Quel che funziona benissimo nella piazza o in un altro spazio minore di una certa città, funzionerà anche in un’altra? In genere sì, ma c’è una variabile essenziale di cui tener conto. Si tratta delle dimensioni, cosa particolarmente importante nelle piccole città. Che per una serie di motivi trovano più difficile realizzare contesti vitali, di quanto non avvenga in un grande centro. Le città maggiori sono frequentate da molte più persone, e questa densità rappresenta certo un problema, ma anche una risorsa in termini di potenziali utenti degli spazi aperti nelle aree terziarie. Se da un posto passano tremila persone ogni ora, ci si possono anche permettere parecchi errori nella sua progettazione, perché sarà comunque parecchio utilizzato. Ma le piccole città non vedono tutta questa pressione. Certo, alcune sono fortunate e hanno un centro ben organizzato e definito, con edifici storici a caratterizzarlo. Ma in molti altri casi la struttura è venuta meno, i vecchi edifici sono stati demoliti e non li si è sostituiti, lasciando troppi spazi vuoti. Parcheggi e autosilo sono le funzioni prevalenti, e occupano fino alla metà della superficie del centro. Ciò in effetti vale anche per alcune grandi città, per esempio Houston. Che avrebbe anche un centro con alcuni caratteri ottimi, ma così pieno di parcheggi da non legarsi affatto in un sistema.
In molte città poi il centro si è in qualche modo diluito, con la realizzazione di «poli terziari» al di fuori di quello principale, e a distanze tali da non interagire l’uno con l’altro. Distanze che possono anche non apparire eccessive, ma si deve salire in auto, e coprire quella distanza di alcuni isolati, che significano uno o due chilometri a volte. È il tipo di disagio che riguarda parecchie città. A Kansas City ad esempio il Crown Center sta solo a undici isolati dal nucleo principale, ma i due poi non sono quasi correlati. Le città di 100.000 o anche 200.000 abitanti, non sono semplicemente una versione più piccola di quelle maggiori. Se parliamo in senso relativo, i loro centri terziari sono più ampi di quelli delle grandi città. Ci sono strade larghe, e molta meno densità pedonale, meno persone in giro. Un buon indicatore è calcolare gli utenti di un tratto di marciapiede. Se passano meno di mille persone in un’ora, verso mezzogiorno, si deve essere disposti a far ponti d’oro pur di migliorare le cose.
Alcune città hanno provato a rivitalizzare il proprio centro proibendo l’ingresso alle auto e trasformando le arterie principali in un passeggio. Alcuni di questi mall, funzionano piuttosto bene, altri no. Il problema è ancora di estensione, magari eccessiva rispetto alla quantità di gente e di attività. E sembra che esista una proporzione inversa, tra piccole città e spropositati passeggi. Quel che serve è comprimere, concentrare. In molti casi ci sono densità molto basse da cui partire, in altri gran parte degli edifici è a soli due o tre piani. Le attività sono spalmate su parecchi isolati, mentre la gente per formare una massa critica dovrebbe concentrarsi su una dimensione di due o tre soli. Sono spazi tristi da vedere. Si è provato tante volte riversandoci speranze e buone intenzioni, fontane, sculture, ma erano e restano vuoti. I centri minori sono anche molto più vulnerabili alla concorrenza degli shopping center suburbani, specie di quelli più grandi nei nodi autostradali. Fra questi complessi, quelli che funzionano meglio sono quelli con un’atmosfera più urbana, migliore di quella dei centri veri a cui fanno concorrenza. Vero è che sono circondati da enormi superfici a parcheggio, gran parte delle quali inutilizzate salvo nelle giornate di punta. Ma a differenza dei centri commerciali della scorsa generazione, quelli stradali lineari, oggi sono fortemente concentrati, non c’è certo bisogno di guidare qui e là, si entra nello spazio pedonale, che funziona come una gigantesca macchina di trasformazione in cliente.
Potrebbe essere un modello, per i centri città? Lo pensano in molti. Per far concorrenza ai centri commerciali coi loro stessi mezzi, si invitano costruttori specializzati in questo genere di trasformazioni. I quali sono ben felici di farlo, replicando il modello suburbano con poche varianti: scatolotti di cemento attrezzati di spazio per la sosta delle auto, privi di rapporti con gli edifici circostanti. Piccole riproduzioni di megastrutture, adatte a proporre vetrine commerciali, e nel suburbio anche luoghi di relazione sociale. Ma poco adatte ai centri città: sono l’antitesi di quel che ci vorrebbe.
Le città fanno molto meglio quando puntano sui propri caratteri specifici. A Salem, Oregon, ad esempio, si è ritenuto che forse l’ultima speranza fosse proprio un centro commerciale di tipo suburbano, con tanto di passerelle sopraelevate per farsi notare un po’ di più. Ma poi si è deciso di fare tutt’altro, ovvero riempire i vuoti con edifici proporzionati a quegli spazi, realizzare coperture trasparenti sopra i marciapiedi, convertire i controviali a passeggi commerciali, e collegare in rete tutti i punti di interesse con passaggi pedonali e luoghi di sosta. Insomma di lavorare sui caratteri urbani del proprio tessuto. Significativo, che le città dove meglio si riesce col centro siano quelle che conservano i caratteri originali o praticano il riuso. Già i vecchi edifici hanno un proprio valore in sé, ma c’è qualcosa di più: hanno un carattere ordinatore. Architetti e urbanisti prediligono la tabula rasa, ma invece riescono nei migliori risultati proprio quando non è così, quando devono operare con linee irregolari, e pezzettini di spazio qui e là, vecchi obbrobri, tessuti viari intricati e altri vincoli: i loro progetti diventano molto migliori, e molto accoglienti.
da: The social life of small urban spaces, Conservation Foundation, Washington 1980 – Titolo originale: Smaller cities and places – Traduzione di Fabrizio Bottini
Qui su la Città Conquistatrice, estratto dallo stesso libro, anche il capitolo Indesiderabili nella Metropoli