PIANI URBANISTICI E SISTEMI DI CATALOGAZIONE (1997)

1 pt. bitter beer every six hours
1 ten-mile walk every morning
1 bed at 11 sharp every evening
And don’t stuff up your mind with things you don’t understand.

(J K. Jerome, 1889)

1. INTRODUZIONE

Fabrizio Bottini *

Mentre scrivo queste brevi note introduttive ai tre testi che seguono, i risultati e le riflessioni che li hanno stimolati assumono senso nuovo, alla luce di almeno due recentissimi «eventi».

ARCHIVIO RAPu

Il primo evento è l’adesione, da parte di una serie di qualificati gruppi di lavoro delle Facoltà di Ingegneria e Architettura italiane, al metodo di ricerca, rilevamento, catalogazione che descrivo nel mio brano. In altre parole, indipendentemente dalle sfumature e caratterizzazioni che certamente distinguono i progetti conoscitivi dei vari gruppi, la metodologia di lavoro, le riflessioni che la sostengono, i risultati tangibili che ha prodotto sinora, sono stati considerati sufficientemente «oggettivi», e il catalogo in via di formazione è stato riconosciuto nelle sue potenzialità di «strumento di produzione» di nuova conoscenza anziché di «prodotto» finito. Non è poco.

Il secondo evento (inaspettato, almeno in tempi così brevi) è la costituzione di un gruppo di lavoro permanente, composto dai rappresentanti di varie iniziative impegnate nella catalogazione di documenti di urbanistica e architettura, per la fissazione di uno «standard» comune. La particolarità di questa linea di lavoro rispetto a quella precedente è il tentativo di stabilire criteri comuni tali da consentire la massima accessibilità da parte dell’utente a banche dati cresciute in modo autonomo a partire da progetti di ricerca e divulgazione fortemente caratterizzati (il progetto di architettura; la pianificazione di area vasta; gli strumenti urbanistici «storici»; i documenti a forte contenuto ambientalista, ecc.).

Esula dall’economia di queste note introduttive, l’analisi di queste due linee di lavoro, ma ho ritenuto importante citarle, soprattutto per meglio contestualizzare e collocare i tre saggi presentati di seguito. Del mio testo, posso soltanto premettere la natura semplicemente descrittiva: di un metodo di approccio al piano urbanistico, di alcune acquisizioni e risultati che mi sono sembrati importanti da sottolineare. Sul «prodotto finito» che questa metodologia sottende, ovvero il sistema di legami del software operativo della banca dati sui piani urbanistici, mi riservo di tornare eventualmente in seguito: quando gli sviluppi della ricerca in corso (e delle due linee di lavoro accennate sopra) lo consentiranno, e se questa Rivista vorrà ancora concedere ospitalità ai risultati di questi sviluppi.

I testi seguenti, di Chiara Rostagno e Alessandra Marin, vogliono essere un momento di riflessione su due esperienze di ricerca «sul campo», effettuate secondo le modalità e gli obiettivi descritti nel primo saggio, e collocano il proprio punto di vista rispettivamente a due estremi del processo: l’individuazione e selezione delle fonti, un possibile criterio di lettura dei documenti. Rostagno descrive i problemi degli archivi dal punto di vista delle competenze, dello stato di conservazione e organizzazione dei documenti, proponendo una verifica pratica del metodo di indagine. Marin, a partire da una analoga esperienza, si sofferma sulle possibilità offerte dalla disponibilità diretta dei documenti di piano urbanistico, esplorando concretamente le potenzialità di uno schema interpretativo «generazionale».

2. DOCUMENTI DI PIANO URBANISTICO

UNA METODOLOGIA DI RICERCA SUL CASO ITALIANO: DALL’UNITA’ ALLE REGIONI

Fabrizio Bottini

Premessa

Da alcuni anni, l’intreccio fra necessità di accesso alle informazioni e nuove possibilità offerte dalle tecnologie ha favorito la nascita di numerose e varie iniziative a caratterizzazione scientifica disciplinare, che hanno in comune l’accezione di «archivio». L’uso del termine è senz’altro legittimo, considerato che un archivio è «Raccolta organizzata di documenti di diversa natura, prodotti o comunque acquisiti dallo Stato e dall’amministrazione pubblica, da enti ed istituzioni, da famiglie o persone durante l’esercizio della loro attività»1, e dunque è sufficiente raccogliere e organizzare documenti di qualunque natura per caratterizzarsi come «archivio». Del resto, anche storicamente, tale denominazione accomuna raccolte ufficiali dello Stato, di enti pubblici non statali, di privati e imprese, di enti ecclesiastici e così via. Tanti soggetti diversi, che in differenti epoche hanno provveduto all’ordinamento dei materiali, hanno usato criteri divergenti di classificazione, gestione, organizzazione, per non parlare delle altre articolazioni rappresentate dall’essere l’archivio di tipo corrente, di deposito, o storico, oppure di rappresentare espressione di una unica entità, o criterio di ordinamento, o di più entità, criteri, tipologie di documenti … e via dicendo. In definitiva, il problema comune che tutte le iniziative «archivistiche» recenti si sono poste può essere ricondotto (semplificando al massimo) alla questione dell’ «interfaccia», ovvero della possibilità di unificare o comunque rendere compatibili al massimo criteri di accesso e ricerca, senza nulla perdere: in termini di specificità delle fonti e relativa originaria organizzazione, così come dal punto di vista dei percorsi tematici suggeriti specificamente dai vari progetti.

Limitatamente al campo dell’urbanistica, nelle sue varie articolazioni sia di tipo critico-storico che più direttamente operative, le iniziative caratterizzate in senso «archivistico» sono numerosissime: dal riordino e informatizzazione di raccolte già esistenti e fondi di tipo professionale o di proprietà pubblica, fino alla creazione di banche dati territoriali, o di strumenti di interrelazione fra le varie modalità di ordinamento, per consentire un accesso incrociato ad informazioni sinora tanto ricche quanto «impermeabili» l’una rispetto all’altra. All’ultima tipologia, di «interfaccia», appartiene anche il progetto di Rete Archivi dei Piani urbanistici – RAPu – attivo dal 1994 alla Triennale di Milano tra le iniziative permanenti, che affianca attività di ordinamento, divulgazione, ricerca storico-documentaria 2. A quest’ultimo aspetto di ricerca, ai relativi criteri metodologici elaborati e sperimentati, sono dedicate le note che seguono.

2.1 Delimitazione del campo e ricerche preliminari

L’urbanistica, storicamente, è confluenza, contaminazione, continua ridefinizione. Il piano regolatore, principale elemento di azione e riconoscibilità dell’urbanistica, si forma e si modifica secondo gli stessi processi di convergenza, conflitto, negoziazione, evoluzione. Nello stesso tempo il piano, inteso come unità documentaria (gruppo di scritti e tavole di progetto) è la «fotografia» di un momento di equilibrio: in una determinata città, in un determinato momento storico, i vari attori culturali, economici, sociali hanno raggiunto un compromesso e firmato un patto. Il testo di questo patto è rappresentato dalle tavole e dai documenti scritti che compongono il piano regolatore: una «fotografia» che certo non restituisce la complessità della storia urbanistica locale, ma ne ricostruisce una «tappa» a cui tutti in un modo o nell’altro hanno contribuito. Occorre quindi, con queste premesse, delimitare il campo della ricerca, che nell’archivio della Triennale ha interessato: piani regolatori urbanistici di «rilevanza comunale», redatti per città capoluogo di provincia italiane, nel periodo tra il 1865 (legge 2359 sull’espropriazione per pubblica utilità e prime norme unitarie in materia di piani regolatori) e il trasferimento delle competenze urbanistiche alle regioni (seconda metà degli anni Settanta del nostro secolo). Un ulteriore criterio è stato quello di includere sia piani regolatori approvati dagli organismi competenti, sia progetti rimasti allo stato di studio3, conseguentemente separando (salvo legami «oggettivi», su cui torneremo in seguito) documenti che un approccio storico-processuale avrebbe compreso nella medesima vicenda, anche allo scopo di facilitare l’obiettivo finale, di mettere a disposizione i risultati della ricerca secondo lo standard ISBD (International Standard Bibliographic Description). Questo significa che, come già sperimentato in altre esperienze di catalogazione, «la descrizione messa a punto ha come partenza l’unità archivistica del progetto. I materiali vengono prima di tutto identificati e ordinati secondo l’appartenenza al progetto, in secondo luogo si procede alla descrizione dei singoli elementi che lo compongono»4.

ARCHIVIO RAPu

I criteri di delimitazione descritti sopra dovrebbero chiarire perché si parla di metodo di «ricerca», anziché di «rilevazione», non esiste infatti al momento attuale né un elenco esaustivo dei piani redatti per le città italiane nel periodo considerato, né tantomeno una corrispondente «mappa» dei luoghi in cui si conservano i materiali5. Dunque prima di affrontare la ricerca documentaria propriamente detta è indispensabile ricostruire la vicenda locale, nel periodo storico considerato, dal punto di vista della produzione di documenti di piano. L’elenco completo dei piani per una città, deve comprendere: a) quelli approvati con legge o decreto; b) quelli fatti propri dall’amministrazione locale, sia con l’intenzione di proporli all’approvazione, sia attraverso concorsi di idee che producono elaborati di piano; c) quelli rimasti dal punto di vista istituzionale allo stadio di studi preliminari, ma che costituiscono un insieme documentario completo, che considera la città nel suo insieme.

Per costruire l’elenco delle unità documentarie di piano regolatore, le varie pubblicazioni disponibili sulla storia urbanistica devono essere considerate come semplici «indizi». In altre parole le date dei piani, le responsabilità di redazione e altre notizie riportate dalla letteratura costituiscono solo un’indicazione di lavoro, visto che non sempre le notizie coincidono con gli atti ufficiali. Dunque, dopo aver ricostruito la storia urbanistica locale attraverso la letteratura scientifica, si devono verificare eventuali incongruenze consultando la documentazione istituzionale: raccolte di leggi e decreti; raccolte di delibere; resoconti di discussioni ecc. Dalla lettura di questo materiale, è possibile identificare e quantificare le unità documentarie di piano, la loro coincidenza con atti pubblici, la probabile collocazione attuale.

Il lavoro di ricerca riassunto sinora consente di stendere una «mappa indiziaria», in cui ad ogni unità documentaria corrisponde un giacimento. Le tipologie di archivio corrispondono in linea di massima a particolari tipologie di piano, oppure a determinate porzioni (grafiche, scritte) dell’unità documentaria.

Riassumendo, la ricerca sui giacimenti locali è finalizzata a costruire:

  • una cronologia esaustiva dei piani regolatori per la città nell’arco di tempo considerato, corredata di notizie essenziali di carattere storico, amministrativo, nonché di provvisorie «schede abbreviate» di piano, con indicate le responsabilità di redazione, e se possibile la probabile consistenza documentaria;

  • una «mappa» dei luoghi in cui sono sicuramente o molto probabilmente conservati i documenti in sede locale6;

  • un insieme di informazioni suppletive, di tipo bibliografico ecc., utili a sviluppare la ricerca su fondi diversi da quelli locali.

Sulla base di questi elementi, è possibile iniziare il lavoro diretto sui materiali di piano regolatore.

2.2 L’analisi dei documenti di piano regolatore

La complessità della storia urbanistica si riflette anche nell’organizzazione dei documenti originali che la testimoniano. Il piano regolatore è un processo di negoziazione sociale, che il tecnico urbanista in particolari momenti fissa in una unità documentaria ben definita. E’ questa unità, quella che definiamo come «documenti propri» di piano regolatore: tavole di progetto, relazione generale, norme tecniche ecc.. A questo nucleo centrale, sono da aggiungere tutti gli studi analitici e di settore direttamente connessi al progetto. Non fa strettamente parte dell’unità documentaria «propria» (anche se può avere valore notevole per gli studi storici) il materiale che si riferisce alla preparazione del piano, o alla sua successiva attuazione, come gli atti del dibattito sul conferimento dell’incarico, o i ricorsi dei proprietari immobiliari contro una determinata scelta dell’amministrazione. Ciò premesso, si introduce quella che è stata definita «tecnica di descrizione multilivello che pone le schede dei progetti a un livello privilegiato … in quello inferiore, più dettagliato, … troviamo le descrizioni dei singoli documenti legati alla scheda di progetto»7. Ovvero, il rilevamento avverrà: a) con un modulo che descrive l’insieme del piano regolatore identificato in un certo giacimento; b) con tanti moduli descrittivi dettagliati quanti sono i singoli «pezzi» (tavole, relazioni ecc.) che lo compongono.

Modulo descrittivo di piano

Ha come obiettivo l’attribuzione a un determinato piano di un gruppo di documenti collocati in un singolo archivio. Si ritiene esaustivo limitatamente a «quel» gruppo di documenti, e non al piano nel suo insieme (che in parte o in tutto potrebbe essere conservato altrove). Il Modulo descrittivo di piano si articola in:

  • Codice di identificazione. Descrive il gruppo di documenti e il luogo in cui sono conservati. Questo codice costituirà la prima parte dei moduli descrittivi dei singoli «pezzi»
  • Collocazione. Riporta la segnatura del piano regolatore così come risulta dal catalogo dell’archivio di appartenenza. Nel caso (frequente) di materiali non ordinati, fornisce indicazioni di massima per rintracciarli
  • Norma, Numero, Data. Nel caso di piani approvati dagli organismi centrali descrive per esteso la tipologia del provvedimento (Decreto, Legge ecc.). Nel caso di piani approvati dall’ente locale riporta gli estremi della relativa sanzione. Quando si tratta di piani presentati a un concorso, fa fede la relazione della Commissione giudicatrice. Se il piano non ha sanzione istituzionale la compilazione di questi campi non è obbligatoria
  • Forma. E’ il livello di legittimazione istituzionale del piano, nella versione disponibile in un determinato giacimento. APPROVATO è il piano che alla voce NORMA recita Legge, RDL, RD, DLT, DM, DPR; ADOTTATO è il piano fatto proprio con DELIBERA da parte degli organi locali, per essere avviato all’approvazione; CONCORSO è la serie di elaborati di piano regolatore (tipico del periodo tra le due guerre) consegnati da vari gruppi di lavoro a seguito di bando dell’ente locale; STUDI sono piani elaborati in base a DELIBERA di ente locale, e mai adottati dal Consiglio; PROPOSTE sono piani elaborati su iniziativa diretta di singoli, gruppi, associazioni8
  • Titolo. Riporta per esteso e letteralmente il titolo del piano, così come compare nel più «autorevole» tra i documenti: il provvedimento di approvazione o adozione; il bando di concorso e la relazione della commissione giudicatrice; il conferimento dell’incarico; il frontespizio della relazione generale o della tavola principale
  • Tipo. Classifica il piano in base a un criterio chiuso, basato sulle leggi vigenti in Italia nel periodo considerato. PIANO REGOLATORE EDILIZIO per la città esistente, regolato dalla legge sulla espropriazione per pubblica utilità 22.06.1865 n.2359; PIANO DI AMPLIAMENTO, previsto dalla stessa legge per le zone di espansione; PIANO DI RISANAMENTO regolato dalla «Legge di Napoli» 15.01.1885 n.2892; PIANO REGOLATORE E DI AMPLIAMENTO, caratterizza leggi speciali e bandi di concorso che tentano di superare la divisione tra piano per la città esistente e territori esterni.; PIANO DI RICOSTRUZIONE per gli abitati danneggiati dalla guerra (DLT 01.03.1945 n.154) ; PIANO REGOLATORE GENERALE (PRG) previsto dalla legge urbanistica generale n. 1150 del 1942 esteso a tutto il territorio comunale e a durata indeterminata; PROGRAMMA DI FABBRICAZIONE9
  • Redazione. Riporta la «responsabilità di redazione» così come appare dai documenti. In ordine gerarchico: il conferimento dell’incarico; il frontespizio della relazione generale; altre fonti (specificate)
  • Nazione, Regione, Provincia, Località (con note su eventuali accertati mutamenti di confine, sovranità nazionale, ecc., nell’arco storico considerato)
  • Consistenza, Collazione. Numero delle unità che costituiscono il piano, distinte tra materiali scritti e tavole. Descrizione fisica dell’organizzazione documentaria (cartelle, rotoli, «faldoni», ecc.).

Modulo descrittivo di documento. Ha come obiettivo la descrizione dettagliata dei singoli «pezzi» costituenti il piano urbanistico, conservati in un determinato giacimento. La titolazione e articolazione dei campi, in questo Modulo, differisce leggermente tra documenti scritti (relazioni ecc.) e grafici (tavole di analisi e progetto).

  • Codice di identificazione. Rinvia al gruppo di documenti, al luogo in cui sono conservati, e identifica il singolo «pezzo» descritto in dettaglio, distinguendo tra materiali scritti «D», tavole «C», ed eventuali sottounità (carte che rinviano a quadri di unione, ecc.)

  • Collocazione. Riporta la segnatura dal catalogo dell’archivio di appartenenza. Nel caso di materiali non ordinati, fornisce comunque indicazioni «libere» per rintracciarli
  • Intestazione generale. E’ la dizione, per esteso e/o comunque inequivocabile, del piano a cui è stato motivatamente attribuito il documento

  • Intestazione. E’ il titolo del documento riportato per esteso, con note sulla posizione, eventuale titolo secondario (o presunto se si ritiene indicazione utile ad identificare il documento), eventuale legenda ecc.

  • Data. Quella espressamente riportata, o se non disponibile quella del piano

  • Responsabilità di redazione. Principali e secondarie, espressamente riportate sul documento. Se non disponibili, quelle generali del piano

  • Pezzi che compongono l’unità. Volumi o fascicoli con la stessa intestazione, o tavole che compongono un quadro di unione

  • Sistemi di rappresentazione e tecnica grafica. Piante, sezioni ecc. China, stampa tipografica ecc.

  • Descrizione fisica. Cartografia utilizzata, dimensioni delle tavole o dei fascicoli o volumi, scala di rappresentazione, note sullo stato di conservazione, eventuali complementi (allegati grafici ai testi ecc.)

  • Forme ed eventuali vincoli di accessibilità

2.3 Risultati, osservazioni e prospettive

Quella riportata sopra in forma semplificata non è, come già accennato, una scheda catalografica, ma uno strumento intermedio di ricerca e «inventariazione» sistematico, già sperimentato su venti città capoluogo di provincia, cui in tempi brevi se ne aggiungeranno altre10. Del resto, la stessa natura del progetto RAPu mal si prestava nella sua caratteristica peculiare di «interfaccia» a proporre in prima istanza criteri precostituiti, come quelli applicabili e applicati in raccolte già inventariate, che prevedono solo come eventualità l’ingresso di nuovi elementi, e come eventualità estrema il dialogo con altri criteri di ordinamento. Dunque anche l’aspetto della ricerca secondo criteri unificati non poteva che essere coerente con una idea generale dove «L’archivio … diventa componente virtuale di un sistema documentario aperto comprendente tutti gli archivi virtuali che si renderanno via via disponibili in rete … e dal quale ciascun utente ritaglierà la sezione pertinente i suoi interessi di ricerca, cioè un proprio archivio virtuale»11.

I risultati della ricerca condotta con i criteri unificati, si sono affiancati in connessione «interattiva» (nell’accezione stretta del termine, senza particolari concessioni alle mode correnti) con lo studio di un sistema catalografico sul modello ISBD, parallelo anche in senso concettuale e di pratica organizzazione a quelli realizzati per altre iniziative archivistiche. La struttura di questo sistema (attualmente in corso di messa a punto finale sulla base dei risultati di ricerca unificata sui giacimenti locali) rappresenta in buona parte le intenzionalità dell’idea di Rete Archivi dei Piani urbanistici, ovvero:

  • costruire un sistema autopropulsivo di accesso strutturato ai documenti di piano regolatore urbanistico;

  • promuovere l’intreccio di iniziative parallele, e la connessione e compatibilità con altri giacimenti informativi;

  • valorizzare e promuovere iniziative locali di ricerca, organizzazione documentaria, restauro, divulgazione, informatizzazione di dati e documenti relativi ai piani urbanistici;

  • progettare in stretto rapporto con i giacimenti «storici» e altre iniziative di catalogazione avanzata dei piani urbanistici una rete organizzativa, di ricerca, catalografica, tecnologica, di banche dati e documenti compatibili e correlate.

Il risultato finale di questo processo, almeno sul versante dell’utenza (che si spera il più allargata possibile in termini di segmenti socio-culturali), sarà la consultabilità di una banca dati di tipo ISBD, ovvero una sorta di catalogo dizionario per autori, titoli e soggetti, che presentandosi nelle forme familiari a qualunque frequentatore di biblioteche rinvia a materiali variamente distribuiti e ordinati sparsi in giacimenti documentari italiani. Le notizie e i legami raccolti con il metodo descritto sopra consentiranno sia di orientarsi preliminarmente nella ricerca sui materiali originari12, sia di accedere direttamente ai documenti scritti e disegni descritti dalle schede, resi disponibili in forma digitalizzata. La differenza di fondo con la maggior parte delle iniziative «archivistiche» gemelle, e che lega in modo particolarmente stretto il programma di ricerca con quello di catalogazione, è il tentativo di qualificare RAPu non tanto come prodotto innovativo, quanto come «strumento di produzione» a disposizione di chi desidera semplicemente consultare documenti, costruendosi autonomamente un percorso di lettura a partire dalla semplice descrizione dei documenti e da legami (schede secondarie, schede di rinvio, catalogo per soggetti) «oggettivi».

3. ATTRAVERSO GLI ARCHIVI CON METODO: RESOCONTO DI UN’ESPERIENZA DI RICERCA

Chiara Rostagno **

3.1 Piani e percorsi di ricerca d’archivio

ARCHIVIO RAPu

Ricercare, come soggetto primario di una ricerca disciplinarmente orientata alla storia, documenti storici che consentano di ricostruire piani regolatori urbanistici implica, prima d’ogni cosa, comprendere quali siano i giacimenti presso cui sono conservati i documenti delle elaborazioni urbanistiche per le città, ricostruirne le modalità di organizzazione ed accertare lo stato di conservazione, o grado di dispersione, che caratterizza i fondi documentari depositati.

Sovente le città possiedono una scarsa consapevolezza della propria memoria urbanistica ed accade che sia totalmente demandato alle strutture degli archivi municipali correnti “l’onere” di custodire gran parte dei fondi documentari storici. Ne deriva che la ricerca debba essere orientata, più che in giacimenti appositamente formalizzati per approfondimenti disciplinari, all’interno di depositi nei quali sono sedimentati e vengono progressivamente accumulati, in modo più o meno strutturato, documenti appartenenti a giacimenti divenuti “storici” per il semplice fatto di non essere più oggetto di quotidiani arricchimenti. La mancanza di una concreta differenziazione, per ordinamento e conservazione, tra archivi correnti e storici è certamente una delle cause principali della mancata visibilità e disponibilità del patrimonio archivistico esistente che, di fatto, solo raramente viene ristudiato ed ordinato con attenzione storico-archivistica.

Salvo rari casi, in cui si è proceduto alla riorganizzazione dei fondi storici, non esiste un censimento attendibile dei documenti effettivamente conservati presso le sedi archivistiche municipali e, ancor più di rado, manca anche una “mappatura” aggiornata dei documenti un tempo censiti e catalogati ed oggi non più rintracciabili, o dispersi, all’interno di uffici secondari della medesima amministrazione.

Esistono, soprattutto per i fondi documentari relativi ai piani regolatori, anche sedi archivistiche collaterali “invisibili” e non catalogate poiché allestite, nel tempo, presso uffici aventi dirette competenze ed implicazioni, come le sedi del Settore urbanistica e degli uffici di Piano o Centro Storico13.

All’interno di categorie14, classi, e fascicoli15 è quindi sommerso un giacimento documentario di estrema rilevanza e, tuttavia, di difficile utilizzazione e studio16. I percorsi di ricostruzione sono intricati, spesso labirintici e, in più occasioni, materialmente impossibili a causa della frequente associazione di competenze fra archivi cessati e correnti: quotidianamente accresciuti, ed oberati, da nuovi documenti acquisiti, protocollati e disposti per l’archiviazione e conservazione. Vi è quindi, con maggiore frequenza nei centri di minore dimensione, una sovrapposizione di competenze e di operatori fra unità archivistiche storicamente consolidatesi e quotidianamente in accrescimento, sino alla ricorrente coincidenza di competenza e personale tra settori preposti al protocollo dei carteggi comunali e le raccolte archivistiche.

Ciò si traduce nella diffusa impossibilità di raggiungere concretamente i documenti originali: manca tempo, spazio e personale per consentire la ricerca storica.

I materiali inesplorati sono molti, spesso rilevanti e quasi tutti giacciono in semplici depositi inidonei non solo per la consultazione ad opera di studiosi ma anche alla loro stessa conservazione. E ciò nella inconsapevolezza dell’elevato valore testimoniale della documentazione posseduta e, per una considerevole parte, mai studiata con dovuta cura e sistematicità.

Gli archivi municipali si presentano al ricercatore come luoghi destinati dalle amministrazioni alla sedimentazione di unità documentarie che, escluse dalle attuali coerenze di processo istituzionale, confluiscono nelle raccolte storiche perché ritenute sostanzialmente “inutili”. Sebbene tale stato delle cose consenta, da un lato, di consultare i documenti depositati secondo le modalità di organizzazione del tempo in cui sono stati redatti, dall’altro tale stato dei giacimenti rende notevolmente oneroso e non privo di difficoltà il procedere di ricerche operanti su testi originali e che, concretamente, devono essere precedute da una indagine preventiva mirata alla “ricostruzione” dello stato dei giacimenti e del materiale in essi depositato.

Qualunque sia lo stato di conservazione dei documenti, compiere ricerche dirette su fonti originali permette di acquisire contributi profittevoli per procedere ad una coerente comprensione delle modalità secondo cui è realmente avvenuto lo sviluppo urbanistico locale e di quali siano stati i criteri ed i caratteri del processo attuativo. A tale proposito la comprensione della reale consistenza dei documenti di piano elaborati nel tempo, così per come sono conservati nelle sedi archivistiche comunali, produce, procedendo concretamente allo studio accorto dei fondi, inventariati secondo le esigenze ed i criteri gestionali dell’epoca di prima classificazione originale, un effettivo arricchimento della ricerca grazie all’insieme di tracce e riferimenti che, emergendo, introducono all’interezza delle elaborazioni urbanistiche intraprese dalle singole amministrazioni.

3.2 Archivi municipali come luogo di ricerca privilegiato

Gli archivi municipali costituiscono, nonostante i predetti problemi, ricche raccolte di documenti esclusivi, originali e spesso inediti che, anche se non privi di possibili alterazioni e soppressioni volontarie, possono rappresentare uno spunto di ricerca privilegiato per la comprensione delle applicazioni del sapere urbanistico alle singole realtà municipali. La scarsa conoscenza del corpo documentario costituente i piani regolatori e la limitata attenzione sino ad oggi dimostrata in tal senso dalle singole amministrazioni è riconducibile al concorso di una serie di fattori quali il non riconoscimento della natura documentaria del palinsesto di piano e l’esiguo interesse, dimostrato ancor oggi, per le continue riscritture e sovrascritture dei documenti avvenute nel tempo.

La limitata consapevolezza, dimostrata da parte delle amministrazioni locali, del valore documentario dei materiali custoditi presso le proprie sedi archivistiche e la dispersione degli istituti preposti alla loro custodia, ha portato alla mancata raccolta e coordinamento delle informazioni all’interno di un quadro complessivo di riorganizzazione dei depositi “correnti” in raccolte storiche realmente definibili come tali. Questo stato diffuso delle raccolte archivistiche locali e le predette condizioni dei giacimenti non agevolano certamente un percorso di ricerca rigoroso ed orientato ad una indagine che intende comprendere l’interezza delle elaborazioni prodotte.

Se il sapere storico è definibile come un pensiero disciplinare elaborato sulla base di dati forniti dai documenti ne deriva che, nell’ambito della disciplina urbanistica, i documenti di piano regolatore possano rappresentare una documentazione chiave, fondamentale ed insostituibile.

Leggere un piano regolatore, secondo una modalità conoscitiva attenta alla consistenza fisica dei documenti originali, vuol dire indagare il complesso processo di costruzione ad esso soggiacente, comprendere i “passi” attraverso cui è stato composto il testo definitivo17, decostruire le fonti delle narrazioni coeve e, soprattutto, rintracciare, nell’esame dei testi e delle tavole di progetto, una ricchezza di dati storici difficilmente rintracciabili dallo studio di fonti non primarie.

Il ricercatore si trova quindi nella condizione di percorrere itinerari di ricerca mai prima indagati ed è a lui lasciato l’onere di dover coordinare ed indirizzare, in prima persona, il “recupero” di documenti inconsapevolmente conservati presso le strutture archivistiche o dispersi in sedi sconosciute alla stessa amministrazione18. Non è infrequente che sia proprio lo svolgersi della ricerca a riportare “in luce” documenti ritenuti persi oppure considerati di scarso interesse, o che sia persino la ricerca compiuta a sollecitare il riordino fisico di materiali disordinatamente accatastati e la predisposizione di provvedimenti tesi a migliorarne le condizioni di conservazione.

3.3 Esperienze di metodo

Muoversi all’interno delle sedi archivistiche secondo i riferimenti metodologici elaborati all’interno dell’iniziativa RAPu implica, in primo luogo, la definizione di un campo di indagine circoscritto, sia sotto il profilo temporale che documentario. Come ricercatore coinvolto nell’iniziativa di ricerca il fine perseguito, nello studio delle fonti documentarie, è stato quello di giungere alla individuazione di un sistema di informazioni chiave, comunemente definito in seno alla Triennale di Milano, e alla predisposizione di un sistema coerente di notizie storiche a partire da documenti fortemente disomogenei e in gran parte lacunosi.

A seguito di una accorta lettura della bibliografia disciplinare, soprattutto locale, dedicata al tema della pianificazione nell’area di studio, la ricerca si svolge di fatto all’interno dei documenti originali custoditi in luogo, ossia all’interno delle differenti sedi archivistiche esistenti nel comune indagato.

Il percorso di indagine storiografica, avvalendosi della serie di “quesiti” ed osservazioni intorno ai documenti di lavoro preventivamente definiti da RAPu, consente di interrogare la documentazione cartacea al fine tradurre la complessità delle informazioni contenute nei documenti in un insieme strutturato, di notizie e dati, omogeneo e confrontabile. Al ricercatore è quindi affidato il compito di decostruire lo stato dei giacimenti in relazione al tema fondamentale della ricerca: la ricostruzione del palinsesto di piano originale. L’obiettivo del ricercatore è quello di tradurre un insieme disomogeneo di documentazioni e memorie in un coerente insieme di unità documentarie: i piani regolatori.

Esiste, da subito, un duplice percorso attraverso cui è possibile giungere all’individuazione di documenti pertinenti all’interno delle sedi archivistiche locali. Un prima possibilità si articola secondo una ricostruzione della collocazione originale dei materiali di piano: ci si muove, quindi, nei periodi di elaborazione dei piani attraverso l’individuazione di cartelle che, pur appartenenti a distinte classi e categorie, accorpano differenti atti ed azioni compiute dalla pubblica amministrazione per giungere alla definizione di un progetto di piano. Una seconda via parte dal tentativo di rintracciare documenti che, pur essendo conservati come non direttamente pertinenti alla pianificazione risultano essere stati originariamente appartenenti ad un’unità documentaria di piano. L’individuazione avviene rintracciando, anche all’interno di cartelle in apparenza anche non coerenti per periodo, documenti dispersi in fascicoli minori perché divenuti pertinenti anche ad altri settori della pubblica amministrazione19. Questa duplice azione operativa consente di affrontare i casi, tutt’altro che infrequenti, in cui un gruppo di documenti appartenenti ad una unità di piano conchiusa non sia totalmente reperibile in un medesimo fondo archivistico20. Ne deriva che un piano urbanistico possa non essere conservato presso un’unica sede archivistica ma essere, per eventi di processo, attualmente custodito nella modalità implicata dalla sua elaborazione e attuazione nel tempo, così come successive varianti, ripresentazioni, variazioni e sviluppi di idee e di concorso, hanno determinato.

Solo in rari casi il corpo documentario originale di piano è custodito all’interno di un’unica raccolta completa, in ogni suo fascicolo, dei documenti adottati o approvati, mentre se ne rintracciano, con frequenza, copie frammentarie o non caratterizzate da elementi che possano costituire prova di autenticità o, con più difficoltà di verifica, rispondenza e conformità alla versione legittimata

Tale percorso fisico di “decostruzione” degli archivi storici locali consente anche di individuare e segnalare ai coordinatori centrali del progetto, dopo averle opportunamente catalogate, tutte le informazioni aggiuntive di contesto che, rispetto ad un documento o ad un piano e di qualsiasi natura, consentano di rendere sensibile la complessa evoluzione degli eventi e l’articolazione del processo di attuazione. Il ricercatore, pur operando direttamente alla ricerca dei documenti originali strettamente di piano, deve avere cura di segnalare, in modo strutturato, anche le eventuali indicazioni bibliografiche complete, i riferimenti di leggi e decreti, direttamente rintracciati sul campo e pertinenti alle unità documentarie studiate. Viene quindi segnalato distintamente tutto ciò che, individuato e ritenuto meritevole di attenzione o di possibile valore documentario, può costituire un concreto arricchimento documentario per l’iniziativa della Triennale di Milano.

L’intero lavoro compiuto localmente, orientato in relazione agli obiettivi ed all’impronta operativa definita dal Comitato Scientifico del Progetto, viene fattivamente seguito e realizzato con il supporto di un gruppo di ricercatori incaricati del coordinamento dei lavori e della verifica scientifica delle ricerche compiute “sul campo”. L’elaborazione metodologica, pratica, strumentale e la definizione degli obiettivi di ricerca avviene centralmente ed è unitariamente coordinata. Ciò rende possibile il rigore metodologico ed analitico necessario, in ogni fase, per la gestione di un complesso di “sedi” archivistiche differenti all’interno di un progetto unitario.

3.4 Da “faldoni” cartacei a schede di piano: l’applicazione del metodo

Raccolte e strutturate le informazioni acquisite dalla bibliografia disciplinare dedicata alla città studiata, è utile procedere alla consultazione diretta degli “inventari” d’archivio e, se inesistenti o incompleti, direttamente delle sezioni d’archivio ritenute “più pertinenti”. Per intreccio di date, autori e settori della pubblica amministrazione è possibile individuare, con un buon grado di approssimazione, le unità di piano elaborate per la città e procedere, con tali indicazioni, alla individuazione dei “faldoni”di archivio in cui è ragionevole ritenere che siano conservati documenti pertinenti ai piani indagati. Inizia, fisicamente, lo studio dei documenti custoditi che, a partire dalla necessaria individuazione dei documenti originali (firmati dagli autori o dal responsabile dell’ufficio comunale incaricato, recanti le date coerenti ai documenti istituzionali di adozione ed approvazione e contrassegnati da timbri ministeriali e valori bollati) giunge ad una minuta descrizione dei contenuti e della consistenza fisica di ogni testo, scritto o grafico, costituente l’unità di piano indagata. Se i caratteri fisici indicati possono garantire, con buona attendibilità, l’originalità degli elaborati ed una loro soddisfacente datazione ne deriva che essi consentano anche di chiarire le complesse correlazioni esistenti tra differenti stesure di documenti di piano e fasi di progressiva maturazione o consolidamento nel processo di “costruzione” e legittimazione di uno strumento regolatore. Indicativamente lo stato della documentazione di piano conservata può essere ricondotta, generalizzando, a tre possibili condizioni di conservazione dei giacimenti. Alcuni piani elaborati risultano ancor oggi unitariamente accorpati all’interno di cartelle unitarie e complete. Altri invece, come accade spesso, risultano “dispersi” seppur all’interno delle medesima sede archivistica, in unità distinte: cartelle differenti, fascicoli sciolti e sottofascicoli di difficile individuazione. Altri ancora risultano essere conservati frammentariamente, e con considerevoli lacune, all’interno di più fondi conservati in differenti sedi archivistiche.

La ricerca procede secondo una modalità cronologica: dai piani più remoti ai più recenti e dai primi documenti elaborati per ogni piano alle formulazioni finali approvate superiormente o successivamente variate.

ARCHIVIO RAPu

Tale percorso di selezione, individuazione e “mappatura” dei documenti avviene attraverso gli strumenti elaborati centralmente dal gruppo di coordinamento RAPu, che consentono quindi di uniformare le “osservazioni” compiute sui materiali rintracciati all’interno di un insieme ordinato di informazioni omogenee e propongono al ricercatore un insieme di quesiti storici rilevanti. Ogni quesito di “scheda” rappresenta, per il ricercatore, un quesito rilevante ed implica una accorta lettura della documentazione rintracciata che, peraltro, rimanda a successivi riscontri e verifiche a ritroso.

Esistono quindi ben pochi quesiti a cui corrispondano esplicite risposte desumibili direttamente dai documenti e la compilazione delle schede di orientamento operativo della ricerca, pone il ricercatore nella condizione di estendere considerevolmente il campo della propria indagine nel tentativo di procedere, con fondatezza, all’attribuzione di autori ed epoche ai testi storici rintracciati. Nel corso del “dialogo” con i documenti il ricercatore è quindi invitato ad evidenziare una serie di informazioni sottese ed a compiere un insieme di operazioni mirate alla ricostruzione dei palinsesti originali: quali documenti appartengono realmente ad un piano? quali sono conformi alla versione approvata? quali testi istituzionali di processo consentono di ricostruire la consistenza originale dei documenti degli autori coinvolti nella redazione ?

Raramente la risposta a tali quesiti è direttamente desumibile direttamente dagli elaborati rintracciati, ed è quindi il ricercatore sul campo che, studiato con accortezza il fondo documentario pertinente giunge, laddove è possibile, alla individuazione dei documenti ufficiali in cui sono contenuti spunti storici necessari per la soluzione dei quesiti posti attraverso le schede orientative citate.

I verbali dei Consigli di Giunta, le Deliberazioni del Consiglio Comunale, gli eventuali verbali di Commissioni di studio21 ed i testi ministeriali ufficiali costituiscono, a tale proposito, una fonte di grande importanza.

Il percorso di decostruzione citato non è privo di difficoltà poiché le informazioni richieste non sempre figurano direttamente all’interno di giacimenti documentari che, sotto il profilo archivistico, risultano pertinenti al progetto urbanistico studiato.

Quando l’individuazione dell’unità documentaria di piano può essere ritenuta avvenuta si procede, successivamente, allo studio analitico della documentazione cartacea, grafica ed in testo, pertinente all’unità distinta. Anche in questo caso vengono utilizzate, come orientamento degli esiti della ricerca, le schede di modello elaborate dal coordinamento RAPu per la catalogazione di documenti grafici e scritti.

Tali “schede di sintesi” guidano il ricercatore nella individuazione di dati storici omogenei che consentano di comprendere la reale consistenza e contenuti della documentazione che viene analizzata sia nel suo contenuto, sia nella sua consistenza materica e nel suo stato di conservazione.

Poiché il ricercatore, nel procedere del proprio percorso di individuazione e catalogazione del materiale urbanistico, si pone al cospetto della disomogenea documentazione rintracciata con l’intento di desumerne informazioni e contenuti, di ricostruirne gli ambiti lacunosi e di rendere pertinenti palinsesti documentari dispersi negli archivi e mai più ricomposti con intenti unitari, all’interno di ogni modello di supporto alla ricerca viene lasciato spazio ad eventuali note di chiarificazione che il ricercatore ritiene opportuno indicare al fine di rendere sempre percorribili nuovamente e verificabili le scelte compiute ed i riferimenti del percorso conoscitivo seguito22.

4. DISEGNO URBANISTICO E GENERI DI PIANO

Alessandra Marin ***

4.1 Leggere le immagini dei piani

L’operazione di ricerca e descrizione dei materiali di piano conservati negli archivi locali promossa da RAPu ha consentito di ricostruire la serie dei documenti dei quali i piani regolatori sono composti, permettendo di svincolare la restituzione degli stessi da “filtri” e logiche interpretative di natura diversa.

La possibilità di lavorare su documenti di prima mano ha portato a verificare l’effettiva consistenza dei materiali conservati negli archivi, nonché a tentare la ricomposizione in un quadro coerente di testi di diversa natura, spesso dispersi, a volte decontestualizzati.

L’importanza della possibilità di accedere all’insieme di dati che costituisce l’unità documentaria di ogni piano è testimoniata dal contrasto che, in alcune città oggetto di studio, è emerso tra le descrizioni e letture di piani riportate nella letteratura urbanistica e gli esiti della ricerca. Il lavoro, preliminare alla raccolta dei dati, svolto dai ricercatori RAPu sulle pubblicazioni relative alle storie locali della città e dell’urbanistica ha portato, almeno in qualche caso, ad osservare come parte di tali scritti abbia introdotto logiche interpretative personali nella lettura dei piani urbanistici. Questi – o meglio alcuni dei documenti dei quali essi si compongono – tendono talvolta ad essere astratti dal proprio contesto e utilizzati come prove della veridicità di affermazioni che, pur dotate di valore e fondamento interni, non sono esplicitamente contenute nei materiali di piano. I disegni, in particolare, sono spesso stati proposti come “illustrazioni”, immagini-manifesto poste a commento di elementi del progetto per la città che dal piano si differenziano o, ancora, di intenzioni e pratiche che si relazionano ad esso in modo indiretto e mediato23.

4.2 I piani come materiali privilegiati per la costruzione di una storia disciplinare

La conoscenza delle modalità di lettura dei piani già affinate in altri ambiti di ricerca rappresenta il primo passo nella costruzione di una diversa maniera di osservare questi documenti.

Nello studio di un possibile approccio alla grande quantità di materiali prodotti nella forma istituzionale del piano urbanistico, l’operazione più proficua è stata quella di individuare somiglianze e differenze, costituendo sistemi di relazioni più o meno deboli o definiti, insiemi di documenti ed intenzioni via via denominati in modo diverso: famiglie, generazioni, generi di piano, stili di pianificazione.

Questa modalità di lettura ha portato, sul finire degli anni ‘8024, alla definizione di una classificazione di tipo generazionale, studiata al fine di conoscere e ordinare le risposte date dai pianificatori ad istanze, fenomeni e problemi che nei 40 anni precedenti avevano percorso città e territorio. Essa prende spunto dallo studio del piano quale esito di un processo di costruzione, che modifica il suo risultato al variare delle condizioni contestuali e dei temi di riflessione con i quali la città, i piani e l’urbanistica in tale periodo si sono confrontati.

Altre modalità di lettura ed aggregazione in insiemi coerenti degli strumenti urbanistici, che si differenziano in base al testo privilegiato quale oggetto di studio, derivano dall’osservazione dei piani come collezione di testi.

ARCHIVIO RAPu

L’analisi della struttura narrativa dei testi urbanistici approntati in Italia dal 1945 ha reso possibile l’individuazione di alcuni stili di pianificazione «delle poche idee-guida, cioè che caratterizzano la produzione di ogni periodo, definendo pro tempore i problemi rilevanti, ordinandoli gerarchicamente ed indicando alcune modalità di loro trattamento»25. Quest’analisi testuale, che considera l’insieme dei documenti scritti legati alla produzione e gestione dei piani, mira ad individuare in tali testi i veicoli di diffusione delle teorie ed ipotesi operative alla base delle coeve politiche urbanistiche. Appare chiaro, inoltre, che il metodo che la caratterizza permette di estendere nel tempo l’analisi, all’intero arco di vita dell’urbanistica italiana.

Questa modalità d’approccio al piano come testo può essere sondata anche dal lato delle immagini, dei modi di rappresentare visivamente il piano utilizzati a partire dalla costituzione dello Stato unitario.

L’attività di raccolta e ordinamento delle informazioni sui materiali grafici promossa da RAPu si propone come uno dei supporti fondamentali per ipotesi di lavoro che, come questa, intendano mantenersi strettamente ancorate ai testi. La quantità delle immagini reperite, la varietà della loro natura, il loro proporsi – in periodi storici diversi – come elemento espressivo fondamentale del piano, può consentire una migliore comprensione delle idee per la città in esso contenute26, e sollecita la costruzione di percorsi di lettura diversi a partire dai dati documentali raccolti.

Un tentativo di avvicinamento al piano attraverso le sue immagini, che permette di superare l’invalsa superficialità nel considerarne disegni e tecniche di raffigurazione, è stato perseguito dalla metà degli anni ‘80 in primo luogo da Patrizia Gabellini, attraverso una serie di contributi27. Il programma di ricerca legato a quest’idea ha identificato, a partire dalla registrazione dell’importanza del modificarsi delle tecniche di visualizzazione urbanistiche nell’evoluzione della storia disciplinare, dapprima alcune blande relazioni, ambiti permeabili di “somiglianza familiare”. Quindi ha consentito di comporre in un quadro più definito il ripetersi di una serie di caratteri comuni e ricorrenti, che hanno indotto ad associare, a periodi storici diversi, differenti generi dei piani urbanistici.

Tale percorso ha portato alla stesura di un libro28, che formula un approccio di tipo iconologico ai documenti di piano, volto a sollecitare un’esplorazione delle radici disciplinari, mirata alla ricostruzione di un quadro di caratteri idealtipici e permanenti, e come tali riconoscibili espressioni della tradizione culturale del periodo storico al quale appartengono.

In questa sede ci si propone di porre a confronto il percorso critico compiuto da Il disegno urbanistico con quello documentario sviluppato dalla ricerca RAPu, costruito attraverso l’osservazione diretta dei materiali originali, tentando una verifica dell’efficienza del metodo proposto dal libro.

Il testo de Il disegno urbanistico mostra una struttura bipartita: il primo capitolo, Il disegno urbanistico come forma simbolica, chiarisce le categorie concettuali attraverso le quali l’autrice è giunta a dare ordine ad un complesso di immagini numeroso ed eterogeneo. La seconda parte è invece costituita da tre capitoli – accompagnati da tre serie di tavole fuori testo – finalizzati al tentativo di fondare una modalità di ordinamento dei materiali, ciascuno dedicato ad uno dei tre generi individuati: Il genere iconico, Il genere convenzionale, Un genere misto.

4.3 I disegni del piano come “forma simbolica”

L’attenzione al disegno urbanistico, all’immagine che il piano esplicita attraverso rappresentazioni di tipo diverso, nasce dall’ipotesi, avanzata dall’autrice, che sia possibile individuare la persistenza nel tempo di regole e convenzioni generalizzate all’interno dei testi visivi.

I diversi linguaggi utilizzati nella costruzione dei piani, le tipologie delle loro raffigurazioni e le tecniche utilizzate disvelano un progressivo modificarsi dei modi di guardare alla città e al territorio.

Queste immagini traducono le intenzioni del piano in forma visibile e possono essere sottoposte ad un processo di interpretazione, che consente di comprenderne l’impostazione generale ed i singoli propositi. Inoltre, lo studio delle tecniche di rappresentazione – dalle vedute prospettiche agli schemi concettuali, passando attraverso le proiezioni bidimensionali – e dei linguaggi – di tipo visivo, verbale e numerico – adottati dai piani consente di capire quale tipo di comunicazione essi intendano attivare con lettori e fruitori.

Lo studio della pianificazione veneziana ha portato a verificare come l’attenzione a diversi referenti condizioni le modalità espressive utilizzate, anche in periodi storici vicini. Ne è un esempio il contrapporsi del linguaggio pittorico ed evocativo di Ludovico Cadorin nel progetto urbano per Riva degli Schiavoni (1853) – mirato soprattutto a convincere l’amministrazione e la popolazione, da sempre scettiche nei confronti dei cambiamenti, della correttezza delle scelte compiute – a quello tecnico e misurabile di proposte e perizie elaborate dalla “Commissione per lo studio di un piano di riforma delle vie e canali di Venezia” (1867), che costituisce il primo atto pianificatorio del Comune dopo l’unificazione.

Il concetto di «forma simbolica», mutuato dalla critica dell’arte pittorica29, consente di osservare i processi di produzione e percezione dei disegni urbanistici, che assumono l’aspetto di complessi itinerari di “culturalizzazione” dello spazio fisico. Le immagini del piano, in questa prospettiva, divengono metafora di una società, descrizioni dello spazio profondamente segnate dall’epoca e dalla comunità culturale che le ha prodotte.

ARCHIVIO RAPu

Questa modalità di lettura comporta un attento lavoro di decodificazione, che vale a cogliere al suo interno un’ampia stratificazione di significati. In quest’ottica va letta l’invalsa pratica veneziana di pensare al piano quale sommatoria di singoli interventi a scala urbana o di atti pianificatori riguardanti parti discrete del territorio comunale. Nel secolo scorso essa era legata ad un’idea del piano come intervento eminentemente tecnico, finalizzato a colmare il divario fra la struttura urbana insulare e quella delle città capitali europee, secondo l’allora prevalente “cultura dell’omologazione”. In seguito questa tendenza alla frammentazione è stata esito sia dell’esigenza di non appiattire le peculiarità di un sistema insediativo complesso, sia dell’incapacità di formulare visioni globali del suo assetto policentrico. Non è un caso, infatti, che l’unico strumento urbanistico predisposto per l’intero comune – il Prg del 1959 – si basi su analisi condotte in tre ambiti, rappresentati come fisicamente separati: centro storico, terraferma, estuario.

4.4 La ricerca di una tradizione nella raffigurazione urbanistica

Il persistere nei documenti grafici di piano di alcuni caratteri e convenzioni generalizzate emerge, nell’approccio seguito da Il disegno urbanistico, da una lettura del piano urbanistico come esempio, che predilige l’osservazione della serialità e dei rapporti di comunanza tra piani. Questa lettura non nega la possibilità di un’altra, per casi, legata all’unicità del caso-studio o dell’autore, né l’interagire delle due modalità di osservazione.

La classificazione delle raffigurazioni del piano in quanto forma di comunicazione porta ad ordinare le immagini in base ad un progressivo allontanarsi delle sembianze dalle cose raffigurate, disponendo i modi di rappresentare le idee contenute nel piano lungo un ipotetico “asse dell’iconismo”, che trova i suoi limiti da un lato nello sguardo, nella contiguità con le forme descritte, dall’altro nel ragionamento e nella simbolizzazione. Tale operazione conduce l’autrice a riconoscere una prima grande partizione tra immagini iconiche e convenzionali, che si differenziano principalmente per il loro rapporto con lo spazio fisico: organico nel primo caso, astratto o negato nel secondo.

Nel caso studio veneziano si può osservare come l’asse dell’iconismo si sovrapponga sostanzialmente a quello temporale. Ad un lato troviamo infatti i piani di allineamento stradale – come quelli per l’apertura di una via di comunicazione tra la stazione ferroviaria e Rialto – che indagano minuziosamente la forma del tessuto urbano per derivarne, a volte, il loro tracciato. All’opposto, la pianificazione del dopoguerra stende in modo indifferente colori e retini su suoli, edifici, infrastrutture, giungendo a riassumere in schemi concettuali l’immagine della città (Preliminare al nuovo Prg per la terraferma, 1982).

Una seconda modalità di ordinamento proposta dalla Gabellini riguarda la funzione delle immagini all’interno dell’unità documentale e la loro relativa posizione. Questa porta ad individuare tre insiemi omogenei:

– un complesso di schizzi, diagrammi e fotografie strettamente legati alle relazioni;

– le tavole analitiche, finalizzate alla conoscenza del territorio attraverso una descrizione che tenta di definirsi come “oggettiva”;

– le tavole di progetto, previsive e prescrittive, che stabiliscono con le norme tecniche di attuazione un rapporto di necessità.

Il primo gruppo di materiali appare a Venezia negli anni ‘30, con i piani per la terraferma (Rosso, 1934-1937-1942) e il Piano di risanamento per il centro insulare (Miozzi, 1939). Il progressivo specializzarsi degli elaborati progettuali, e il conseguente aumento del loro numero, prende il via nello stesso periodo: lo studio per il Piano di ampliamento e risanamento di Mestre (1934) accosta alla planimetria generale i disegni delle sistemazioni nel centro storico, delle espropriazioni e demolizioni previste, di tipi stradali e dislocazione dei servizi. La successiva revisione del piano nel 1937 vede comparire rappresentazioni che d’ora in poi diverranno canoniche: la pianta della nuova viabilità e la zonizzazione. L’analisi dello stato di fatto deve invece attendere il Prg del 1959 per divenire parte autonoma e integrante dei materiali di piano, base fondativa dei suoi indirizzi.

Differenti considerazioni l’autrice trae infine dall’osservazione del piano come testo composito, dove più linguaggi, visivi, verbali e numerici, si incontrano.

Se il rapporto tra linguaggio numerico e visivo resta nel tempo di antagonismo – il primo necessitando di mediazione per essere compreso, mentre il secondo si affida alla percezione, caratterizzandosi per la sua immediatezza – le maggiori variazioni si manifestano nel ruolo di mediazione e di legante attribuito al linguaggio verbale.

È soprattutto la relazione verbo-visiva ad oscillare lungo una banda di variabilità che va dall’equivalenza all’integrazione. Parola e immagine vengono utilizzate talora in modo omogeneo, in altri casi sopperiscono ai rispettivi limiti; il linguaggio verbale può così divenire supporto didascalico subordinato al disegno, oppure esserne la protesi, il mezzo espressivo fondamentale.

4.5 Una lettura per generi

Le regole espressive che presiedono alla comunicazione del messaggio del disegno urbanistico hanno condotto Patrizia Gabellini al riconoscimento – nel complesso di materiali che costituiscono il continuum storico dell’insieme dei testi considerati – di una partizione in generi che non deriva concettualmente dal campo degli studi urbanistici, ma da quelli della critica letteraria e pittorica.

Il genere, in quanto osserva la presenza di grandi “dominanti” retoriche, permette di cogliere il ricorrere delle tecniche espressive nei piani, di osservare il loro modo di esplicitarsi, nonché di comprendere come questi elementi formali si connettano ai temi del piano.

L’articolazione in generi dei piani urbanistici necessita anche di una precisa definizione dei limiti, non solo di natura temporale, che individuano il campo d’azione della ricerca. I piani considerati sono: piani regolatori, di ampliamento, di risanamento, piani regolatori generali, preliminari e schemi strutturali. Si tratta cioè dei diversi tipi di strumenti urbanistici approntati nell’Italia post-unitaria a partire da due leggi che, nel 1865 e nel 1885, hanno introdotto l’idea di piano urbanistico moderno.

Gli strumenti per la trasformazione della città contemplati da queste leggi, come dalla successiva legge urbanistica del 1942, si differenziano da quelli utilizzati in precedenza in quanto non si qualificano più come fatti straordinari, ma come elementi di un’attività di regolazione e controllo d’ora in poi abituale e continua, che interessa ampie porzioni della città o sistemi infrastrutturali di grande rilevanza; ciò consente loro il controllo sulle modificazioni e l’organizzazione, prima dell’intero ambito urbano, poi del territorio comunale.

Si è detto come la divisione in generi della produzione urbanistica moderna focalizzi innanzitutto la forma dei testi visivi e le tecniche ricorrenti applicate. Inoltre, i generi possono essere considerati modi peculiari di trattare il testo disegnato e combinarlo con il testo scritto: l’attenzione al disegno rimane primaria, riconoscendo però l’incidenza su di esso degli altri linguaggi utilizzati.

Il genere contiene in sé quei caratteri tipici, di lunga durata, che tendono a divenire leggi, regole riconosciute, le cui principali finalità sono la costruzione del percorso di produzione del piano e l’individuazione delle sue modalità d’interpretazione, del rapporto di mediazione tra produttori e destinatari dello stesso.

Per impostare una periodizzazione della produzione urbanistica italiana post-unitaria quest’atteggiamento è il più utile, in quanto l’attenzione ai caratteri inerziali e comuni porta a riconoscere con maggiore chiarezza quelli innovativi, i testi inaugurali che delineano una cesura tra espressioni consolidate e nuove forme.

Tre termini identificano nel libro altrettanti generi di piano: viene definito iconico quel genere di piani che, affidandosi preferibilmente al linguaggio visivo, all’immagine, è in grado di evocare la forma della città ipotizzata; i piani di genere convenzionale tendono invece a svuotare l’immagine delle sue capacità raffigurative, facendone un astratto riferimento ad usi e procedure, una mappa delle norme. Da ultimo, con il termine di genere misto, si individua l’attuale tendenza a muoversi tra i due estremi dell’”asse dell’iconismo”, tentando di giungere alla definizione di una diversa specificità.

L’individuazione dei tre generi, strutturata dall’autrice sulla base dell’osservazione di numerosi materiali grafici dei piani di molte città italiane, tende necessariamente alla tipizzazione, trascurando una serie di caratteri peculiari riscontrabili nella ricerca sui piani di una singola città. Questo dato risulta amplificato nel confronto tra il metodo di lettura, ordinamento e giudizio approntato da Patrizia Gabellini e il complesso dei piani redatti per la città di Venezia, caratterizzati da un approccio pianificatorio “per parti”, sia alla scala urbana, sia a quella territoriale. Nel complesso si può comunque affermare che i caratteri comuni che contraddistinguono i generi iconico e convenzionale siano in buona parte presenti nell’esperienza veneziana – nell’arco temporale della ricerca, che va dal 1866 al 1975 – confermando la validità del metodo proposto.

L’approccio di genere iconico alla trasformazione della città esistente e alla pianificazione delle sue nuove parti caratterizza la produzione di piani dall’800 fino alla metà degli anni ‘30.

In questo periodo il rapporto tra i linguaggi utilizzati dal piano e i caratteri del suo disegno non è però rimasto immutato. La ricerca di chiarezza e realismo del piano ottocentesco – che mira a trasmettere un’immagine “certa” della città futura – lascia il posto ad alcune modificazioni nella declinazione del genere: il disegno perde la sua immediatezza, lo scritto si modifica ed assume nuovi significati.

Anche numero, forma e funzione degli elaborati grafici variano: la planimetria catastale o topografica della città sulla quale il colore distingue il progetto dall’esistente viene sostituita da un insieme di tavole, che rappresentano specifici dati del progetto generale: viabilità, densità, funzioni; inoltre, il ricorso a tecniche di rappresentazione e scale diverse da quelle della tavola generale di piano subisce una drastica riduzione. Fanno eccezione i disegni tridimensionali, che caratterizzano la produzione di piani soprattutto nella “stagione dei concorsi” degli anni ‘30. Questa non mancò di coinvolgere Venezia, dove nel 1934 venne bandito un concorso per il Piano regolatore di massima dell’abitato di Mestre. Qui alle figurazioni bidimensionali si affiancano in alcuni casi vedute prospettiche o a volo d’uccello, volte non tanto a preconizzare lo spazio urbano, quanto a proporre il comporsi dei tessuti edilizi, la loro articolazione al suolo.

ARCHIVIO RAPu

Un ruolo centrale nella definizione del genere convenzionale che caratterizza l’urbanistica del dopoguerra fino agli anni ‘70 viene riconosciuto dall’autrice alla “Simbologia urbanistica” proposta da Giovanni Astengo nel n.1 di Urbanistica del 1949, e ai successivi Criteri di indirizzo dei piani territoriali di coordinamento in Italia (1952-1953). Astengo – avendo osservato l’inadeguatezza delle tradizionali immagini a restituire le norme e i tempi di un piano sempre più complesso – pensa a questo strumento come ad un passo essenziale per comprendere e diffondere la cultura urbanistica, per opporsi all’improvvisazione e all’arbitrio.

Questo nuovo linguaggio trasforma le immagini del piano in una serie di testi, la cui lettura e comprensione non può essere soggetta a fraintendimenti. L’interpretazione di un disegno convenzionale è simile a quella di un testo verbale: i suoi segni non richiamano forme, ma idee; la sua immagine non può essere intesa nella propria globalità, ma elemento per elemento, con l’ausilio della legenda.

Anche il genere convenzionale presenta nel tempo alcune variazioni. I piani degli anni ‘50 mantengono alcuni aspetti figurativi nella costruzione delle tavole di progetto: la tecnica dello zoning, che compone le grandi aree funzionali della città sulla struttura portante del sistema infrastrutturale, segue precise regole dispositive, che creano sequenze di segni ordinate. Esemplari appaiono in questo caso gli schemi di piano regolatore premiati al Concorso nazionale di idee per l’impostazione del Prg del Comune di Venezia (1956). Ognuno di essi esprime attraverso il disegno una chiara immagine di città, un’impronta definita: lo sviluppo moderato e policentrico del gruppo Astengo, l’espansione lungo il margine lagunare del gruppo Amati (vincitore) e, all’opposto, il “grande ventaglio” residenziale a ovest di Mestre del gruppo Quaroni.

Il rapporto con i testi scritti in questi “piani disegnati” è spesso importante: la parola integra l’immagine, suggerendo la corretta interpretazione dei segni e sopperendo, con allusioni metaforiche, alla mancata visualizzazione di spazi e relazioni.

I piani degli anni ‘70, più attenti a regolare le fasi del processo di formazione della città che la sua forma, perdono ogni iconicità. Il disegno risulta altamente parcellizzato, comprensibile solamente attraverso la legenda: perduto ogni rapporto con lo spazio percepibile, la carta deve essere letta come indice delle norme giuridico-regolamentari.

Il genere misto, che raggruppa l’eterogeneo insieme di modalità espressive utilizzate nella produzione di piani dai primi anni ‘80, appare l’esito critico alla rigidità del codice convenzionale. Tale “reazione”, legata soprattutto alla domanda di qualità urbana e al rinnovato interesse per la morfologia dei luoghi, affida l’espressione del piano ad una vasta e variegata serie di disegni iconici. Questi possono avere, al variare delle situazioni indagate, funzione di esempio, di guida, di esplorazione, e si differenziano dai documenti già osservati per l’integrazione che propongono tra linguaggio scritto, visivo e numerico.

4.6 Attraverso le immagini: tre possibili percorsi di lettura

La descrizione dei tre generi di piano compiuta ne Il disegno urbanistico a partire dal disegno in quanto forma documentale apre più di uno spazio di riflessione.

Dall’attenzione al testo e alle sue tecniche espressive – modificate, abbandonate o riutilizzate in tempi diversi – l’autrice passa a quella per il disegno urbano, l’evolversi dell’immagine della città nei piani. Quest’osservazione individua le modalità di costruzione della forma planimetrica della città: quella della regolarità geometrica, presente soprattutto nei piani iconici, e quella del disegno topologico, che dialoga con le forme della città e del territorio.

Quindi illustra la progressiva trasformazione della struttura insediativa, del comporsi di città e territorio, dalla forma chiusa, dicotomica e riconoscibile del secolo scorso, a quella aperta, nata tra le due guerre, dove nuclei satelliti si accostano alla città esistente.

Infine registra la permanenza o la variazione delle regole insediative, che vanno a definire il rapporto tra spazi aperti e costruiti: nell’ottocento la regolarità della scacchiera e della tela di ragno, nel nostro secolo la libera disposizione al suolo degli edifici.

I materiali posti a confronto dall’autrice e quelli resi disponibili da RAPu narrano infine una terza storia: quella della costruzione di un linguaggio.

La ricerca di una modalità d’espressione propria della disciplina in formazione, che indicasse l’affrancamento dai legami con l’arte urbana, contribuendo a riconoscere un ruolo, un’identità ed un patrimonio di conoscenze specifici per l’urbanistica, ha segnato il progressivo modificarsi delle immagini di piano di genere iconico.

Questa ricerca di specificità si è affinata quindi nel linguaggio convenzionale, che ha risposto costruendo un codice alla necessità di un linguaggio comune per i pianificatori. L’uso di un idioma speciale e unificato garantisce la comprensione nella comunità scientifica e una precisa corrispondenza del disegno al suo valore normativo; una totale certezza e trasparenza, quindi, delle idee espresse nel piano.

Il ritorno all’iconismo che caratterizza, infine, il genere misto, sembra contraddire questo processo di costruzione. In realtà, l’amplificazione del vocabolario di simboli e regole di combinazione del linguaggio urbanistico deriva dalla crisi, sopravvenuta nel disegno convenzionale, del rapporto segno/significato. La ricerca di chiarezza permane, ma si sposta ora all’esterno del campo disciplinare, per divenire ricerca di comunicatività e trasparenza nei confronti dei destinatari del piano.

La complessificazione del linguaggio non comporta però la rinuncia alla costruzione di un nuovo repertorio, aperto e sperimentale, di segni e significati per la progettazione urbanistica; un sistema linguistico che, abbandonata la rigidità e la riduttività del codice, si compone di differenti idiomi individuali.

da: Storia Urbana, n.81, 1997

NOTE

1* Architetto, collabora in qualità di ricercatore coordinatore al progetto RAPu dell’Ente Triennale di Milano

 Giuliano Vigini, Glossario di biblioteconomia e scienza dell’informazione, Bibliografica, Milano 1985, voce «Archivio [archives]»;

2 La Rete Archivi dei Piani urbanistici è un progetto della Triennale di Milano, coordinato scientificamente da Paola Di Biagi, Giulio Ernesti. Patrizia Gabellini, Chiara Mazzoleni, Maria Cristina Treu, realizzato con Bertrando Bonfantini, Monica Bonollo, Fabrizio Bottini, Gabriele Forzato, Pietro Macchi Cassia, e la collaborazione di unità locali di ricerca. Per una descrizione dettagliata delle finalità generali di RAPu, si rinvia ai vari documenti pubblicati, ultimi in ordine di tempo: Paola Di Biagi, «L’archivio informatizzato dei piani urbanistici della Triennale di Milano», in Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Dipartimento di Urbanistica, Area di ricerca Piano-Ambiente, Ambiente e Pianificazione – Quaderno 2, materiali della ricerca, Atti del convegno «La ricerca per una pianificazione territoriale ambientalmente orientata», Venezia, Ca’ Tron, 25, 26 e 27 marzo 1996, coordinato da Edoardo Salzano, Atti a cura di Laura Fregolent, 1996 ; Triennale di Milano, La Rete Archivi dei Piani urbanistici, a cura di Fabrizio Bottini, Quaderni della Triennale, in corso di pubblicazione;

3 Un esempio di banca dati sui piani regolatori con chiari criteri di delimitazione, e da questo punto di vista esaustiva, è costituita da: Giuseppe De Luca, «Leggi e decreti di approvazione di provvedimenti urbanistici (1865 – 1914)», Storia Urbana n. 30, 1985. In ordine alfabetico e cronologico, incrociando tre fonti (Raccolta Ufficiale di Leggi e Decreti, Collezione Celerifera delle leggi, decreti, istituzioni e circolari, Annuario delle città italiane), De Luca proponeva un indice organizzato tematicamente dei provvedimenti urbanistici approvati nel periodo dalla legge sull’esproprio allo scoppio della prima guerra mondiale;

4 Anna Tonicello, «L’Archivio Progetti Angelo Masieri», in Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Centro di servizi interdipartimentali Archivio Progetti, Il progetto di architettura – Conservazione, catalogazione, informazione, Atti del seminario, Venezia 20 e 21 gennaio 1995, a cura di Anna Tonicello;

5 Anche limitatamente ai provvedimenti approvati, ad esempio, le «copie conformi» disponibili presso l’Archivio Centrale dello Stato non esauriscono la documentazione del progetto, senza contare che la maggior parte dei piani è stata elaborata per occasioni (concorsi, studi preliminari, proposte di singoli e associazioni) non contemplate dalle raccolte ufficiali;

6 Il lavoro di ricerca che si descrive nei suoi aspetti metodologici generali è quello sui giacimenti «locali», che non necessariamente contengono tutti i documenti. Un quadro certamente più esaustivo è quello che emerge dall’analisi comparata di ricerche svolte sia in sede locale che in altri luoghi (archivi pubblici centralizzati, raccolte private di rilevanza sovralocale, archivi di professionisti che hanno operato in diverse località, ecc.). La scelta di descrivere in queste note la metodologia di ricerca sui giacimenti locali, si deve sia alla sua maggiore «completezza» (inclusione degli aspetti di ricerca storica e di rilevamento documentario), che all’approccio a fondi scarsamente strutturati, che a differenza di quelli dotati di catalogo consentono una migliore verifica del metodo. Per una metodologia di catalogazione diversa (ma non in contrasto) con quella descritta, Cfr. Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria dei Sistemi Edilizi e Territoriali, Settore Ingegneria Urbanistica, Archivio Cesare Chiodi, a cura di Secondo Francesco Lucchini, Progetto Leonardo, Bologna 1994;

7 Riccardo Domenichini, «L’Archivio Progetti Angelo Masieri», in Il progetto di architettura …, cit.;

8 Questo tipo di classificazione, pur corrispondendo a un criterio «oggettivo», deve necessariamente comprendere gradi di legittimazione istituzionale lievemente differenti, che corrispondono sia alle forme assunte dall’organizzazione amministrativa dello Stato e degli Enti locali, sia all’evoluzione urbanistica sul versante normativo e istituzionale. In generale si è considerato: approvazione l’ «atto finale dell’iter degli strumenti urbanistici … fatta generalmente da un ente sopraordinato rispetto a quello che ha redatto il piano»; adozione qualunque «atto con il quale un ente territoriale … delibera di far proprio uno strumento urbanistico relativo al suo territorio», Cfr. Roberto Barocchi, Dizionario di urbanistica, Franco Angeli, Milano 1982;

9 Cfr. Camera dei Deputati, Segretariato Generale, Quaderni di studi e legislazione, Ricerca sull’urbanistica, Parte prima, Servizio Studi Legislazione e Inchieste Parlamentari, Roma 1965; per il confronto tra «culture» urbanistiche, forme del piano e legislazione un recentissimo contributo è: Mara Gargatagli, La formazione della legge urbanistica, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, a.a.1995-1996 Relatore Alberto Roccella, Correlatore Luisa Gerola

10 La ricerca con il metodo unificato di rilevamento e restituzione descritto, è stata condotta da: Bertrando Bonfantini (Bergamo, Brescia); Luisella Capurso e Annamaria Gagliardi (Bari, Foggia, Taranto); Fabio Ceci (Parma); Federica Legnani (Bologna); Barbara Marangoni e Elena Marchigiani (Ferrara, Ravenna, Rovigo); Alessandra Marin (Venezia); Paolo Merlini (Cremona); Nevi Mondini (Mantova); Manuela Pelloso e Sara Piunti (Padova, Treviso, Verona, Vicenza); Sandro Piacentini (Pescara); Chiara Rostagno (Como, Lecco). Daniela Freschi e Guendalina Triacchini hanno condotto con questa metodologia studi sui «casi» di Impera e Savona, nell’ambito di esercitazioni e tesi di laurea;

11 Laura Anselmi, «Archivi e biblioteche: catalogazione e archiviazione elettronica», in Triennale di Milano, La Rete Archivi dei Piani urbanistici … cit.

12 Una apposita sezione della banca dati, denominata «Archivio degli Archivi», fornisce informazioni sui materiali di piano regolatore articolate secondo la concentrazione e/o dispersione nel vari fondi, oltre a notizie pratiche sull’accessibilità pubblica e le modalità di consultazione;

13** Architetto, ha collaborato in qualità di ricercatore incaricato al progetto RAPu dell’Ente Triennale di Milano.

E’ questo il caso dell’Amministrazione Comunale di Como, presso cui ho compiuto un periodo di ricerca , all’interno del progetto RAPu della Triennale di Milano, e per la quale ho censito 4 sedi distinte , non inventariate , dell’archivio Municipale: l’Archivio centrale, un deposito decentrato, un archivio collaterale presso l’ufficio Centro Storico, ed un fondo depositato presso la Civica Pinacoteca.

14Le documentazioni relative ai Piani Regolatori sono generalmente censite all’interno degli archivi municipali nella “categoria X” detta di “Lavori pubblici, poste, telegrafi e telefoni”, e vengono inserite all’interno della “classe 9” dedicata ai testi documentari propri dell’ “Ufficio tecnico, Urbanistica, Piani regolatori”. Non è inusuale rintracciare alcuni documenti di piano , e persino il piano stesso, all’interno di classificazioni di derivazione che , come accade nella “classe 9-bis” del Comune di Lecco , intendono e classificano i Piani Regolatori elaborati come una particolare estensione degli atti pertinenti ai “Lavori Pubblici”, in corrispondenza a “particolari esigenze dell’Ufficio tecnico competente”.

15I fascicoli numerati e distinti per contenuto sono costituiti, ove sia avvenuta una accorta inventariazione dei fondi, da sottofascicoli contenenti documenti pertinenti ad anni come a figure distinte di uno stesso evento amministrativo. Risulta tuttavia fondamentale prestare attenzione ad ogni riferimento, anche minore, che consenta di rintracciare a posteriori i singoli documenti nella loro corretta collocazione e collazione. La semplice indicazione della cartella di accorpamento non è sufficiente ad orientare alcun reperimento, poiché ad un’unica cartella possono appartenere centinaia di documenti e più elaborazioni di Piano regolatore. Cito, a tale proposito, il semplice esempio lecchese della cartella n.278, (categoria 10, classe 9-bis, fascicolo n.6 ) avente come oggetto “Piano Regolatore e regolamenti edilizi” e recante come date estreme, per i documenti, quelle comprese tra il 1823 ed il 1924 ; ebbene, ad essa corrispondono ben 8 Sotto-fascicoli in cui sono conservate tre unità distinte di Piano Regolatore.

16 La classificazione degli atti degli enti locali risponde alle differenti interpretazioni date ai contenuti della circolare del Ministero dell’Interno del 1° marzo 1897, n. 17100 – 2, secondo la quale ogni atto deve essere assegnato ad una categoria e ad un numero di protocollo.

17Le deliberazioni degli organi municipali costituiscono, unitamente ai carteggi da essi intrapresi con le amministrazioni superiori, un insieme rilevante di testi attendibili per una chiara individuazione delle soglie istituzionali raggiunte dai documenti di piano indagati, degli autori coinvolti nella stesura del progetto, delle date e dei riferimenti degli atti amministrativi a cui è stata legato il definirsi dello strumento urbanistico indagato. Non solo, esse costituiscono l’unica traccia documentaria attendibile per l’individuazione e la ricostruzione delle numerose Commissioni di Studio affiancate agli Uffici di Piano nella stesura preliminare dei piani in progetto.

18Può essere interessante citare, a tale proposito, il caso del “perduto” rilievo della città di Lecco eseguito, nel 1830, da Giulio Cesare Perego e legittimato, nel 1872, in un primo Piano regolatore per la città. Ebbene essendo tale documento non rintracciabile all’interno delle sedi archivistiche esistenti nella città ho provveduto ad estendere l’ambito di ricerca all’Archivio di Stato di Como e poi, successivamente, alla Civica Raccolta di Stampe Bertarelli di Milano. La tavola, citata nei documenti ottocenteschi, risulta essere conservata presso tale sede archivistica milanese ed è così indicata: (Cart. g. 2-5), “Lecco”,. veduta prospettica e pianta topografica con notizie statistiche e storiche. A sinistra della veduta “P. Moja disegnatore e A. Lanzani Acq. Inc.”. Alla sinistra della pianta “Giulio Cesare Perego levò la pianta, diresse l’opera e pubblicò. Anno 1830”.

19Non è infrequente la possibilità di rintracciare documenti di piano accorpati a fascicoli del settore lavori pubblici o ad esperienze di pianificazione successive che ne hanno utilizzato in parte, o totalmente , i contenuti.

20 Una copia originale delle tavole della Zonizzazione appartenenti al Piano regolatore e di ampliamento della città di Como, approvato il 15 novembre 1937, è stata rintracciata, corretta e sovrascritta, come documentazione del progetto di variante adottato dal Consiglio Comunale il 30 settembre 1952.

21Le commissioni di studio precedono, con frequenza, l’elaborazione di un successivo strumento urbanistico. Le deliberazioni ed i verbali ad esse relative sono catalogate in unità distinte da quelle formalizzate di piano ma costituiscono anch’esse , seppur in termini collaterali , una documentazione rilevante per la documentazione del progetto di piano urbanistico.

22L’utilità di uno “spazio” dedicato alla annotazione di alcuni elementi di ricerca è indubbia, poiché è utile poter dar conto delle complesse vicende che legano un piano ad eventi collaterali ricostruibili attraverso il confronto con fonti storiche “complementari”. La rilevanza di tali indicazioni suppletive è inevitabilmente vincolata alla possibilità di ricostruirne percorsi, fonti e contenuti. Spetta dunque al ricercatore il compito di indicare con chiarezza gli elementi necessari ad una verifica degli elementi documentari non direttamente desunti dal documento a cui si riferisce la scheda catalografica in compilazione. Ad esempio, nel caso specifico del progetto CM8, presentato al Concorso per uno studio di massima del piano regolatore della città di Como bandito nel 1933, si è proceduto attribuendo una responsabilità principale ad un insieme di documenti in cui non viene specificato direttamente l’autore, e per l’indicazione dei quali (Piero Bottoni, Dodi Luigi, Giussani Gabriele, Mario Pucci, Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Cesare Cattaneo e Renato Uslenghi) sarà necessario indicare attraverso quale documentazione complementare si sia mosso il percorso di attribuzione, ossia indicando quale fonte i verbali della Commissione Giudicatrice, presieduta dal Prof. Ing. Cesare Chiodi, conservati presso l’Archivio Municipale di Como, sede centrale.

23*** Architetto, ha collaborato in qualità di ricercatore incaricato al progetto RAPu dell’Ente Triennale di Milano.

 Cfr. Bernardo Secchi, «Disegnare il piano», in Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, Milano 1989, pp. 265-283;

24 Cfr. Giuseppe Campos Venuti, La terza generazione dell’urbanistica, Franco Angeli, Milano 1987;

25 Bernardo Secchi, Il racconto urbanistico, Einaudi, Torino 1984, p. 11

26 Chi scrive si riferisce in particolare alla propria esperienza di ricerca, condotta sui piani urbanistici del Comune di Venezia

27 In particolare:- Patrizia Gabellini, «Il disegno del piano», Urbanistica, n.82, 1986, pp. 108-127; – Bernardo Secchi, «Disegnare il piano», cit.; – Patrizia Gabellini, Astengo e la codificazione del linguaggio visivo, in Francesco Indovina (a cura di), La ragione del piano. Giovanni Astengo e l’urbanistica italiana, Franco Angeli, Milano 1991, pp.199-215 – id., «Nuovi piani: questioni aperte», Urbanistica, n.95, 1989, pp.39-42

28 Patrizia Gabellini, Il disegno urbanistico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, pp. 207

29 Cfr. Erwin Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica” e altri scritti, trad. it. Feltrinelli, Milano 1985 (1961)

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