Perplessità sociali sul Progetto Passante a Milano (1990)

Il Passante e i progetti alternativi

Milano ha un nucleo centrale terziario molto compatto in cui si localizza la gran massa delle attività commerciali (negozi, grandi magazzini) e di quelle terziarie direzionali (specie banche e finanza). Un centro storico un tempo dentro una cerchia di antiche mura dove si collocano anche le più importanti istituzioni pubbliche: biblioteche, università, musei, comandi di polizia e tribunali, la sede centrale dell’amministrazione cittadina, il teatro dell’opera e via dicendo. Esiste una serie di linee di trasporto pubblico a servire questo centro e a collegarlo all’hinterland. Molto ampia la rete di autobus e tram, due reti metropolitane verso la periferia e alcuni nuclei esterni, le ferrovie nazionali che con cinque stazioni dentro a Milano la collegano al resto d’Italia e all’Europa. Di queste stazioni, tre – Cadorna, Garibaldi Centrale – stanno a cavallo dei margini settentrionali del nucleo più centrale, interconnesse dal servizio di metropolitana, ma collegate con le stazioni della fascia meridionale solo via autobus. I viaggiatori che devono attraversale Milano, quindi, devono scendere a una delle stazioni ferroviarie, e poi spostarsi nel congestionato traffico cittadino di superficie sino all’altro terminal ferroviario desiderato. Cosa non solo scomoda per il traffico di attraversamento, ma che rende tutto il sistema ferroviario di utilizzo limitato per gli utenti pendolari e commerciali della rete interregionale.

Almeno una parte delle varie amministrazioni pubbliche e forze politiche ha diverse specifiche strategie riguardo ai trasporti milanesi, e secondo l’approccio spesso ideologico italiano esiste sempre un progetto «di sinistra» e un altro «di destra». In cui la destra preferisce una forte espansione della rete di metropolitana, su cinque linee irraggianti dal centro, a confermare quel nucleo come nodo irrinunciabile dell’intera regione metropolitana. Il che si allinea a gran parte delle idee di trasporto pubblico: far convergere tutto sul centro con scarsa attenzione all’attraversamento o allo sfruttamento delle infrastrutture esistenti. La Democrazia Cristiana è favorevole a queste linee di metropolitana e l’ha confermato al governo cittadino col Piano dei Trasporti 1970. Secondo la DC, una linea di attraversamento a collegare tutte le stazioni periferiche potrebbe mettere a rischio il ruolo del nucleo centrale, e per giunta essendo poi a gestione statale la ferrovia, si sminuirebbe il ruolo dell’amministrazione cittadina.

D’altro canto le forze di sinistra propendono per una deconcentrazione, e in particolare si oppongono a qualunque disegno che favorisca la speculazione immobiliare, facendo lievitare i costi delle case, o che confermi e rafforzi accessibilità e concentrazione di servizi nel nucleo terziario attuale. Così quando il Partito Comunista si sostituisce alla Democrazia Cristiana nell’amministrazione cittadina come forza principale della maggioranza di governo, introduce una propria variante programmatica. Nel 1976 la nuova coalizione presenta i propri obiettivi per lo sviluppo urbano: controllo dell’espansione, decongestionamento del centro, tutela della casa per gli abitanti a basso reddito, innalzamento della qualità ambientale e dei servizi nelle periferie operaie. Per quanto riguarda le politiche dei trasporti, la sinistra vuole rafforzare il servizio di autobus e tram, e mantenere basse le tariffe. È contraria a nuove linee di metropolitana convergenti sul centro, e pur in un primo tempo contraria anche al Passante a causa dei pericoli di innestare speculazioni immobiliari, una volta al governo cambia idea, convinta di poterle arginare e invece sfruttare i nuovi investimenti a fini sociali.

Il piano originario prevede una unica galleria realizzata sul margine della città, con spazio sia per il servizio ferroviario che metropolitano che scorrono paralleli. Una configurazione che migliora l’efficienza sia del servizio intercity che di attraversamento urbano, oltre a integrare la metropolitana. Dal punto di vista dell’assetto urbanistico ha effetti diversi da quelli di un sistema radiale, o di allargamento del servizio autobus e tranviario. I nodi tra il sistema circolare le arterie radiali stradali e le metropolitane diventerebbero concentrazioni di interessi: invece di focalizzare sul nucleo terziario centrale (come succederebbe con la metropolitana convergente) o favorire una crescita abbastanza casuale (con il potenziamento di tram e autobus) il passaggio di attraversamento crea una serie di nodi satellite lungo la periferia nord-orientale.

Alla fine si giunge a un compromesso, che prevede la galleria periferica, ma senza spazio parallelo per la metropolitana. Le stazioni coincidono con le tre ferroviarie, di cui due già connesse alle metropolitane, e se ne realizzerà un’altra là dove la metropolitana incrocia l’attraversamento. È prevista una terza metropolitana dal centro verso la fascia suburbana meridionale. La decisione di realizzare sia il percorso passante sia una nuova metropolitana indebolisce il criterio di base del doppio ruolo di una unica infrastruttura, prevedendo con un notevole costo due opere distinte, che al tempo stesso accentrano e decentrano: centralizza la metropolitana, ma il Passante attirando funzioni sui nodi delle stazioni e collegando le metropolitane esistenti avrà un effetto decentratore. Esiste un potenziale particolare là dove il percorso di attraversamento incontra la nuova linea di metropolitana prevista, uno spazio ampio e disponibile per la trasformazione, che si può affiancare al centro terziario tradizionale come densità di infrastrutture.

La decisione della terza metropolitana (ed eliminazione del percorso di metropolitana parallelo alla ferrovia) fa pensare a una logica lontana dai consigli degli esperti di settore ispirati a una razionalità burocratica, ma anche che con la realizzazione del passante non prevalgono neppure i grandi interessi di focalizzazione nel nucleo terziario centrale. Con un risultato che secondo alcuni critici è del tutto irrazionale e non trova corrispettivi nelle strategie urbane di nessun paese, e negli Usa si verifica solo là dove la pubblica amministrazione cede contemporaneamente a due interessi contrapposti con obiettivi in contraddizione l’uno con l’altro. Il nostro obiettivo sarà di provare a capire cosa avviene in questo caso a Milano. Il Passante comporta un lungo processo di parecchie decisioni con molti soggetti partecipanti, ciò consente di leggere meglio ciò che sta accadendo, e almeno potenzialmente comprendere il formarsi degli interessi nelle trasformazioni e localizzazioni.

Interessi e strategie

Dai nostri rilievi, il mondo degli affari e le principali associazioni di settore, come nel caso di quello immobiliare, appare poco informato sui dettagli del progetto e lo schema generale. Un importante rappresentante dei piccoli imprenditori, ad esempio, risponde di non sapere neppure cosa sia, il Passante: «Non capisco di cosa stiate parlando, noi non c’entriamo nulla». E chi qualcosa ne sa, ne parla con molta approssimazione a proposito del percorso o delle stazioni, non riuscendo a indicare i punti in cui si incrocia con le metropolitane. Il responsabile di una importante compagnia immobiliare sta sulla difensiva per la propria ignoranza, e la spiega scusandosi in questo modo: «Sarebbe certo meglio saperne di più sul progetto, ma da Palazzo Marino [la sede dell’amministrazione] non lasciano filtrare molte informazioni». Insomma ci si lamenta della riluttanza ufficiale a informare, ma la si ritiene in sostanza un diritto alla discrezione.

Alla domanda da dove traggono le proprie informazioni sul progetto, gli interlocutori economici rispondono dai giornali. Uno ci dice: «Ho visto una mappa sul Corriere della Sera». Nonostante qualcuno a volte faccia riferimento alla documentazione distribuita dal comune, o a qualche presentazione pubblica del progetto, non emerge la minima comprensione delle implicazioni. Non si sa ad esempio quanto possa costare. Uno degli intervistati, dirigente di un’altro gruppo immobiliare, appare sempre sulla difensiva rispetto al proprio ruolo abbastanza passivo e osserva (quasi come scusa per questo atteggiamento): «esprimeremo le nostre valutazioni quando ci saranno proposte concerete per determinate zone». Il livello di informazione dei vari operatori economici sembra particolarmente basso specie paragonato a quello dei rappresentanti politici, che capiscono invece in profondità gli effetti potenziali del progetto.

Interessante confrontare questo assetto col successivo realizzato Quartiere Porta Nuova sulla medesima area

A differenza degli attori economici, i funzionari di partito non basano certo le proprie informazioni sui giornali. Le apprendono invece attraverso le discussioni interne al gruppo di lavoro sui trasporti del partito, o dai propri delegati nelle istituzioni ed enti locali (a scala municipale, provinciale, regionale). Sono anche in contatto coi consigli di Zona di Milano, gli organismi eletti che dopo la riforma del 1975 hanno poteri consultivi su casa e urbanistica. Gli esperti di trasporti dei maggiori partiti e i consulenti tecnici di settore per le amministrazioni locali sono certamente i più informati. Conoscono bene tutti i particolari del progetto, come per esempio la distribuzione dei costi fra comune, regione, e ferrovie. E non solo il loro livello di informazione è molto più elevato di quello degli attori economici, ma considerano questi ultimi con un ruolo a dir poco secondario nel processo. Se negli Usa in genere le istituzioni lamentano un eccesso di pressioni da parte degli interessi particolari, in questo caso i burocrati non ne avvertono nessuna.

La risposta forse più indicativa dalle élite economiche è l’incapacità di replicare a questioni molto dirette sul tema, la loro richiesta di ripetere la domanda o riformularla così da poterne capire il senso e replicare. Specie di fronte alla domanda specifica su come pensano che influirà, questa grande futura trasformazione del sistema dei trasporti, sui valori immobiliari cittadini e sulla loro attività. Sembrano non aver proprio riflettuto sull’argomento, e non riuscire a formulare una risposta, anche se stimolati. Non colgono nemmeno il senso del nostro chiedere a proposito di loro pressioni sulla pubblica amministrazione che decide per le infrastrutture, probabilmente perché considerano la cosa una questione molto lontana. Insistendo, le risposte ottenute suonano comunque distanti, poco coinvolte, come se si trattasse di «comuni cittadini», con informazioni vaghe e però plausibili per quanto molto generali, che provano a interpretare gli effetti urbanistici del progetto.

da: International Journal of Urban and Regional Research, vol. 14, n. 4, 1990 – Titolo originale: Building Milan: alternative machines of growth – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini [ai fini dei temi e tesi del sito il valore principale di questo saggio è soprattutto di carattere descrittivo, i dettagli del metodo e prospettiva di ricerca sociale stanno ovviamente nelle parti omesse per motivi pratici e di tempo; il pezzo è comunque disponibile anche online, a pagamento o con accredito di biblioteca universitaria] 

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