Baltimora – The Johns Hopkins Hospital Health Center
Sin dal primo insediamento nel XIX il Johns Hopkins Hospital e la sua Scuola di Medicina si trovano nella zona Est di Baltimora, a svolgere un importante ruolo sia spaziale che socioeconomico-occupazionale. Con le trasformazioni demografiche e il degrado urbano degli anni ’50 e ’60, l’ospedale adotta una politica più attiva di acquisizioni immobiliari – prevalentemente residenziali – pensando ad una propria futura espansione; si sottraggono così abitazioni disponibili ma senza poi ricostruire alcun che. Nel corso delle rivolte razziali del 1968, Johns Hopkins è obiettivo di ostilità da parte della comunità nera. Emergono due questioni principali: la necessità di un ambulatorio espressamente locale a erogare servizi sanitari, e una forte resistenza alle ulteriori interferenze delle funzioni ospedaliere nello spazio abitativo. Johns Hopkins reagisce prontamente a queste domande, così come poste dalla Middle East Community Organization. Per quanto riguarda l’assistenza medico sanitaria collabora con gli abitanti nell’istituzione della Health Maintenance Organization (HMO), poi riassorbita quando minaccia il fallimento finanziario. Riguardo alle acquisizioni immobiliari, l’ospedale si impegna a non uscire da prefissati confini per il proprio sviluppo.
Da questi accordi del 1968, Hopkins e quartiere condividono una forte identificazione. Negli ultimi cinque anni l’ente medico ha collaborato attivamente con una serie di gruppi e associazioni locali, singoli, privati, imprese, su progetti di rivitalizzazione dell’area. Grande l’importanza conferita al risanamento delle abitazioni. L’ospedale ha investito 3-4 milioni di dollari in due grandi complessi (Jefferson Court e McElderry Court) su immobili di proprietà. Ridotti al minimo sfratti e sgomberi e qualunque decisione presa in accordo con gli abitanti. Restano i problemi di riqualificazione dell’area più degradata a causa delle difficoltà economiche derivanti dall’attuale congiuntura.
Boston – Harvard University, Harvard Medical School, Brigham and Women’s Hospital
I rapporti della Harvard con il quartiere che ospita la sua Scuola di Medicina iniziano tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60 sulla questione di un grande progetto urbanistico per allargare il campus universitario. La resistenza del quartiere — coordinata e sostenuta anche dagli studenti della Harvard — si oppone alle acquisizioni immobiliari nella zona residenziale di Mission Hill. Le organizzazioni di zona si focalizzano su due questioni di base: il sovrapporsi della funzione medico sanitaria alle abitazioni esistenti (gruppo Roxbury Tenants of Harvard) e la responsabilità dell’ospedale universitario nell’erogare servizi sanitari al quartiere (Mission Hill Health Movement).
Dapprima riluttante l’ente accetta di contenere l’espansione e di realizzare nuove case impegnandosi insieme ai Roxbury Tenants, con un accordo sottoscritto dall’Università che copre tutti i costi e garantisce i sussidi. Complessivamente si recuperano 775 alloggi poi gestiti con una serie di diversi criteri concordati con le associazioni. Oltre a questi aspetti edilizi si sviluppano anche altre attività partecipate di zona e orientate ai servizi sanitari. Come l’organizzazione da parte del Brigham and Women’s Hospital di ambulatori più accessibili e l’istituzione di altri due poli medici di quartiere. Più di recente, Brigham and Women ha lanciato un programma di formazione per professioni sanitarie amministrative molto interessante dal punto di vista occupazionale.
New York – Montefiore Medical Center
La radicale trasformazione dopo l’ultima guerra del Montefiore, da cronicario a centro universitario, coincide paradossalmente con l’estremo degrado del quartiere che lo ospita, e che minaccia di entrare anche dentro l’Ente stesso. Decidendo comunque di rimanere nella stessa zona, l’ospedale redige un progetto di riqualificazione ed espansione. Prevedendo la necessità di buoni rapporti con la popolazione locale, Montefiore decide in modo innovativo (almeno dal punto di vista di un ospedale universitario AHC) di organizzarsi in Community Advisory Board con rappresentanti dentro il proprio Consiglio. Ma nel corso dell’approvazione del primo importante progetto, la costruzione di un garage parcheggio multipiano, si innescano gravi conflitti che pur poi risolti con compromessi convincono della particolare urgenza di affrontare l’ostilità della popolazione.
Da qui l’inizio di un programma di interventi e assistenza concentrati in particolare su due punti della sicurezza abitativa e dell’intervento economico. A questo scopo Montefiore crea due organizzazioni no-profit: Mosholu Preservation Corporation (1981) e Bronx Community Enterprises (1983). Ciascuna riceve cospicui finanziamenti dal Consiglio dell’ospedale per assicurare un coinvolgimento dei quartieri. La strategia urbana comprende acquisizione e riqualificazione di immobili degradati e sostegno tecnico/finanziario a proprietari e inquilini interessati a intervenire in proprio sugli edifici; un piano per l’occupazione giovanile e uno assicurativo per gli esercenti locali collegato a quello dell’ospedale. Bronx Community Enterprises agisce soprattutto allargando la rete commerciale e imprenditoriale attraverso le considerevoli forniture al Montefiore. In seguito si sposta verso la creazione di nuove attività. Questo metodo di coinvolgimento di Montefiore è unico per impegno del Consiglio, consistenza economica ed effetti sul territorio.
St. Louis – Washington University Medical Center
Sin dai primi anni ’70, St. Louis sperimenta una notevole rinascita economica grazie anche al contributo diretto e indiretto dei suoi due centri medici. In particolare la Washington University, iè uno dei primissimi enti universitari ospedalieri ad assumere massiccia iniziativa contro il degrado del quartiere in cui si trova. Resistendo alle pressioni perché invece si trasferisca, sceglie di restare in quella inner-city sempre più in declino, con l’esplicita consapevolezza che le proprie attività saranno legate nella loro qualità ed efficacia proprio a quell’impegno nella riqualificazione del quartiere. Si crea la Washington University Medical Center Redevelopment Corporation, sussidiaria no-profit, riuscendo ad attirare investimenti pubblici e privati per oltre 400 milioni di dollari nell’area, con la creazione di 3.500 nuovi posti di lavoro. Oltre ai programmi economici si sviluppano quattro grossi progetti residenziali con la realizzazione di 375 alloggi. Il trasferimento di 500 nuclei familiari a causa dei lavori di ristrutturazione è sostenuto anche da un nuovo complesso residenziale per anziani. Medical Center finanzia con oltre 3 milioni di dollari la Redevelopment Corporation, il cui ruolo è di supervisione, stimolo e coordinamento per le riqualificazioni dell’intera zona, anche se non interviene direttamente. Tutto si distingue per la particolarità di aver evitato gravi conflitti con gli abitanti, e nel 1986 il piano ha avuto un rinnovo decennale.
St. Louis – University Medical Center
Allo stesso modo impegnata nella inner city, la St. Louis University dal 1976 ha mobilitato il settore medico sanitario istituendo la Midtown Medical Center Redevelopment Corporation allo scopo di acquisire immobili da destinare all’espansione, e sostenere la riqualificazione dei quartieri verso una comunità più integrata, sia economicamente che dal punto di vista razziale. L’attività si è concentrata sul recupero di abitazioni, gli interventi di miglioramento e per una maggiore sicurezza. Una forte ostilità si è manifestata da parte degli abitanti per la minaccia di espulsione di residenti attraverso gli espropri e altre azioni, interpretate come un tentativo di cacciare le famiglie dal quartiere. L’ente ha promosso l’occupazione giovanile attraverso la formazione, e una associazione di abitanti per lo sviluppo. Attraverso finanziamenti di complessivi 10 milioni di dollari (3 milioni dal solo St. Louis Medical Center e affiliati), l’ente per lo sviluppo locale ha recuperato o costruito oltre 300 alloggi. Altri investimenti privati si sono orientati verso l’espansione dell’ospedale e altri progetti, ma con parecchio conflitto tra il consiglio e la comunità che ne hanno impedito la realizzazione: resta incerto il ruolo futuro della St. Louis University nella zona.
Pittsburgh – University of Pittsburgh School of Medicine University Health Center
L’interazione con gli abitanti del quartiere e la collaborazione allo sviluppo della University of Pittsburgh School of Medicine e ospedali affiliati, sono una azione collaterale alla rapida crescita dell’università dopo la conversione in ente statale del 1966. Programmi di espansione in una zona fittamente popolata hanno provocato decisa resistenza da parte di due gruppi di base (People’s Oakland e Community Human Services), che sono riusciti a bloccare i progetti ricorrendo all’amministrazione locale cittadina. Ne è nato un processo partecipato collaborativodi trasformazione urbanistica e un programma multisettoriale di lungo periodo con la partecipazione di università e ospedale. Nel 1980, si è istituito l’ente senza scopo di lucro Oakland Planning and Development Corporation per promuovere la rivitalizzazione di quartiere. Si concentra sul recupero di alloggi principalmente per gli anziani, i disabili, gli psicologicamente fragili. Al momento attuale si sta preparando una seconda fase di realizzazione di alloggi e forse spazi commerciali. Si è predisposto un fondo alimentato da università e Health Center, con organizzazione comprensiva che comprende sia gli ospedali della Scuola di medicina che altri ambulatori. La scuola medica in sé non ha un ruolo di primissimo piano in queste attività, e la guida è assunta dall’università, mentre gli ospedali operano direttamente, sia per proprio conto che attraverso lo University Health Center.
Los Angeles – University of Southern California School of Medicine
In questo caso la scuola di medicina non ha molta interazione politica né particolari conflitti coi quartieri. Si trova a East Los Angeles e da un secolo opera con la struttura sanitaria e didattica del Los Angeles County Hospital, rinomata struttura da 1.500 posti letto a servizio di una larga popolazione indigente. L’espansione negli anni ’60 della School of Medicine da un solo edificio a undici avviene senza apparenti traumi spaziali, conflitti funzionali, ruolo rispetto alla popolazione povera di Los Angeles. Ma le cose potrebbero cambiare col nuovo ospedale della University of Southern California associata alla National Medical Enterprises (NME). Il progetto ha suscitato perplessità dato che si perderebbero posti di lavoro al County Hospital. L’interesse specifico dell’università è quello di migliorare la qualità dei quartieri e da questo nascono i programmi innovativi di reclutamento di studenti delle minoranze da professionalizzare. Molto apprezzati dagli abitanti che spesso trovano così sbocchi lavorativi.
Charles R. Drew Postgraduate Medical Sctiool/Martin Luther King Jr.-Drew Medical Center
La Drew Medical School spicca tra i casi presi in esame per l’età (è molto giovane) e,cosa più importante, per la propria storia. Sia la scuola medica che il Martin Luther King, Jr. General Hospital derivano dalle rivolte di Watts del 1965 e sono concepite come nodo di riqualificazione e trasformazione della Los Angeles sud occidentale. La scuola di medicina ha il compito specifico di formazione, servizi clinici e ricerche orientate ai bisogni sanitari delle minoranze altrimenti senza risposta. Rivolgersi anche alle necessità economiche della comunità viene così considerato parte delle proprie responsabilità, nel senso di migliorare la salute locale. Un primo e fallimentare tentativo è l’organizzazione di una cooperativa alimentare da parte del Department of Community Medicine. Nel 1982 con una iniziativa del rettorato nasce la Drew Economic Development Corporation come ente no-profit. Si finanzia con sussidi sia della scuola di medicina che governativi e di fondazioni private. L’ente diventa braccio operativo degli obiettivi economici della Drew, tra cui il commercio della zona o la trasformazione della libreria del campus in una impresa sul mercato locale. L’obiettivo più ambizioso, a cui si sta ancora oggi lavorando, riguarda l’abitazione connessa allo sviluppo economico, in un progetto per fasce sociali miste sostenuto anche dalla Contea di Los Angeles, che ha fornito risorse per espropri e bonifiche.
Indiana University School of Medicine e Methodist Hospital
Sia la Indiana University che il più grande polo ospedaliero di Indianapolis, il Methodist Hospital, lavorano contro il degrado urbano dagli anni ’70. La Indiana University, il cui campus di Indianapolis è comune a quello della Purdue (lU-PUI), collabora attivamente con l’ente di zona Business Opportunities Systems, Inc., nello sviluppo ed espansione delle piccole attività, nella riqualificazione di immobili semicentrali, nella realizzazione di un progetto residenziale per anziani. Il Methodist Hospital, grosso complesso legato alla scuola di medicina, sin dal 1968 ha attivato una propria community development corporation a sostegno della realizzazione di alloggi e progetti produttivi-commerciali. Anche se le fasi attuative di quei progetti non si sono concretizzate se non nel 1977, l’ospedale ha comunque preso l’iniziativa, insieme a due gruppi locali, della New North Development Corporation, con un contributo di 250.000 dollari. I progetti della New North comprendono formazione giovanile e impiego, abitazioni per anziani, manutenzione di alloggi, e anche attività produttive. La corporation, da parte sua, ha contribuito all’espansione dell’ospedale con acquisizione di superfici e trasferimento di abitanti. Oggi tutte le varie organizzazioni — Methodist Hospital, IU-PIU, le due development corporation e la scuola di medicina — collaborano verso l’ambizioso obiettivo di un parco industriale med-tech in un sito abbandonato e degradato di fronte al Methodist Hospital. Non è certo che si riescano però a gestire tutti gli aspetti finanziari e istituzionali, né se esista effettivamente una domanda di mercato per un altro centro biotech.
Irvine – University of California-Irvine, California College of Medicine
La University of California-Irvine (UCI), è un ente relativamente nuovo, cresciuto negli ultimi vent’anni insieme alla comunità di Irvine, di cui costituisce parte essenziale. L’ospedale didattico principale della scuola di medicina (County Hospital) sta a trenta chilometri di distanza a Orange, comunità assai meno agiata e con una vasta popolazione di ispanici indigenti. Ma le attività economiche di UCI non riguardano quel contesto; si orientano invece a collaborare con la Irvine Company, costruttore privato, per realizzare un complesso dedicato alle biotecnologie e dotato di ospedale nella città di Irvine. L’insistenza della comunità di Orange per avere un ospedale locale, i problemi fiscali del Medical Center a Orange, la politica statale e locale, il desiderio di molti universitari di un nuovo polo, si sono fusi verso una struttura didattica off-campus, con un accordo proprietario (posseduta e gestita da American Medical International). Non ha compiti di ricerca e l’università controlla poco. Il drenaggio di risorse, l’abbandono di quello che all’inizio era un forte impegno sociale rivolto agli indigenti, hanno sollevato parecchie resistenze. UCI promette di continuare a gestire il County Hospital a livello di eccellenza. Ma resta da vedere se le poche risorse investite non saranno gradualmente ritirate del tutto.
Perché la Academic Health Centers Association si impegna nello sviluppo di quartiere?
Molti dei casi esaminati affondano le proprie radici negli anni ’60, all’apice del movimento per i diritti civili, e anche esponenti bianchi sostenevano in pieno la necessità di eliminare tante cause delle rivolte razziali nelle inner-cities, sull’orlo di una vera e propria esplosione. Il deterioramento di tanti quartieri centrali era in una fase così avanzata che erano in parecchi nei consigli degli enti associati AHC, a considerare seriamente l’ipotesi di abbandonare le proprie sedi e trasferirsi nel suburbio. Cosa che in realtà avvenne in alcuni casi, ma in maggioranza le sedi di medicina universitaria continuarono a operare nelle collocazioni storiche, vicino ai poveri urbani. In molte situazioni si decise di allargarsi per meglio rispondere alle maggiori responsabilità nel campo della formazione, della ricerca, dell’assistenza. E ciò comportava conflitti con gli abitanti le immediate vicinanze, che avrebbero preferito altri usi di quello spazio così scarso, principalmente la bonifica o realizzazione di case.
In massima parte i casi che abbiamo esaminato propongono un lavoro comune tra un ente AHC e uno o più gruppi di cittadini, alla ricerca di un modus vivendi tale da consentire, in tutto o in parte, l’espansione degli spazi e delle attività ospedaliere, contribuendo al tempo stesso alla sistemazione dei quartieri, specie attraverso la riqualificazione o nuova realizzazione di alloggi. Oltre a garantire la disponibilità di fondi federali per il rinovo urbano, questi progetti hanno ricevuto il sostegno statale e a volte locale, in forma di prestiti incentivi fiscali premi in cubature e uso del diritto di esproprio. Gli ospedali affiliati AHC erano enti il cui interesse e scopi si concentravano sulla missione formativa superiore e ricerca medica. I finanziamenti avevano obiettivi molto definiti e i consigli di amministrazione preoccupati di individuare soluzioni a cambiamenti di contesto che interferivano con i loro obiettivi principali. Quasi senza eccezioni tutti hanno fatto le proprie mosse con molta cautela prima di impegnarsi decisamente nei progetti di riqualificazione dei quartieri.
Dal punto di vista delle proprie competenze, interventi sui quartieri dall’economia traballante, attraverso procedure intricate e complicazioni politiche, non erano certo buoni investimenti per l’immagine degli enti e i loro cespiti. Ma quei grandi ospedali didattici erano di fatto la spina dorsale di tante inner-city e hanno dovuto in qualche modo continuare sia ad attrarre pazienti privati e solventi, sia professionisti, in luoghi che avrebbero potuto far scappare molte persone. Una delle precondizioni del proseguimento della propria attività diventava così arrestare l’ulteriore declino delle zone in cui si trovavano. AHC aveva poi un altro obiettivo. Di fronte all’urgente necessità di espandere gli ospedali, si scopriva che qualunque progetto sarebbe rimasto bloccato per mesi, forse per anni, finché non si fosse neutralizzata l’opposizione degli abitanti, o meglio ancora se ne fosse trovato il consenso. Gran parte delle difficoltà nei rapporti coi quartieri vertono sulla minaccia di allargare gli spazi delle strutture mediche a spese della quantità di abitazioni.
Ma ci sono molte altre questioni che coinvolgono insieme ospedali e gruppi locali. Entrambi temono il degrado del quartiere, pur divergendo sulle cause e spesso anche sugli strumenti per combatterlo. Volere tutti arrestare il declino e creare condizioni di migliore stabilità non significa avere le medesime idee su come invertire la tendenza al degrado. Nonostante il freno delle proprie abitudini e organizzazione a intervenire direttamente nelle questioni della inner city e del suo sviluppo, altre spinte a fine anni ’60 inducono un ripensamento e un riposizionamento. Tra le novità più importanti: la convinzione che rispondere positivamente al movimento per i diritti civili sia un imperativo morale; l’interesse oggettivo a rendere più stabile il contesto in cui si opera, assicurare accesso ai pazienti e ai lavoratori dell’ospedale; la disponibilità di risorse pubbliche per la riqualificazione, e la consapevolezza che non avere il sostegno della comunità degli abitanti possa ostacolare l’ampliamento delle strutture già deciso dai consigli di amministrazione.
Come si inizia a collaborare per le trasformazioni di quartiere?
Nonostante la grande varietà dei quartieri e metodi utilizzati per le trasformazioni, pare possibile individuare un filo comune nelle organizzazioni degli abitanti. Gruppi — e per estensione anche il tipo di collaborazione con gli enti — che tendono ad evolversi secondo tre passaggi. All’inizio un periodo di organizzazione, rivendicazione, confronto; poi sempre più collaborazione tra abitanti, associazioni, amministrazioni locali. In genere si coopera sulla questione degli alloggi e cresce la consapevolezza nei gruppi sui problemi urbanistici immobiliari e edilizi. Spesso si articolano complesse operazioni finanziarie pubblico-private che escono dall’ambito ristretto dell’abitazione e verso il terzo stadio: la joint-venture per trasformazioni industriali e commerciali. Non tutti i gruppi di quartiere arrivano a questa terza fase, anche se sono ormai decine nel paese le associazioni che hanno sperimentato questa forma di intervento economico. E con la diminuzione delle risorse per la costruzione di alloggi, crescono anche le iniziative di intervento commerciali e industriali.
Quasi tutte le collaborazioni di zona esaminate, per lo meno in senso lato, seguono questa sequenza. Nel caso delle collaborazioni tra Brigham and Women’s Hospital e Roxbury Tenants of Harvard, o tra Johns Hopkins Hospital e Middle East Community Organization, si attraversano soltanto le prime due fasi, ma secondo criteri classici ed esemplari: un periodo di militanza e sfiducia a cui ne segue un altro di collaborazione e realizzazioni. Nell’esperienza della St. Louis University e della Midtown Medical Center Redevelopment Corporation, prima e seconda fase tendono a fondersi: l’organizzazione e la militanza emergono dopo l’inizio delle riqualificazioni. Ma in tutti e tre i casi non pare esserci nessuna tendenza o spinta a passare all’ultimo stadio: le collaborazioni restano qui sospese.
I casi Pittsburgh e Drew, invece, mostrano chiari segnali di spostamento verso la terza fase dell’impegno per lo sviluppo economico, come pure Montefiore a New York, e secondo criteri diversi la Washington University a St. Louis. L’assistenza alle imprese e le acquisizioni del Montefiore necessitano di rapporti molto sofisticati con il settore pubblico e privato, frutto di un approccio strutturato all’idea di sviluppo in un quartiere difficile. Il progetto della Washington University, di stimolo e coordinamento, ha ampi effetti nella creazione di posti di lavoro e negli investimenti sia privati che no-profit. A Watts (Drew) e Pittsburgh, le cose non riescono a crescere molto, anche se gli obiettivi in entrambi i casi comportano un analogo coinvolgimento dei finanziamenti pubblico-privati nella terza fase.
Pausa di alcune attività
Il motivo per tante collaborazioni si bloccano alla fase due mentre altre si evolvono verso la terza, comporta mettere in conto qualcosa più dell’inventiva efficacia e obiettivi dei protagonisti. Man mano crescono le relazioni dei gruppi di quartiere con altre entità, si arriva a un punto in cui è necessario un salto di qualità e diversificazione per mantenere la spinta generata all’inizio. Il quartiere migliora, i rapporti di collaborazione crescono e prevale uno spirito pacificatore, emozioni e ideologia che avevano alimentato la nascita di tutto cominciano ad esaurirsi. Se non cresce il progetto iniziale mostrando nuove potenzialità, si perde il contatto col quartiere. E d’altra parte questi progetti per gli ospedali AHC hanno anche i loro definiti obiettivi. In molti casi grazie alla collaborazione col quartiere si è realizzato tutto quanto si pensava all’inizio. Se non si avvertono nuovi bisogni e non si individuano nuove mete e occasioni, non c’è neppure motivo di continuare a collaborare come prima. Spesso — anche se non sempre — le trasformazioni commerciali o industriali sono la nuova occasione.
Questo ci porta ai due casi eccezionali di Indianapolis e Irvine, dove la cooperazione si è sviluppata sull’economia, con poco o nessun intervento sulla casa, salvo a Indianapolis, dove la Indiana University ha operato insieme alle minoranze sulla questione delle abitazioni, ma oggi si sta avvicinando al terzo stadio. A Irvine, con una popolazione piuttosto agiata, la questione casa non si è mai neppure presentata. Mentre il bisogno più avvertito è quello di un ospedale adiacente al campus per rispondere alle necessità di ricerca delle imprese biotecnologiche che si sono insediate. L’opposizione alla costruzione dell’ospedale da parte di American Medical International (AMI) riguarda il rischio di sottrarre risorse e interesse ai pazienti indigenti dell’ospedale pubblico di Orange, a trenta chilometri di distanza, che era sempre stata la struttura didattica di riferimento.
Il ruolo di AHC nello sviluppo di quartiere tende a seguire un percorso evolutivo, spesso partendo dal confronto e dall’abbandono, poi passando alla distribuzione di risorse e stimoli, infine arrivando investimenti e prestiti di tipo immobiliare e di capitale umano. Oltre a mettere a disposizione «denaro sonante» in media per somme da mezzo a due milioni di dollari, gli ospedali universitari anticipano somme per l’acquisizione di terreni, o per le azioni delle associazioni locali. Pare importante sottolineare ancora una volta come queste azioni di intervento sui quartieri tra gli anni ’60 e ’70 siano state, senza eccezione, abbastanza marginali per gli enti che le hanno condotte. Le grandi università e gli ospedali didattici no-profit oltre ai propri compiti istituzionali non si sentivano liberi di spostare cospicue risorse nella stabilizzazione dei contesti dove operavano, anche constatando sino a che punto si trattava di investimenti che ne assicuravano l’operatività futura. L’impegno collaborativo restava relativamente modesto, anche con i notevoli ritorni positivi sia per gli enti che per i quartieri.
Una valutazione complessiva
Questa la breve rassegna di otto esperienze diverse di impegno degli Academic Health Centers impegnati nelle trasformazioni di quartiere negli ultimi vent’anni. È necessario valutarle, le esperienze, dentro lo specifico contesto dell’epoca. In gran parte corrispondono al periodo di disponibilità di fondi federali per il rinnovo urbano. Finanziamenti che hanno giocato un ruolo essenziale a Boston, New York, Baltimora, Pittsburgh, St. Louis e Los Angeles. Val la pena notare anche come l’esaurirsi dei fondi federali non scoraggi comunque parecchie imprese associate locali dal cercare altre fonti statali, locali o private e proseguire nei propri progetti. Cosa che vale per la seconda fase di interventi a Pittsburgh, per gli investimenti privati a Los Angeles e Irvine, ai rinnovi di lungo termine (10 anni) del progetto Washington University, per il ricorso a fondi industriali e filantropici a Indianapolis per il centro di biotecnologie.
Col senno di poi si possono individuare una serie di spinte che appaiono fondamentali nello stimolare le attività di trasformazione dei quartieri e contribuire alla loro riuscita. Sul versante delle associazioni di comunità il peso della logica militante. Un ospedale universitario nella inner-city tende molto di più a scostarsi dalla propria programmazione tradizionale quanto più si ritrova a confrontarsi con una forte opposizione ai progetti di acquisizioni, demolizioni, espansioni. L’esistenza di una opposizione determinata stimolerà l’ente ad esplorare nuovi metodi di perseguimento dei propri fini, tra cui collaborare coi gruppi di quartiere in un piano di trasformazione. Ci sono poi altri aspetti significativi, come la distanza fisica dalla zona residenziale, le capacità e competente del gruppo di quartiere, l’interesse della città nel suo insieme a rivitalizzare una zona, il livello dei decisori AHC. Tutto comunque meno importante della militanza che si confronta coi progetti iniziali dell’ospedale. In modo analogo esistono una serie di condizioni e situazioni organizzative interne degli ospedali universitari che rendono opportuno o meno l’intervento nei quartieri, e promuovono o no una riuscita. Due essenziali: 1) una percezione chiara del proprio compito in senso lato; 2) una idea altrettanto chiara delle proprie responsabilità.
Rispondere a una sfida
Molti ospedali della inner city affrontano un quartiere degradato che mette a rischio la loro capacità di attrarre e mantenere un flusso ottimale di pazienti paganti, studenti, personale medico e paramedico locale. Sono in pochi a rispondere alla sfida, e lo fanno andando oltre la propria tradizionale funzione didattica, di ricerca e medico-operativa, dedicandosi alla realizzazione collaborativa di alloggi e stimolo economico insieme ad associazioni del posto. Due diverse entità si mescolano per mescolare i rispettivi a volte molto diversi scopi. Dedicare a questi progetti risorse destinate ad altro non è una decisione semplice per gli organismi direttivi e le entità erogatrici dei fondi. Chi lo fa in genere manifesta capacità di visione del proprio ruolo futuro: si prende un rischio controllato per avanzare.
In secondo luogo paiono essenziali chiare scelte di responsabilità per seguire conseguentemente un percorso dopo la decisione. Una scuola di medicina e ospedale didattico non hanno strutture decisionali adeguate per questi processi. Operano con linee separate e frequenti consultazioni. Spesso i consigli delle università di riferimento sono l’unica altra sponda per concordare metodi di collaborazione complessi e abbastanza lunghi. D’altro canto alcuni enti di grandi dimensioni si possono muovere speditamente una volta presa la decisione. Un ospedale, abituale fornitore di servizi sanitari locali ai più poveri, di solito è considerato una entità più amica di una università, in genere con meno interazioni coi quartieri e gli abitanti. Altri aspetti che possono fare la differenza sono la qualità dell’amministrazione del centro medico, la capacità di esprimere strategie ampie, la volontà di sperimentare nuove linee di finanziamenti in grado di sostenere il proprio sviluppo.
Una nota finale: l’esperienza degli ospedali universitari urbani che abbiamo esaminato indica come enti senza scopo di lucro siano tanto vulnerabili quanto quelli che operano sul mercato ai cambiamenti che avvengono nel proprio ambiente. Se conservatori e passivi possono diventare spettatori e complici del degrado circostante e mettere a repentaglio il proprio futuro. Abbiamo studiato molti casi di ospedali che hanno osato un coinvolgimento insolito con le popolazioni locali. In gran parte traendo vantaggi dall’insolito ruolo. Hanno contribuito al miglioramento delle proprie zone e ad assicurarsi un più solido futuro. La nostra analisi del senso economico dei centri medici accademici e del loro impegno di collaborazione con le comunità su progetti locali evidenza effetti interattivi di tendenze sociali più ampie, la rapida crescita del settore medico sanitario, e dell’attivismo di quartiere degli ultimi due decenni.
da: Contributing to the Comunity: The Economic Significance of Academic Health Centers and Their Role in Neighborhod Development, The Commonwealth Fund, New York, 1987 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini
immagine di copertina: Warren K. Leffler, «African American and white school children on a school bus, riding from the suburbs to an inner city school», 1973, Library of Congress