Piani regolatori regionali (1933)

ruhrCon l’avvento del Fascismo e la valorizzazione del suo magnifico spirito di rinnovamento delle iniziative e delle opere, l’Italia si è trovata, nei suoi centri maggiori, nell’assoluta necessità di affrontare il disciplinamento organico dello sviluppo delle città e del loro risanamento. È noto come il periodo pre-fascista non avesse minimamente eccitata la scienza urbanistica e come sia dovuta a pochi uomini di buona volontà la diffusione di regole moderne nell’ordinamento generale dei traffici, dell’edilizia, della sistemazione dei servizi pubblici nelle città, nell’ampliamente del territorio delle stesse, per adeguarle alle necessità nuove di vita. La buona volontà di «questi pochi» si è trovata a lottare contro difficoltà di ordine vario, ma tutte importanti, e, solo oggi, pare che si respiri un’aria nuova in merito ai piani regolatori, perché gli oscurantisti, gli incerti, i conservatori ad oltranza e i difensori strenui dell’interesse privato a danno del pubblico interesse, sono stati battuti e dalla forza delle cose, e dal tempo.

Il rinnovamento di Roma, Torino, Genova, Brescia, Bari ecc., la creazione di importanti nuclei intorno alle città per abitazioni operaie, il sorgere di nuove città rurali, come Littoria, con criteri assolutamente moderni, sono fatti incontrovertibili che stanno ampiamente a dimostrare come, con sicurezza e certezza di risultati, si sia passati dallo studio all’azione concludente. E tutto questo non è stato fatto con metodo unico, ma con chiara visione delle necessità di vita, diverse in ogni singolo centro, adeguando lo studio a seconda del compito diverso che ogni città adempie nel quadro generale, sia esso di lavoro, di cultura, d’arte o rurale. I compiti da svolgere nello studio dei piani regolatori per le città italiane furono posti con singolare chiarezza dal Capo del Governo fin dal novembre 1928, e fu ventura, perché si evitò l’errore probabile della corsa alla creazione di centri mastodontici, cercando di equilibrare le necessità della città con quelle della campagna e adottando la bonifica integrale, aiuto notevole per arrestare il fenomeno pericoloso dell’urbanesimo.

Notiamo però come i concetti si siano arrestati quasi sempre all’ambito comunale e come, anche nei concorsi che sono fioriti in questi anni, non sia mai stato affrontato, per quanto possibile, l’estensione del «piano regolatore comunale» ad un concetto più lato e più logico e cioè al «piano regolatore regionale». Raggiunte con soddisfazione le posizioni attuali, è, a parer nostro, necessario guardare più in là e perfezionarsi ed è quindi forse giunto il momento perché questi studi tengano conto di altre necessità, non si limitino a regolare gli interessi immediati e futuri di un Comune, ma vedano e prevedano anche gli interessi di tutto ciò che circonda il Comune e, cioè, della regione. Noi troviamo che un piano regolatore che si preoccupi prevalentemente dell’espansione e del rinnovamento del nucleo cittadino, trascurando completamente la «zona» o regione che attorno ad esso si estende, non può riuscire di sicuro vantaggio, né al centro cittadino, né alla regione che lo circonda.

Esiste una zona di influenza circostante alle città che è, per ovvie ragioni di economia, di industria e di attività, strettamente legata a queste, e che vive di riflesso – occorre che questa zona sia valorizzata, «servita» dal nuovo piano regolatore anche se essa si estende fuori dai confini materiali di un Comune. La nuova politica rurale del Governo, il continuare nella via intrapresa del disurbanamento, le esperienze del passato e quelle dell’estero, indicano chiaramente, come solo col coordinamento di un piano regolatore cittadino con quello della regione, si possa far luogo ad un organico defluire delle iniziative e della popolazione dal centro alla periferia e verso centri satelliti minori. La campagna demografica ha messo in primo piano il problema delle abitazioni per le classi operaie e per i non abbienti; il quesito se queste abitazioni debbano essere per l’avvenire ancora costruite nelle immediate vicinanze delle città oppure se a distanza in piccoli centri, non importa se creati anche appositamente, ma collegati al centro con mezzi rapidissimi, non è stato ancora risolto; è però utile non pregiudicarne la soluzione.

È certo che disurbanare le città, evitare i guai dell’inurbamento, significa portare lontano dal centro, verso le aree verdi, quel minimo di organizzazione che serve alla vita; questa si svolgerà meno costosa per le famiglie, più facile per la libertà che può concedere la vita di campagna, più serena e più tranquilla, in abitazioni comode, luminose e spaziose, quali certo non potrebbero sorgere in città. È quindi necessario diluire nella regione il benessere che fin qui, diciamolo pure, hanno sempre egoisticamente, monopolizzato i centri importanti; è necessario sorpassare le mentalità egocentriche che avrebbero trasformato le città in centri immani, disperditori di ricchezza, contro ogni ragionevole economia. Su queste basi e questi concetti, all’estero molto è già stato fatto, e, a parer nostro, con notevole successo, il quale è stato in gran parte dovuto alla risoluzione razionale e sensata delle rapide comunicazioni.

È infatti intuitivo e provato che i servizi di trasporto strettamente urbani e che servono quindi unicamente il centro, non hanno mai servito a decentrare, anzi sono stati un aiuto per l’accrescimento della congestione del centro stesso, mentre ottimi e rapidi mezzi di comunicazione fra il centro e la zona circostante hanno sempre aiutato e favorito il decentramento. Un progetto di rapidi mezzi di comunicazione urbani e interurbani, che tenga conto, secondo noi, di tutto quanto esposto e che perciò si metta all’avanguardia in questo campo, è il progetto della metropolitana di Milano. Esso non si è attenuto a considerazioni egoistiche, e, per noi, retrograde, ma ha affrontato, approfittando con intelligenza dell’esperienza fatta all’estero, un piano regolatore regionale dei mezzi di trasporto. Milano ha, con questo, compreso come la sua vita economica e culturale sia intimamente legata a quella degli importantissimi centri industriali, commerciali, agricoli e turistici che la circondano, e viceversa; non ha voluto arrestarsi con i suoi progetti ad un’ipotetica linea di confine di Comune, concetto ormai medioevale, ma si è spinta oltre i confini stessi, affacciandosi in zone ricche anche di incomparabili bellezze naturali, quali i nostri laghi lombardi, le nostre Prealpi, mete di villeggiatura e di luoghi di sosta e di sports, che verranno così uniti al grande centro con rapidità, comodità, conforto e sicurezza.

La città madre ha pensato che i bisogni della zona non dovevano essere sacrificati alle sue necessità, ma dovevano pesare tutti in giusta misura sul problema arduo e complesso. Dallo studio ponderato e dai calcoli si è trovato che vale la pena di affrontare l’onere non indifferente derivante da simile estensione di un importantissimo piano dei trasporti e che, in definitiva, il coraggioso progetto, attuato per gradi, avrebbe pienamente corrisposto nel futuro, anche dal lato economico, ai sacrifici sopportati. Il piano regolatore regionale dovrebbe essere quindi una trama, perfetta il più possibile, di vie di comunicazione, trasporti rapidi, di zone destinate a parchi di riposo e di sosta, di luoghi destinati a case di cura, di zone destinate alle varie industrie che si spostano o che si creano, di zone destinate unicamente all’agricoltura, ecc. entro la quale trama dovrebbero innestarsi i piani regolatori delle città e dei Comuni che formano la regione.

Uno sviluppo organico di tutto quanto è stato elencato è certamente, a prima vista, il meglio che si possa attuare. A questo studio potrebbero essere chiamati a collaborare i Capi dei maggiori centri interessati, delle Province, di Consigli dell’Economia ecc., in modo che esistano tutte le garanzie possibili circa il rispetto degli interessi delle varie zone, essendo intento precipuo quello di raggiungere un’ordinata ed organica fusione di tutte le necessità e di tutti gli interessi della regione considerata. Dal lato economico generale, noi pensiamo che un piano regolatore così impostato possa riuscire anche a combattere strani fenomeni di aumenti di valore di aree nei singoli centri, diluendo il benessere su una superficie tanto vasta, da eccitare anche un decentramento delle iniziative tanto industriali che edilizie e attenuare la tensione finanziaria nelle città, che spesso raggiunge limiti anche superiori alle loro reali capacità, obbligando anche noi, per questo stato, spesso a rinunciare a funzioni sociali più sagge e più degne.

L’artigianato potrebbe trovare un terreno più adatto al suo sviluppo ed al suo progresso, non più distratto dalle tentazioni della città, con tutte le sue chimere, troppo spesso false ed amare, e i mezzi capitalistici non diserterebbero più la regione col miraggio di impieghi più sicuri nella città, e tutto questo contro il concetto che si devono migliorare le condizioni generali di vita nella regione e non assicurare vantaggi ad un centro, trascurando gli altri ad esso intimamente legati dall’economia generale. Riformati i centri minori, aumentato il benessere e le possibilità di lavoro, tracciata e definita la rete stradale, quella ferroviaria della regione, valorizzati i centri agricoli, verrà a esaurirsi l’immigrazione inutile nelle città dove la vita è greve, l’alloggio meno salubre, le spese più forti, e le attrazioni maggiori, tutto a scapito del rendimento dell’elemento uomo.

D’altra parte le città verranno, a poco a poco, ad essere sollevate da una parte del peso non indifferente dei soccorsi da prodigarsi ad ammalati ed a non abbienti, spese che gravano in modo non indifferente sui bilanci odierni degli Enti Pubblici con tendenza a un continuo aumento, fino a raggiungere, in certi Comuni, cifre assolutamente imprevedibili. Per quanto sopra esposto, i piani regolatori comunali, quando non facessero parte di un piano regionale già approvato, non dovrebbero più essere accettati dalle superiori Autorità e si dovrebbe disporre perché senz’altro si passasse all’attuazione di organici piani regionali.

Estratto da: il Politecnico, aprile 1933
Immagine di copertina: il Politecnico, ottobre 1935

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