Hanno destato sconcerto, e nel secondo caso anche parecchia ilarità, due contemporanee e apparentemente scollegate notizie riguardanti la megalopoli padana. La prima è la decisione del Comitato Olimpico Nazionale di non decidere nulla riguardo alla candidatura di una città del Nord Italia per la manifestazione invernale del 2026, proponendo una sorta di confuso «arco alpino» dal Piemonte attraverso la Lombardia fino al Veneto. La seconda è la sostanziale dichiarazione di contrarietà del Vicepresidente del Consiglio dei ministri al progetto di collegamento ad alta velocità Torino-Lione, con la motivazione sintetica: è una concezione superata in un futuro ad alta tecnologia dove domineranno cose come la stampa tridimensionale, che riducono le necessità dei collegamenti e flussi di merci e persone. Indipendentemente dalle ragioni specifiche e implicazioni politiche, in entrambi i casi, e in modo convergente e complementare, il tipo di territorio-società evocato è senza dubbio quello della «macroregione-sprawl» da sempre cara al pensiero conservatore e reazionario, contro la polarità e innovazione del sistema urbano policentrico ma fortemente polarizzato su infrastrutture e concentrazioni, che chiamiamo invece Megalopoli. In sostanza il medesimo territorio, in prospettiva due modelli antitetici.
Innovazione contro conservazione
Il modello organizzativo favorevole a qualunque piccola lobby di interessi locali, mal ricomposta da qualche «politica» prevalentemente di immagine di stampo conservatore, salta sicuramente all’occhio quando si pensa al concetto stesso di Città Diffusa, alla rete delle piccole attività e delle famiglie, dei distretti territoriali e produttivi, che da sempre fa da zoccolo duro al consenso dei partiti reazionari oggi classificati come sovranisti. Accontentare notabili e notabilini in primissima istanza anziché farlo magari comunque ma in seconda o terza battuta, dopo aver definito priorità di grande scala e respiro, a partire da obiettivi di lungo termine che riguardano l’innovazione, l’ambiente, l’organizzazione sociale ed economica. Entra anche qui quel discorso apparentemente chiaro (non lo è affatto) dell’infrastruttura SI o infrastruttura NO su cui si costruiscono ormai da anni schieramenti sedicenti progressisti o meno. E che si presenta come «alternativa» solo ragionando in termini localisti ed elementari, non certo quando i medesimi termini si ribaltano in un complementare dualismo città-campagna ragionevolmente pianificato e polarizzato, anche nelle decisioni oltre che nelle strategie, pur senza escludere, anzi massimizzando la partecipazione locale. Torna in altri termini quell’intuizione, poi ampiamente suffragata dai fatti, secondo cui al modello della dispersione insediativa corrispondono aspettative, aspirazioni, modelli di sviluppo, fortemente conservatori per non dir peggio, mentre a quello urbano (che non significa elephant city e macchia d’olio, anzi) si legano processi di innovazione e sinergia virtuosi.
Impronta ecologica
Il fatto di aver promosso una «candidatura sprawl» macroregionale anziché polarizzata su una grande area metropolitana di interessi e poteri immediatamente individuabili, se di fatto preventivamente indebolisce il progetto (cosa che qui interessa poco), fa anche qualcosa di più importante in negativo: lo squalifica sul versante della sostenibilità e del tanto conclamato low cost, che non è inteso semplicemente come risparmio di soldi. Se il modello è quello della dispersione macroregionale, le trasformazioni dovranno rispondere principalmente alla ricerca di consenso caso per caso, ricomposta poi secondo criteri arretrati in termini di opere pubbliche (sostanzialmente autostradali a mosaico), idee di sviluppo locale industrialiste, aspettative delle famiglia a carattere suburbano e consumista tradizionalissimo. Niente a che vedere con quel modello smart connesso non semplicemente tecnologico, che rappresenta secondo tutti gli studi di prospettiva l’idea di urbanizzazione planetaria per il futuro. Quello basato sulle economie della conoscenza, sull’innovazione che non cancella posti di lavoro ma ne crea di nuovi migliori esistendo tutti gli strumenti per la riqualificazione. Quello in cui la stessa infrastruttura mescolando materiale, immateriale, sociale, perde buona parte degli «impatti negativi della modernizzazione» così come siamo stati ahimè abituati a pensarli nel ‘900. Spero di aver pur disordinatamente aperto qualche fronte di riflessione, a partire dall’idea diversa di territorio e società sottesa ai due modelli olimpici alternativi. E a solo titolo di esempio, del fatto che qualunque fenomeno si può leggere in senso conservatore o progressista, allego una riflessione (ennesima) sulle prospettive per l’auto: più sprawl o meno? Ascoltate le argomentazioni dell’Autore.
Riferimenti:
Jeff Andrade-Fong, Will Autonomous Vehicles Drive Us Into Endless Sprawl? FEE Foundation for Economic Education, 30 luglio 2018