Quale spazio per quale città
Se la città è il luogo dove convivono identità, interessi, percorsi individuali e collettivi, lo spazio pubblico è l’arena in cui questi si intrecciano, producono conflitti, stabiliscono relazioni e fanno emergere le funzioni dello spazio stesso. L’articolazione e la diversificazione dello spazio pubblico, proposto e vissuto come un prolungamento esterno e complementare allo spazio privato, è stato un elemento cardine dello sviluppo dei centri urbani. La linea di tendenza della città contemporanea ha visto accentuarsi la restrizione degli spazi d’uso collettivi, con specifiche attribuzioni di funzioni di socializzazione ad aree predeterminate nell’uso e nella configurazione, a scapito della socializzazione spontanea e dell’aleatorietà degli utilizzi. In uno spazio pubblico sempre più circoscritto, normato e controllato si sono aggiunti fenomeni di forte impatto come la circolazione automobilistica e la produzione di eventi turistici, commerciali e culturali.
Nella città contemporanea si è rafforzata la concezione gerarchica centro/periferia: mentre le periferie rischiano di diventare luoghi di servizio, affastellati di funzioni che non hanno spazio nella città “valorizzata”, i centri storici a loro volta di assumono sempre più il volto artificiale di “parchi di divertimento”, che rischiano di rimandare ad un’identità sterilizzata e immutabile nel tempo.
In questo contesto, il governo della città si è configurato tradizionalmente come attività di regolazione, controllo, manutenzione e implementazione degli spazi stessi.
Al variare dei contesti sociali in cui si affermano e stabilizzano nuovi fenomeni derivanti dall’emergere di diversità (culturali, generazionali, di stili di vita, delle modalità di uso e consumo della città, delle strutture dei tempi e delle modalità di relazione tra gruppi e soggetti), il sistema degli spazi pubblici subisce una significativa ed inevitabile riconfigurazione.
Riemerge una pluralità di usi e di interazioni che mette in discussione le regole di convivenza e relazione. Si moltiplicano gli usi “difformi” dello spazio pubblico e contemporaneamente si amplificano i conflitti d’uso e le ansie regolative: la stagione delle ordinanze dei sindaci si colloca in questo contesto. Dal divieto di sedersi sulle panchine pubbliche per i minori di 70anni, al divieto di mendicità nei luoghi pubblici, la norma si sostituisce alla regolazione sociale dei conflitti e del disordine urbano.
La presenza di nuovi cittadini – gli immigrati – portatori di culture e stili di vita nei quali vi è una diversa percezione dello spazio pubblico e delle sue funzioni, e spesso “abitanti invisibili della città”, accentua tale processo moltiplicando le modalità di fruizione dello spazio: se da un lato questo genera nuovi significati nell’attribuzione delle funzioni dello spazio stesso, dall’altro aumenta la conflittualità tra i diversi attori e fruitori.
I nuovi cittadini, immigrati di prima e seconda generazione, spesso rappresentano lo specchio nel quale la città storica si riflette e non si riconosce: l’uso degli spazi pubblici – le piazze, i giardini, i marciapiedi – ritornano ad essere i luoghi primari di relazioni sociali e di interazione collettiva, seppur disordinati, rumorosi e conflittuali, ridando funzione pubblica a spazi che la città contemporanea ha sempre più privatizzato, regolato, normato.
All’interno della città contemporanea, nei suoi interstizi periferici o marginali, irrompono usi urbani tipici della città medioevale, nella quale il primato delle funzioni giustifica il costruito, il progetto, l‘impianto urbano.
Per provare a ribaltare la logica di un’impostazione che non media ma accentua la percezione di “ordine/disordine” è necessario chiedersi intanto di chi sia lo spazio pubblico, o di chi dovrebbe essere.
Nella città contemporanea coesistono, si pianificano o si progettano spazi che afferiscono a tipologie differenti: spazi tematizzati, spazi del consumo, spazi di stazionamento, spazi del passeggio, spazi di transito, spazi residuali o abbandonati, spazi vuoti, non-luoghi. I vuoti sono in attesa di essere riempiti, l’uso dei pieni rimanda alla regolazione del loro uso. Ciascuno ha un posto: l’area cani, lo spazio giochi per bambini 0-3, i campi da bocce…l’uso difforme irrompe nel discorso pubblico e determina ulteriore regolazione: le telecamere, i cancelli, i cartelli di divieto.
Quello che manca, spesso, è la capacità di leggere e progettare spazi che partano dalla conoscenza e dall’osservazione degli usi che se ne fanno, i bisogni a cui questi corrispondono, le percezioni e le attribuzioni di valore culturale, sociale e micro-economico che rivestono.
Ad una città contemporanea dalle identità plurali, meticce e in continua evoluzione non possono che corrispondere spazi pubblici altrettanto plurali nella configurazione e imprevedibili nell’evoluzione degli usi e delle interazioni che vi si stabiliscono.
Uso, usi e tempi dello spazio pubblico
Così come accade con il termine “partecipazione”, anche il termine “spazio pubblico” contiene in sé una serie di significati diversi: sembra emergere la consapevolezza diffusa che la definizione più adeguata dei diversi spazi pubblici non possa essere fornita indipendentemente dagli usi ad essi collegati.
È evidente che nell’affrontare il loro utilizzo entrano in gioco l’immaginario individuale, quello collettivo, la dimensione delle regole di fruizione, la possibilità di accesso, la praticabilità delle relazioni sociali. Entra in scena la città liquida e frammentata, in cui gli interessi e le modalità di organizzarli riproducono – a scala micro locale – la complessità e la difficoltà di tenere insieme la diversità e la pluralità.
Per contro, le amministrazioni pubbliche sembrano avere agito sino ad oggi soprattutto nel ruolo di pianificatori della configurazione e dell’uso dello spazio pubblico, forse non prestando la dovuta attenzione al fatto che, se è vero che la tipologia di spazio (nei suoi arredi, nella sua configurazione strutturale) determina l’uso, è altrettanto vero che spesso è l’uso corrente dello spazio che andrebbe considerato con attenzione al momento della pianificazione.
L’informalità dell’uso dello spazio pubblico è indicatore di vitalità e dinamicità sociale: l’equilibrio tra le esigenze di pianificazione e l’esigenza di lasciare una porzione di spazi a disposizione dell’imprevedibilità è forse il punto di arrivo più difficile da raggiungere.
La compresenza in uno stesso spazio di attori sociali diversi è spesso regolamentata in modo informale, in altri casi evidenzia conflittualità che dipendono non tanto dall’incompatibilità di gruppi sociali, bensì dalla trasposizione di un atteggiamento privatistico ed esclusivo sullo spazio pubblico.
Spazio pubblico, sicurezza e allarme sociale
Gli aspetti di conflittualità legati allo spazio urbano sono spesso problemi che solo in qualche caso hanno a che fare con la fenomenologia criminale. Sono più frequentemente problemi afferenti all’inclusione/esclusione di gruppi socialmente e culturalmente marginali, di conflitti culturali e identitari, di progettazione architettonica inadeguata. Essi hanno però la caratteristica della estrema visibilità e prossimità e, per questo, hanno un particolare potere di influenza sulle percezioni diffuse di insicurezza e sul dibattito politico e mediatico sulla sicurezza urbana. Ne deriva che problemi che attengono alla convivenza tra gruppi, alla manutenzione fisica, alla scarsa o eccessiva frequentazione degli spazi, finiscono per essere collocati nell’ambito dell’emergenza securitaria, definiti in quanto tali e affrontati con gli strumenti tipici delle politiche di controllo e repressione.
Il problema della sicurezza nello spazio urbano viene quindi spesso affrontato nelle città contemporanee con gli strumenti del controllo formale esercitato dalle forze dell’ordine e con interventi di prevenzione attuati attraverso la progettazione dello spazio urbano, la regolamentazione dei modi con i quali è organizzato, il controllo tecnologico di ciò che vi accade. Questo tipo di approccio – che implica il controllo formale e di risposta normativa e tecnologica alla domanda sociale di sicurezza e alle manifestazioni politiche e mediatiche di allarme sociale – tende ad invalidare alcune delle caratteristiche proprie dello spazio pubblico e con esso alcune prerogative fondamentali della città: il senso di libertà individuale, l’accoglienza del diverso, la mescolanza eterogenea.
Riducendo i livelli di ospitalità della città si ha la conseguenza di renderla meno urbana e meno rassicurante: perché si tende a svuotarla dalle sue fondamentali caratteristiche di pluralità, apertura, accessibilità inclusività, producendo al contempo frammentazione, separazione, tracciamento difensivo di confini.
Una politica sullo spazio pubblico che assuma e dia risposta anche alle ansie securitarie dovrebbe avere piuttosto due compiti fondamentali: il compito di affermare che alla domanda di sicurezza non ci sono risposte definitive, che non è possibile eliminare il rischio e che è imprudente sacrificare le libertà individuali in nome della sicurezza; il compito di cercare strade nuove che diano risposte concrete con metodi differenti: rendendo più densa e culturalmente ricca la fruizione degli spazi pubblici, immaginando forme di controllo sociale non repressivo, adottando nuove forme di presidio istituzionale degli spazi pubblici.
Politiche dello spazio pubblico
Le politiche pubbliche hanno bisogno di trovare strade nuove, quindi. Questo presuppone che ci siano alcuni ingredienti fondamentali:
– Un’idea di città il più condivisa possibile;
– Un minore determinismo strutturale e ansia pianificatoria;
– L’integrazione tra competenze pubbliche e ambiti professionali diversi;
– Disponibilità all’ascolto e all’osservazione dei fenomeni e delle loro trasformazioni;
In generale è necessario predisporre una “cassetta degli attrezzi” che contenga metodi, pratiche e strumenti per:
– Lavorare sulla reversibilità delle azioni che possano attivare usi dello spazio pubblico senza limitare eventuali riconversioni;
– Reinventare usi degli spazi pubblici, stimolando l’immaginario delle persone, raggiungendo i loro bisogni impliciti, mostrando loro possibilità inattese;
– Attivare reali e inclusivi processi di partecipazione e di comune responsabilità
– Stimolare un uso culturalmente ricco dello spazio pubblico e una sua fruizione piena in tutte le ore della giornata
– Restituire all’uso pubblico gli spazi comuni e gli spazi di soglia
Alcune delle esperienze torinesi finalizzate all’uso sociale dello spazio pubblico, alla negoziazione delle modalità della sua fruizione da parte di soggetti e gruppi diversi, alla progettazione di luoghi percepiti come “propri” dalla collettività diffusa hanno cercato di affrontare la complessità urbana cercando, appunto, strade nuove.
Questo saggio fa parte di: Spazio pubblico, Declino, difesa, riconquista, a cura di Fabrizio Bottini, Ediesse 2010; Ilda Curti all’epoca di pubblicazione del libro era assessora alle Politiche per l’Integrazione del Comune di Torino