Oscar Newman, Spazi abitativi sicuri: principi generali (1996)

Qualunque programma per spazi sicuri ha sempre il medesimo obiettivo: una riorganizzazione fisica tale da consentire agli abitanti di controllare l’area attorno ai propri alloggi. Ciò comprende vie e altri ambiti esterni agli edifici, o all’interno ingressi e passaggi. È un modo per sostenere quei residenti nel mantenimento dell’abitabilità che ritengono corrispondente ai propri principi e stili di vita. Uno spazio «difendibile» lo è per autodifesa, e non per intervento di una forza pubblica esterna, e quindi non dipende dalla decisione di predisporre o meno quella forza. Dipende invece dal ruolo degli abitanti nel contenimento dei comportamenti criminali e nell’allontanamento di chi li pratica. C’è la possibilità così di riunire persone di razza o reddito diversi verso un vantaggio e obiettivo comune. Per i più poveri l’idea di spazi sicuri è anche comprendere i vantaggi di un’esistenza più integrata e l’occasione di verificare come il proprio agire possa da un lato migliorare l’ambiente circostante e dall’altro promuovere una mobilità sociale.

Negli ultimi 25 anni, il nostro Institute for Community Design Analysis utilizza tecniche e metodi di «Defensible Space» per consentire agli abitanti di riappropriarsi dei propri quartieri, arginare la criminalità, attirare nuovi investimenti privati. Tutto senza rinunciare ad una forte tendenziale integrazione sia economica che razziale. È anche un modo per realizzare abitazioni economiche rivolte ai redditi più bassi senza troppo carico pubblico. Di seguito si espongono origini e principi de Defensible Space insieme ad altre riflessioni di ricerca.

Evoluzione del concetto: Pruitt-Igoe e Carr Square Village

Pruitt-Igoe 1955 – Minoru Yamasaki

L’idea degli spazi sicuri [così verranno chiamati da ora in poi salvo l’uso della dizione in originale Defensible Space n.d.t.] nasce circa trent’anni fa quando da professore alla Washington University di St. Louis, osservavo quel complesso pubblico di nuova costruzione da 2.740 alloggi in edifici sviluppati in altezza, Pruitt-Igoe, cadere a pezzi. Il quartiere era stato progettato da uno dei più apprezzati architetti del paese e salutato come grande progresso. Seguiva i principi urbanistici di le Corbusier e dei Congressi Internazionali di Architettura Moderna. Nonostante la densità non molto elevata (circa 130 alloggi ettaro), gli abitanti erano comunque parecchio in alto nell’aria in quei fabbricati da undici piani. Secondo l’idea di mantenere liberi spazi e piano terreno per le attività comuni. Sotto gli edifici avrebbe dovuto scorrere un «fiume di alberi». Al terzo piano corridoi su cui si affacciavano la lavanderia comune sala di incontro e accesso al pozzo di caduta dei rifiuti.

Ma assegnato a famiglie di genitori single e dipendenti dagli assegni dell’assistenza pubblica quel quartiere si dimostrò un disastro. Il terreno comune e senza alcun rapporto con gli alloggi, impediva l’identificazione tra gli abitanti e lo spazio. Il fiume di alberi si trasformava in una fogna di spazzatura e vetri rotti. Le cassette delle lettere al pianterreno erano vandalizzate. Passaggi, ingressi, ascensori, scale, tutto diventava un luogo pericoloso da frequentare. Tutto si ricopriva di graffiti e di rifiuti e feci. Gli spazi di accesso ad ascensori lavanderia e stanza comune erano vandalizzati e trasformati in discarica, intasati i pozzi di caduta rifiuti. Le donne dovevano organizzarsi in gruppi per portare i bambini a scuola o andare a fare la spesa. Non si andò mai oltre l’assegnazione del 60% degli appartamenti. Dopo dieci anni dalla costruzione era già tutto ridotto a pezzi diventando un esempio di quanto poi sarebbe successo altrove in tutto il paese. Appena oltre la via del Pruitt-Igoe stava un quartiere più vecchio di piccoli edifici a schiera, Carr Square Village, occupato da una popolazione pressoché identica. Tutti gli alloggi erano assegnati stabilmente e rimasero tali durante costruzione, occupazione e declino del Pruitt-Igoe. A composizione sociale uguale mi chiedevo quali fossero invece le differenze fisiche che determinavano la sopravvivenza dell’uno e la distruzione dell’altro.

Attraversando il Pruitt-Igoe al culmine della sua vicenda di degrado e vandalismo veniva da chiedersi: ma che razza di gente ci abita qui? Con la sola esclusione delle aree comuni più interne dove restavano piccole sacche di pulizia sicurezza e buona manutenzione. Dove un pianerottolo era condiviso da sole due famiglie era tenuto pulito e in ordine. Anche negli appartamenti dove si riusciva a farsi invitare si trovano ordine e pulizia, magari arredamenti modesti, ma molta dignità. Perché tanta differenza tra il dentro degli alloggi privati e il fuori dello spazio comune? Si poteva semplicemente concludere che gli abitanti controllassero e gestissero tutto ciò che veniva percepito chiaramente come proprio. I pianerottoli con due famiglie ben mantenuti mentre i corridoi condivisi da venti famiglie, o i passaggi, gli ascensori, le scale usati da 150 famiglie erano in condizioni disastrose: evidentemente non evocavano alcun sentimento di identità e appartenenza. Luoghi anonimi che rendevano impossibile anche pensare a delle regole d’uso comuni accettabili minime. Impossibile provare o praticare senso proprietario, ciò che distingue abitante e intruso.

Abbiamo visto tutti tanti edifici alti ad appartamenti occupati da famiglie di ceto e reddito medio che funzionano benissimo. Perché non funziona nello stesso modo con le famiglie a basso reddito? I condomini del ceto medio investono risorse in portinai, operatori di ascensore, pulitori e altri responsabili della manutenzione di spazi comuni, mentre negli equivalenti di proprietà pubblica al massimo si riescono a mantenere gli addetti alle funzioni base in orario d’ufficio, figuriamoci tutti gli altri. Non sorprende dunque che tutti quegli spazi comuni interni ed esterni siano stati invasi da comportamenti devianti. Non esistono finanziamenti pubblici per guardiani, portieri, responsabili di fabbricato ed emerge la domanda: è possibile progettare complessi abitativi pubblici senza troppi ambienti condivisi assegnando tutto a singole famiglie?

Le vie private di St.Louis

Sempre a St. Louis, notavo una serie di quartieri nati a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo, con case che sembravano la replica minore di castelli francesi. Sono i palazzetti dei ricchi della città, i baroni delle ferrovie, dei macelli, del trasporto merci. Castelletti in vie private chiuse al traffico di attraversamento. A metà anni ’60 St. Louis era una città in disfacimento. L’ingresso di popolazione delle zone rurali del Sud l’aveva sopraffatta. Un tasso di criminalità tra i più alti del paese, ma quelle vie private parevano del tutto estranee al caos e all’abbandono che le circondava. Luoghi pacifici ambienti senza crimini: ideali per allevare dei bambini, se si era proprietari di un castello.

Gli abitanti qui possiedono e controllano le proprie vie, e anche se chiunque può percorrerle a piedi o in auto (non esiste nessun varco o barriera o guardiola), si coglie di essere degli intrusi in un ambiente privato, e di essere sotto costante osservazione. Perché, mi chiedevo, non si poteva usare il medesimo modello per intervenire a rendere più stabili i vicini quartieri di classi lavoratrici e medie che stavano subendo un declino e abbandono? La chiave di tutto era la proprietà privata, oppure funzionava il sistema delle vie più chiuse e la costruzione di enclave controllate? Grazie alle ricerche sostenute dalla National Science Foundation (Newman, Dean, Wayno, 1974) riuscimmo a individuare i fattori essenziali di questi sistemi di vie private e costruire un modello replicabile in ogni parte della città. Valido sia nelle aree a prevalenza afroamericana che bianca, che riesce a rendere più stabili le zone in trasformazione.

Le forme abitative e i loro effetti sulla capacità di controllo dei residenti

Nei paragrafi che seguono spiegherò come diverse tipologie di edifici possono creare all’esterno dell’alloggio uno spazio più controllabile dagli abitanti. Per prima cosa spieghiamo cosa si intenda per alloggio: l’interno di un appartamento o di una casa. Vale sia che si tratti di tanti appartamenti in una torre o uno solo appoggiato per terra. Interessa comprendere come l’insieme di alloggi dentro diverse tipologie di edifici e configurazioni costruisca vari tipi di «spazio di non-alloggio» interno o esterno al fabbricato. Per semplificare, raccolgo in tre categorie diverse di caratteri essenziali: case unifamiliari; palazzina ad appartamenti; grande fabbricato a torre o comunque multipiano.

Le case unifamiliari a loro volta si dividono tra case singole, abbinate e a schiera (queste ultime chiamate anche townhouse). L’edificio singolo sta isolato e non condivide nulla con altri; nell’abbinato due alloggi unifamiliari hanno una parete in comune; il complesso a schiera vede gli alloggi unifamiliari condividere una parete con quello adiacente per ogni lato. A un aspetto differente questi tre tipi corrisponde però un tratto comune: entro le quattro pareti perimetrali sta l’ambito privato di una famiglia. Nessun ambiente interno che sia pubblico o non di pertinenza esclusiva di quella famiglia. Tutto spazio privato. Lo stesso vale anche per la abbinata o schiera che sono una serie di spazi privati: nulla di interno che non sia di pertinenza di una singola specifica famiglia.

La differenza fondamentale tra i tre tipi è il tipo di densità che riescono a comporre: quanti alloggi ettaro per ciascuna configurazione. Il massimo con la casa singola unifamiliare è di quindici alloggi ettaro. Quello dei tipi abbinati arriva a venti alloggi per ettaro, ma così si può realizzare una corsia a separare ogni appartamento come impossibile invece con la massima densità delle casette singole. Con l’organizzazione a schiera il limite diventa di quaranta alloggi ettaro volendo anche comprendere nel progetto un parcheggio riservato con una piazzola per appartamento.

Guardando lo spazio che circonda questi tre tipi di organizzazione edilizia unifamiliare, si osserva come tutto il terreno sia privato, in quanto assegnato a ciascun alloggio. Indipendentemente dal tipo esistono un arretramento a verde e uno spazio posteriore. Quello davanti che dà accesso alla strada. Se proviamo a dividere in categorie un terreno tra privato, semi-privato, semi-pubblico o pubblico, possiamo concludere che il retro degli alloggi è sicuramente privato e delle famiglie abitanti dato che per accedere occorre passare all’interno dell’alloggio. Sul fronte lo spazio è ancora di pertinenza della famiglia, ma essendo accessibile dalla strada così come dall’alloggio è diverso e lo classificherei come semi-privato, anche se qualcuno potrebbe legittimamente considerarlo pienamente privato.

Figura 10 (click per zoom)

Passando al tipo di organizzazione edilizia successiva, la palazzina ad appartamenti, esiste un carattere totalmente nuovo sia dentro che fuori il fabbricato. Perché la circolazione interna definisce zone comuni condivise necessariamente da parecchie famiglie, la cui quantità varia a seconda di come vengono concepiti ingressi, corridoi, scale. Nella figura 10, l’edificio palazzina ad appartamenti è organizzato per sei famiglie che condividono un unico ingresso e una scala interna. Due famiglie per ciascun pianerottolo. Gli ingressi alle scale si affacciano sia sul fronte che sul retro. Qualche volta edifici così si chiamano garden apartments. Le palazzine si realizzano in gruppi con densità da 75 a 100 alloggi ettaro se organizzate su tre piani, oppure da 50 a 75 se i piani solo solo due. Quelle a tre piani venivano costruite di norma tra gli anni ’50 e i ’60 ma essendo senza ascensore poi sono diventate meno richieste.

Il terreno attorno a una palazzina ad appartamenti da tre piani, sia sul fronte che sul retro, è di pertinenza delle famiglie che lo abitano, non si può considerare strettamente privato. Quello anteriore si affaccia anche sulla pubblica via. Per questo motivo meglio classificarlo come semi-pubblico. Il terreno sul retro del fabbricato non è allo stesso modo di pertinenza di nessuna singola famiglia, e viene spesso usato come parcheggio. In casi del genere, va ancora considerato semi-pubblico. Ma è sempre possibile modificare il progetto del retro trasformando una parte della superficie sia a privata che a semi-privata, come si dimostrerà fra breve.

Figura 11 (click per zoom)

A veniamo al terzo e ultimo dei tipi edilizi: quello sviluppato in altezza. Si tratta di fabbricati con ascensore, di due possibili dimensioni a seconda dei modelli utilizzati. Il meno costoso degli ascensori è quello idraulico ma ha un limite massimo di operare su sei piani. Quello elettrico invece può tranquillamente salire fino a trenta piani, anche se di solito viene usato per edifici ad appartamenti da 10-16 piani. Un edificio a quindici piani – figura 11 – contiene centonovantacinque famiglie che hanno in comune gli spazi interni. Data la grandissima quantità di persone che li condivide essi possono essere classificati al massimo semi-pubblici se non totalmente pubblici. Anche i corridoi ai vari piani sono usati da tredici famiglie e accessibili da due rampe di scale e due ascensori, ovviamente molto pubblici. Per questa ragione si devono classificare ancora semi-pubblici se non totalmente pubblici. Le superfici esterne all’edificio, dissociate da qualunque specifico alloggio, e di nuovo condivise da tutte le 195 famiglie, si devono classificare pubbliche.

Tipologie edilizie e comportamenti

La rivendicazione di una famiglia su un territorio si attenua proporzionalmente crescere del numero di famiglie che quella rivendicazione la condividono. Maggiore la quantità di persone che usano un territorio, minore il diritto ad esso percepito da ciascuno. Quindi, se non ci sono troppe famiglie a condividere un’area, che si tratti degli spazi di circolazione interna all’edificio o delle superfici ad esso esterne, sarà relativamente facile accordarsi su quali possano essere regole accettabili di comportamento.

Quando quel numero di persone cresce, cala la possibilità di comprensione reciproca, sino al punto da consentire solo l’attraversamento di quell’area, in cui sostanzialmente si può fare di tutto. Maggiore la quantità di persone che condividono uno spazio comune, più difficile sarà identificarlo come proprio, pensare di poter controllare ciò che vi accade. Diventa più semplice l’accesso di chi viene da fuori e sosta negli spazi interni in un edificio da 25-100 famiglie di quanto non accada in uno da 6-12 famiglie.

Tipo edilizio e controllo degli abitanti sulla via

Se esaminiamo i tre tipi di fabbricati dal punto di vista della capacità dei residenti di esercitare qualche controllo sulle vie circostanti, troviamo notevoli differenze. Le figure 12, 13 e 14 le riassumono in modo efficace. Illustrano una identica area su quattro isolati urbani edificata coi tre tipi partendo dalla figura 12 di una schiera di casette edificata alla densità di 45 alloggi ettaro. Ciascun isolato è stato suddiviso in modo che tutte le superfici, con l’eccezione di vie e marciapiedi, vengono assegnate alle famiglie. Il prato sul fronte, appartenendo a una famiglia individuabile, diventa semi-privato. I cortili posteriori, chiaramente recintati, sono privati e vi si accede solo dall’interno dei singoli alloggi. La corrispondenza fra appartamento e ingresso dalla via contribuisce a comprendere anche il marciapiede entro la sfera di influenza degli abitanti della casa. Ulteriormente rinforzata dall’affaccio del prato semi-privato sul medesimo marciapiede, e dall’auto familiare parcheggiata lungo il cordolo. I residenti confermano di considerare quella striscia di marciapiede-parcheggio semi-pubblica, non pubblica.

Figura 12 (click per zoom)

Osservando l’intera area di quattro isolati rileviamo un tessuto urbano in un gran parte della superficie esterna agli edifici risulta qualificabile come privata. Inoltre, un’altra rilevante porzione di quella che sarebbe formalmente pubblica via è invece considerata dagli abitanti una sorta di prolungamento dell’alloggio, sottoposta alla loro sfera di influenza: vale per il marciapiede e per la parte della carreggiata occupata dalle piazzole di sosta lungo il cordolo. Con la quasi sovrapposizione logica fra strada e prato sul fronte di ciascun alloggio, gli abitanti badano alla sicurezza ed esercitano un controllo. Solo la fascia più centrale della via resta effettivamente pubblica. E se la strada fosse particolarmente stretta anche l’attività di quella striscia centrale si potrebbe assimilare in realtà al controllo degli abitanti del vicinato.

La figura 13 mostra un medesimo complesso di quattro isolati occupati da edifici garden apartment su tre piani, con una densità di 90 alloggi ettaro. I cortili sul retro all’interno di ciascun raggruppamento sono di pertinenza sia delle singole famiglie dell’alloggio affacciato che di tutte quelle dei relativi edifici. Quelle al pianterreno hanno un affaccio a patio sul cortile accessibile dall’appartamento. Quindi il patio è privato. Il resto del cortile interno appartiene a tutte le famiglie del raggruppamento, accessibile dai sistemi di circolazione interna degli edifici, e quindi qualificabile semi-privato.

Figura 13 (click per zoom)

Il piccolo prato sul fronte accanto all’ingresso di ciascun edificio è una superficie collettiva per chi accede, quindi semi-privato. Come col modello della schiera nella figura 12, tutti gli ingressi affacciano sulla via, ma adesso non servono una sola famiglia, bensì sei, quindi sono semi-privati. C’è di nuovo la piazzola a sosta davanti a ciascun alloggio. Visto il carattere semi-privato della superficie, ora marciapiede e via non sono più diretta estensione dell’appartamento. Ma anche con tutte queste specifiche, striscia pedonale e a parcheggio della strada secondo molti abitanti sono considerate in qualche modo sottoposte al proprio controllo.

La figura 14 mostra i medesimi quattro isolati delle 12 e 13, ma stavolta edificati a superblocco sviluppato in altezza con una densità di più di 120 alloggi ettaro. Ciascun ingresso serve 50 famiglie attraverso un sistema di circolazione interna fatto di atrio, ascensori, scale, corridoi. Lo spazio circostante è accessibile a tutti senza essere di pertinenza di un singolo edificio. In questo modo gli abitanti non avverto no alcun legame o responsabilità col verde o la via. La strada non solo risulta piuttosto lontana dai fabbricati, ma non ci si affacciano degli ingressi. Le superfici confinanti coi marciapiedi sono pubbliche, e di conseguenza lo diventano anche marciapiede e strada. Un’organizzazione spaziale che rende pubblica tutta la superficie dei quattro isolati. E che deve essere gestita e controllata e pattugliata da personale addetto. Vie e marciapiedi sono del comune e devono essere gestite mantenute controllate dai servizi di igiene e dalla polizia.

Figura 14 (click per zoom)

La collocazione di quegli edifici sviluppati in altezza così arretrati dentro il lotto genera un meccanismo di parcheggio lontano dalla strada e lungo gli accessi ai fabbricati, con parecchie svolte e angoli ciechi. Gli abitanti di questi complessi lamentano i rischi di camminarci per tornare a casa di sera. La tendenza dei progettisti di verde a collocare siepi e cespugli esattamente sulle curve dei percorsi finisce per aumentare ancora i rischi per chi percorre quegli accessi. Un problema inesistente nell’organizzazione degli alloggi a schiera o in palazzine ad appartamenti, perché lì gli ingressi sono giusto davanti alla strada arretrati al massimo di tre o sei metri. Ma non fanno paura neppure gli ingressi di edifici alti che però si collocano poco arretrati rispetto alla strada. Consentendo agli abitanti di spostarsi lungo un percorso rettilineo e relativamente sicuro dalla via, con una discreta visibilità, all’atrio illuminato dell’edificio.

La figura 15 mostra due complessi residenziali sui lati opposti della stessa via: sulla destra un garden apartment e sulla sinistra uno sviluppato in altezza. Entrambi concepiti sulla medesima densità abitativa e standard a parcheggio (100 appartamenti ettaro e un posto sosta ad alloggio). Il complesso alto ha gli ingressi sullo spazio interno. I parcheggi stanno lungo la striscia della via allontanando ulteriormente gli edifici. Sulla destra invece l’altro complesso a soli tre piani di altezza e gli ingressi direttamente sulla strada e parcheggi. Ciascun accesso dalla via serve solo sei famiglie, là dove nell’edificio alto erano 60 con l’ingresso in comune. Piccole zone di sosta e gioco vicino a ciascun ingresso. Fungono anche da estensione della sfera di influenza delle sei famiglie verso la via.

Figura 15 (click per zoom)

Gli abitanti delle palazzine ad appartamenti sono a una brevissima distanza dalle vie, e grazie alla posizione degli ingressi anche da campi giochi e parcheggi, che così entrano dentro la sfera di influenza degli appartamenti. Altra cosa che si deve notare da questa comparazione è che due configurazioni radicalmente diverse di edifici possono avere la medesima densità urbana di 100 alloggi ettaro e uno spazio sosta veicolo ad appartamento. Una densità molto elevata che risponde agli alti costi dei terreni. Il complesso a palazzine raggiunge questa densità coprendo più superfici di quello a edifici alti (37% del totale contro il 24%). Le municipalità che vogliono sfruttare i vantaggi di sicurezza di un modello rispetto all’altro dovrebbero mostrarsi più flessibili riguardo ai rapporti di copertura, per non rinunciare ad una migliore abitabilità solo per mantenere una quantità lievemente più alta di verde di pertinenza non particolarmente prezioso.

Figura 16 (click per zoom)

Ciò che vale per la progettazione urbana vale anche per quella edilizia: lo stesso contenitore può organizzarsi in vari modi per risultati drasticamente diversi. Un esempio è quello rappresentato dalla figura 16 dove si presentano due alternative per lo stesso edificio su tre piani. In entrambi i casi si servono 24 famiglie con due ingressi comuni, in un caso sono otto le famiglie che condividono su ogni piano il medesimo corridoio, nonostante quei corridoi siano aperti a tutte le 24 famiglie. Nell’altro caso in basso sono solo 6 le famiglie a condividere il medesimo ingresso e 2 gli appartamenti sui pianerottoli a ciascun piano. Meno famiglie per ciascun ingresso e piano significa migliore controllo dello spazio: si distinguono i coinquilini da chi arriva da fuori, si concordano più facilmente regole di comportamento accettabili. Se si trattasse di una palazzina a due anziché a tre piani ogni famiglia avrebbe un ingresso solo per sé direttamente dalla strada e si eviterebbero passaggi comuni interni al fabbricato.

Interazione tra aspetti sociali e conformazione spaziale

Pare utile una analisi di come interagisca la società con gli spazi di un quartiere popolare nel generare comportamenti anche criminali, non solo per trovare soluzione al problema, ma anche per strategia di miglioramento di spazi diversi come quelli composti diversamente, ad alloggi unifamiliari. La New York City Housing Authority ha quantificato l’influenza di alcuni fattori sociali e spaziali sui reati nei complessi per famiglie a bassi redditi secondo un metodo detto stepwise regression analysis. Isolando alcuni aspetti che paiono più influenti di altri, nel caso specifico il vivere di sussidi pubblici, seguito dall’altezza degli edifici, e dalla quantità di famiglie che condividono l’accesso a un fabbricato. Le variabili sociali legate a un certo tipo di reati si incrociano anche le une con le altre. Come la percentuale di abitanti percettori di welfare (al netto degli anziani), quella delle famiglie con un solo genitore che ricevono i contributi Aid to Families with Depen­dent Children (AFDC), la disponibilità di reddito pro capite.

da: Creating defensible spaces, U.S. Department of Housing and Urban Development, Washington 1996; titolo originale: Defensible Space Principles – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini

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