Se una mattina d’estate un viaggiatore, o un semplice pendolare, aspettando il caffè o il vaporetto sulle fondamenta dietro Piazzale Roma a Venezia, avesse sbirciato le copertine delle riviste internazionali che lì ovviamente abbondano, quasi di sicuro non ci avrebbe fatto caso. Il sommario di Newsweek proponeva in evidenza, col roboante titolo di «The New Megalopolis», il contributo di un pensatore di tendenza come Richard Florida, teorico della creative class, alle nuove geografie dello sviluppo.
Apparentemente una presenza estranea fra i ninnoli per turisti, quella locandina che richiamava un mondo lontano, dove si immaginavano vagamente torri scintillanti, trasporti veloci, insomma tutto quanto l’idea di megalopoli evoca nell’uomo della strada, o della calle trattandosi di Venezia. E invece, sarebbe bastato guardarsi alle spalle, non molto sopra i gradini che risalgono fino ai capolinea degli autobus, esattamente sul ponticello del canale di Santa Chiara dove si infilano i vaporetti della linea circolare per la Giudecca: era lì, un simbolo tangibile e concreto della megalopoli. Della megalopoli padana, per essere più precisi, della quale Venezia è uno dei capisaldi orientali.
Come già spiegava il geografo Jean Gottmann nei suoi studi fondativi degli anni ’50 sulla regione megalopolitana «Bos-Wash», un sistema del genere per configurarsi ha bisogno di tutto salvo che delle cose appariscenti dette prima. Servono invece una massa critica di insediamenti urbani, di popolazione, di infrastrutture, di solidi rapporti economici, culturali, e di sedimentazione storica. E l’area padana, insieme alle sue simili europee (regione londinese, parigina, dei Paesi Bassi, ecc.) ha tutto questo in abbondanza. Per verificarlo di persona, ci sono naturalmente parecchi modi. Uno, accessibile a chiunque abbia una giornata di tempo, è di dare un’occhiata diretta, percorrendo una delle «vie» principali della città. Ehm, della mega-città.
Era quello il segnale che si vedeva facendo due passi sul ponte del canale Santa Chiara, il cartello all’imbocco del primissimo tratto in curva, solo automobilistico, che raccorda il rettifilo del Ponte della Libertà all’isola del Tronchetto. Recita ineffabile, quel cartellino: Strada Padana Superiore, km Quattrocentoqualcosa. Quella mattina d’estate il viaggiatore, potrebbe anche essere colpito dal dubbio: vuoi dire che è la stessa Padana Superiore che ho attraversato, tagliato, seguito per brevi tratti anche a «….» e a «…». È quella, è quella. Per esserne assolutamente certi, basta verificare con un minimo di metodo, scoprendo nel frattempo cose che naturalmente dovevamo aspettarci, ma che altrettanto naturalmente non ci saremmo davvero aspettati.
Proseguendo sul marciapiede verso il ponte stradale-ferroviario che attraversa la Laguna, si inizia a cogliere qualcosa che spesso sfugge percorrendo la medesima strada sul sedile di un treno, o di un autobus: la sensazione di inoltrarsi in qualcosa, anziché solo di allontanarsi dall’isola monumentale. È la linea continua degli edifici in terraferma: i tetti delle case, degli uffici sulla destra, verso Mestre e San Giuliano, le coperture degli impianti industriali di Marghera sinistra, che si inoltrano profondamente verso la laguna. Più da vicino il paesaggio si sgrana. Appaiono i segnali di una massiccia periferia industriale, e infatti questo è, che attraversa la Padana, su per il cavalcavia nodo di tante lotte operaie degli anni ’70 (bloccarlo, come avevano ben capito le avanguardie, significava bloccare un’intera regione), e giù per via Fratelli Bandiera, che separa la fascia della zona più decisamente industriale dai quartieri abitati, fino ad aprirsi a sud in spazi radi e a sfociare nella grande rotatoria che costituisce il primo bivio, forse l’unica vera «alternativa di percorso» della traversata.
Puntando verso sud ci si immette verso la Romea, in direzione delle altre due arterie principali della megalopoli. La prima si può incrociare non molti chilometri più a sud, ancora in ambiente lagunare e di bonifica: è la Monselice-Mare, che si immette poi ai piedi dei colli Euganei nella Padana Inferiore. La seconda è naturalmente la via Emilia, per la quale bisogna scendere però fino a Rimini, davanti a quella statua di Augusto che sembra finta tanto pare vera.
Ma la Padana Superiore, Highway 11 per chi proprio vuol fare l’americano a tutti i costi, invece prosegue a ovest e inizia a scorrere sinuosa sulle rive del Brenta.
Fra salici piangenti, ville storiche e qualche ampio spazio verde, si sgrana quella che appare ed è la fascia suburbana tradizionale dei ricchi mercanti veneziani, diventata in era industriale e automobilistica, anche alla portata di tutti i Fantozzi del mondo, con la casa colonica restaurata, o la più modesta villetta con taverna e madonnina di Lourdes in grotta cementizia d’ordinanza. E come in tutto il suburbio del mondo che si rispetti, anche qui non è tutto oro quel che luccica: a parte le ovvie casalinghe disperate nascoste dietro le siepi di lauro e le facciate chiare, basta imboccare una qualunque delle vie che puntano a nord, verso il tracciato dell’autostrada, per passare bruscamente in poche centinaia di metri dall’idillio, per quanto trafficato, di una sponda di fiume, a un universo di scatoloni senza fine, piazzali asfaltati, lavori stradali sempre in corso: è il modello veneto, baby!
Il rosario regolare del passaggio fra le ville e villette, i brevi spazi aperti, le strozzature dei minuscoli centri urbani con campanile e fila di negozi, prosegue continuo fino a immergersi nell’area urbana di Padova, che si presenta graduale in intensità crescente, dai primi svincoli stradali al grande portale della Stanga.
Da questa «piazza» (in realtà un enorme crocicchio di periferia, con un suo particolare fascino nell’accumularsi di aggiunte da varie epoche) si può proseguire verso ovest sia imboccando una circonvallazione, come quella che rasenta verso sinistra il tracciato delle mura, sia tagliando direttamente nel centro storico, a verificare con mano quanto solo intuito sul bordi della laguna di Venezia. Ovvero che il corridoio della Padana è effettivamente una via di città, solo un bel po’ più lunga.
Che qui a Padova attraversa la zona del Portello, il centro storico medievale delle vie tortuose e più strette, come le traverse di Altinate, e poi all’altra estremità gli spazi ampi e improvvisi degli sventramenti di epoca fascista, verso via Milano, Barriera Savonarola, i cavalcavia stradali, ferroviari, di nuovo lo sgranarsi nei piccoli borghi di periferia col loro campanile, e oltre il canale Bretella altri spazi aperti, le villette, i capannoni che si intravedono più o meno lontani, e la strada che si allarga verso Vicenza.
Nota: questo testo datato 2008 è probabilmente l’inizio di una specie di «ragionamento lineare» che si interrompe bruscamente qui per ragioni ignote anche all’Autore che l’ha ripescato nel backup. Il riferimento possibile è solo ai tags scelti e relativi articoli collegati