Polarizzazione politica e mitigazione degli effetti climatici

foto F. Bottini

Mentre tutta l’attenzione politica nazionale si concentra sulla campagna presidenziale, negli Stati del Sud continua ininterrotta la serie di devastanti calamità naturali. Gli abitanti di Houston, ch egià hanno subito i danni dell’Uragano Beryl, adesso si trovano di fronte a una grave ondata termica che rischia di allargarne gli effetti. Questo concatenamento finisce per indebolire gravemente le capacità di reazione e programmazione pubblica, come il prevedere interventi infrastrutturali di sicurezza, oltre a minare le basi della democrazia americana tra cui l’intangibilità del diritto proprietario. Chiediamocelo: perché mai affrontare il cambiamento climatico resta ancora una questione così divisiva e di parte? Per dirla in parole povere, negli USA manca una base di politiche di sostenibilità su cui costruire la resilienza di città e territori indispensabile alla nazione. Cosa ancor più preoccupante, il cambiamento climatico diventa questione polarizzante quando invece dovrebbe essere unificante.

Democratici e Repubblicani devono considerare assai seriamente la minaccia e ricostruire una piattaforma di azione climatica bi-partisan per la riduzione del danno. A partire dal fatto che le acque caldissime dell’Atlantico hanno fatto raggiungere all’uragano Beryl la Categoria 5 con una velocità senza precedenti. Quando ha colpito il Texas lunedì 8 era fortunatamente sceso a categoria 1 riuscendo comunque a causare enormi distruzioni. Prima a Corpus Christi e poi a Houston, l’uragano ha causato 13 morti, e tolto l’elettricità a 2,2 milioni di abitanti. E una settimana dopo il 15 luglio restavano ancora al buio oltre 300.000 residenti di Houston. Ma il peggio deve ancora probabilmente arrivare con l’ondata di calore che provocherà altri morti. A Houston ci sono già state temperature superiori ai 32° nella settimana successiva a Beryl, con un tasso di umidità molto gravoso che portava il caldo percepito sino a più di 40°. E a differenza del resto degli USA questo caldo infernale Houston lo deve affrontare senza l’ausilio dell’aria condizionata che va a corrente.

Eventi estremi sovrapposti l’uno all’altro si fanno sempre più frequenti nel paese, cambiando l’idea del cambiamento climatico da qualcosa «che succede da un’altra parte» in un problema economico e infrastrutturale assai concreto e vicino. Per fare un altro esempio, il 22 giugno nel New Mexico ci sono stati incendi, alluvioni, una tempesta d sabbia, nella medesima settimana. Ciascuno a intensificare gli effetti degli altri, e stressare il sistema di emergenza e risposta. Facendo impennare i costi. A partire dal 1980, cresce la media di quanto ci costano gli eventi catastrofici fino al 2023, quando il conto totale è stato di 92,9 miliardi di dollari sparsi su 28 diversi eventi da oltre un miliardo ciascuno.

Eventi estremi distruttivi. Devastano ricchezza investimenti risparmi pubblici e privati, comportano gravi rischi finanziari, sabotano gli investimenti, fanno impennare i costi assicurativi, soprattutto incidono gravemente sul diritto proprietario e l’indipendenza economica individuale. Effetti che dovrebbero spingere elettori ed eletti di ogni colore politico ad agire coerentemente. Per un convinto o tendente Repubblicano magari storicamente scettico verso le politiche sul clima, la sfida al diritto di proprietà individuale dovrebbe apparire davvero tale da indignare. Ma non pare che tutti questi enormi costi pubblici e perdita di ricchezza riescano ancora a provocare convergenza verso qualche genere di riforma comune. Nell’anno delle elezioni si minaccia addirittura di cancellare alcuni avanzamenti nelle politiche di contrasto al cambiamento climatico. Recentemente il vice scelto da Trump, J.D. Vance, si è espresso in termini assai critici contro le energie rinnovabili, liquidando tutte le pur gravi minacce del clima. Beryl, così come Sandy, Harvey, e tutti gli uragani ancora a venire nel 2024, paiono non riuscire a modificare la divisione politica.

Una situazione paradossale confermata anche dai sondaggi di pubblica opinione. Soltanto il 54% degli americani considera il cambiamento climatico una grave minaccia. Eppure, 7 persone su 10 hanno sperimentato direttamente qualche evento estremo negli ultimi tre anni. In alcuni degli Stati più esposti – Texas, Florida, South Carolina, Louisiana – tutti politicamente conservatori, il sostegno a politiche climatiche non va oltre il 23%. E cosa ancor più sorprendente sono proprio le priorità di gran parte di questi elettori – un’economia più forte e riduzione del debito – ad essere colpite dai disastri climatici. Dati che evidenziano quanto quella che dovrebbe essere una politica unificante, sugli eventi estremi, diventi invece un marchio di parte. Pochissimo dibattito argomentato, scarse le opinioni moderate. Come il termine woke [sensibile alle questioni del clima n..d.t.] che alla fine caratterizza posizioni ideologiche. Né basta sapere che le stime calcolano solo il 2% della spesa filantropica indirizzata tra il 2011-2015 a promuovere azioni climatiche sugli elettori di destra. Polarizzazione incontenibile mentre tutti gli americani indipendentemente dalle loro posizioni sul cambiamento climatico, sono sempre più a rischio.

Riforme mirate alla gestione dei danni da eventi estremi potrebbero e dovrebbero essere una cosa bi-partisan, e magari un primo passo pur faticoso per una inversione di tendenza. Ci sono pienamente già visibili i frutti maturi di questa possibilità. Due: semplificare la dichiarazione di stato di emergenza, che oggi rende gli eventi estremi «minori» come le ondate di calore difficilissimi da coprire finanziariamente; far ritornare l’ente di emergenza federale FEMA allo status originario che aveva assunto dopo l’uragano Katrina, indipendente dal Department of Homeland Security dentro cui si colloca oggi. Questo secondo passo potrebbe reindirizzare l’agenzia sull’intervento agli eventi estremi e affrontare su altri fronti le questioni di lungo termine.

Ciò di cui appare più bisogno però è ampliare la mitigazione dei rischi. Gli eventi comportano costi, gran parte delle spese gravano sul governo federale e le tasse dei contribuenti. Il che contraddice poi certe politiche in cui Stati e amministrazioni locali sono incentivati verso azioni poco attente, come edificare in aree sensibili, mettendo a rischio gli abitanti. Occorre invece coinvolgere direttamente gli Stati nell’adozione di misure di riduzione dei rischi. Risparmiando così vite e risorse. La minaccia dell’inazione incombe.

da: Brookings Institution, 17 luglio 2024; Titolo originale: Why isn’t Hurricane Beryl inspiring bi-partisan action to reduce disaster risks? Traduzione di Fabrizio Bottini

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