuovi quartieri si riempivano di ricchi ma inducevano anche segregazione razziale. Ai tempi del movimento per i diritti civili degli anni ’60 e ’70 del ‘900 e con l’inizio dell’integrazione, nel suburbio scappavano ancora i bianchi. Ancora oggi sono molte di più le persone di colore che abitano fuori dalle grandi città, ma non stanno in gran parte negli stessi quartieri suburbani dei bianchi. La segregazione razziale era sostenuta esplicitamente dalla legge. E ancora oggi viene perpetuata da scelte come quelle delle zone omogenee di case unifamiliari, dove è proibito realizzare edifici a molti alloggi meno costosi.
Il medesimo zoning restrittivo che divide le residenza da tutto il resto, e impedisce di insediare servizi come negozi alimentari, o farmacie, o ristoranti, là dove ci sono case. Una progettazione auto-centrica che isola le persone, specie i più piccoli, gli anziani, e altri che non guidano. Una dipendenza dai veicoli che li rende la principale fonte di emissione di gas serra nel paese da parecchi anni. L’americano medio nel 2017 percorreva il doppio dei chilometri rispetto a quello del 1969. Si vive in media a più di dieci chilometri dai normali servizi. E solo il 14% delle commissioni si sbrigano camminando un quarto d’ora da casa, come ha rilevato una recente ricerca del MIT. All’inseguimento storico della proprietà immobiliare individuale, gli americani suburbani sacrificano libertà essenziali, tra cui quella di muoversi, e soprattutto sacrificano un valore come il proprio tempo, secondo Tomer.
La libertà del piccolo centro o «città dei quindici minuti»
La cosiddetta «Città dei 15 Minuti» è probabilmente il più confuso – e anche contraddittorio – concetto urbanistico del nostri tempi. L’idea sarebbe di far sì che si possano svolgere tutte le normali attività quotidiane entro un raggio di quindici minuti a piedi in bicicletta o coi mezzi da dove si abita. Ma molti conservatori hanno denunciato un implicito concetto socialista e di limitazione della libertà di usare l’auto. In realtà non si tratta di un’idea così nuova. Si definisce spontaneamente nelle città dove si può addensare costruzioni e attività, così come avveniva anche nei primissimi suburbi americani, nati attorno alle linee tranviarie invece che all’auto privata. I tram richiedono almeno determinate densità di popolazione residente per garantirsi una certa utenza, e così quei suburbi — Somerville, Massachusetts, Shaker Heights, Ohio— assomigliano parecchio a porzioni di cittadine o grandi città.
Gli esperti di urbanistica, che siano conservatori o progressisti, concordano almeno su una cosa: il suburbio deve cambiare. Joel Kotkin, professore di studi urbani a contratto alla Chapman University da poco autore di un ennesimo saggio sulle virtù dello sprawl per la conservatrice National Review, vorrebbe vedere l’intero paese trasformarsi in un arcipelago di piccoli villaggi e cittadine. Fa l’esempio di casi come Orange, California, Bronxville nella Westchester County, o The Woodlands in Texas, progetto integrato nella zona di Houston degli anni ’70. Secondo Kotkin questo genere di insediamenti avrebbe «vinto la battaglia» con le città, imponendosi come modello demograficamente ed economicamente dominante. Ma «ciò che si è costruito non è più adeguato al ruolo»: il suburbio deve sapersi reinventare e assomigliare di più a una cittadina per soddisfare meglio «gli appetiti urbani dei nuovi residenti». Retrofitting suburbs perché diventino più urbani «è l’occasione da cogliere ma bisogna farlo badando al contesto americano» precisa Tomer.
Concordano anche i progressisti. «Molti pensano che si voglia limitare la loro libertà dicendo che ci vogliono più trasporti pubblici e spazi meno auto-dipendenti» spiega Tayana Panova, ricercatrice che sta lavorando a un libro sugli effetti psicologici del suburbio. «In realtà vogliamo rendere tutti più liberi aumentando le possibilità di scelta». Secondo gli urbanisti il suburbio tranviario più denso attorno a centri di servizi prossimi è un buon modello per la trasformazione verso maggiore pedonalità. Ma qualunque sobborgo ha la possibilità di liberarsi da traffico e lunghi spostamenti creando spazi più vitali. Occorrono norme di azzonamento più elastiche, una edificazione più densa, facilitare la mobilità non automobilistica, spiegano gli esperti.
«Il principio base è di partire da poco e usare ciò che si ha» racconta Tomer. Per esempio prendere un centro commerciale sottoutilizzato e metterci dentro altri spazi e negozi, mettergli vicino degli edifici multifamiliari, rendere le vie più sicure per pedoni e ciclisti. Nel suo recente lavoro Building for Proximity, Tomer rileva come nelle 110 principali aree metropolitane USA chi risiede entro cinque chilometri da cosiddetti «centri di attività» guidi molto meno di chi sta più lontano. È il tipo di quartieri dove si preferirebbe stare. Una analisi pubblicata l’anno scorso rivela come gli acquirenti di case di 35 grandi aree metropolitane hanno speso il 34% in più per stare in zone fruibili a piedi, e gli inquilini in affitto pagano il 41% in più.
«Ciò che si vuole oggi è fruibilità a piedi» continua Panova. «Se costruttori, pubblica amministrazione e altri operatori si dimostrano preveggenti e considerano le tendenze reali, ciò che vogliono le persone, si adegueranno». Come già avviene in alcuni casi. L’onda di traslochi millennial porta sensibilità di tipo urbano verso le estreme periferie. Cresce impetuosamente l’attività commerciale suburbana con marchi come la gastronomia piatti pronti Sweetgreen cresciuti del 35% in quattro anni. «Moltissimi centri minori negli ultimissimi anni hanno visto enormi processi di rivitalizzazione, spuntare improvvisamente ristoranti palestre luoghi un po’ di tendenza» ci racconta Allison Levine, responsabile per la comunicazione al Suburban Jungle Group, consulenza immobiliare specializzata nell’orientare chi da New York City si vuole spostare verso il suburbio circostante. «Si può traslocare in estrema periferia ma non avvertire il bisogno di tornare in città ogni volta che si organizza una cena importante o si vuole ascoltare musica dal vivo o vedere arte».
da: Business Insider, 11 febbraio 2024; Titolo originale: How millennials could give the suburbs a much-needed makeover – Traduzione di Fabrizio Bottini