Nelle settimane che precedono l’apertura di Expo2015, la priorità nell’attenzione delle élite politiche di livello locale e nazionale, nonché della pubblica opinione, è quella di capire in che condizioni si arriverà all’appuntamento del 1 maggio 2015. La società Expo S.p.A ha anche pubblicato un bando per la fornitura di teli e quinte di arredo per il “camufflage” che si presume sarà utilizzato in quelle parti del sito espositivo per le quali si è dato per scontato un ritardo ormai incolmabile nell’approntamento. Probabilmente qualcuno ha pensato che le intense frequentazioni degli Outlet abbiano in qualche modo abituato il pubblico alle scenografie e al posticcio urbano.
Ultima, è arrivata la notizia ufficiale della rinuncia dell’attuale Sindaco Pisapia a candidarsi per un ulteriore successivo mandato. Rinuncia che potrebbe non avere grande rilevanza sull’andamento dei lavori ma che probabilmente produrrà una sorta di “parossismo parkinsoniano” sulla programmazione e sulle decisioni della macchina politica e amministrativa, derivante dai rimescolamenti e dal Risiko in vista dell’appuntamento elettorale del 2016. Nel frattempo, il tema del riuso delle aree, una volta conclusa la manifestazione espositiva, batte in testa ed è oggetto di speculazioni e riflessioni sporadiche, affidate per lo più a volenterose e attente minoranze di tecnici, politici e associazioni, tutti interessati a invertire la rotta nella gestione dell’equilibrio instabile fra opportunità colte (poche) e sprecate (la maggioranza).
Ovviamente dal punto di vista delle proposte, la fanno da padrone vaghezza ed estemporaneità, e si coglie la fatica di ragionare oltre la lista (quasi compiaciuta) delle lamentele su quanto avvenuto dal 2008 ad oggi (oggettivamente una serie impressionante di misfatti ). Elenco che condiziona le scelte future, sia dal punto di vista dell’approccio utilizzato che delle eredità (in senso lato) generate. Tanto vale precisarle e ragionarci sopra, con lo spirito di adattare su una riflessione critica di quanto accaduto, la costruzione di soluzioni efficaci. Di seguito alcuni punti rilevanti:
- per la prima volta nella storia si è scelto per una Expo un sito su aree di proprietà privata, acquisite successivamente da parte della pubblica amministrazione;
- l’acquisizione delle aree da parte di un soggetto pubblico è stata svolta con una procedura assolutamente anomala: prima individuato sito e funzione, poi si è proceduto all’acquisto, con il risultato di pagare 16 volte il dovuto. Perché nel frattempo le stesse aree – per le decisioni prese dal medesimo soggetto pubblico – sono passate da un regime di verde agricolo a quello di aree edificabili (!!). Evidentemente i nostri rappresentanti non erano esperti in trattative commerciali e non avevano dei sensali tra gli antenati;
- le aree scelte per il sito sono particolarmente sfortunate per posizione, giacitura, accessibilità pubblica, caratteristiche geometriche e dimensionali, trattandosi di una enclave con caratteristiche di reliquato intercluso tra una serie di assi infrastrutturali;
- l’assegnazione di Expo da parte del BIE risale al 2008. La data di avvio dei lavori è Gennaio 2013. In pratica dal 2008 al 2013 le energie e il tempo sono stati spesi per il posizionamento di lobby e bande affaristiche negli organigrammi (ricordo i casi Glisenti, poi Stanca, la querelle su chi dovesse coordinare, il balletto sulle aree – acquisto o comodato d’uso – ecc. ecc.). Insomma, nominativi e governance prima di tutto;
- una volta partita la macchina organizzativa, il tema dell’Expo (particolarmente felice e suggestivo) è stato accantonato e poco sviluppato, mentre dominava quello della trasformazione del sito, interpretato nella logica della “grande opera” (1)
- l’approccio da “grande opera” nelle recenti esperienze, abitualmente si traduce in: progettazione poco intelligente e attenta al territorio, grandi appalti, spreco di risorse economiche, opacità del rapporto politica-impresa, penetrazione criminale. La lettura dei giornali degli ultimi due anni ci fa capire che da questo punto di vista non ci siamo fatti mancare proprio niente. Aggiungo la vergogna di avere spacciato ai milanesi per tre anni un banalissimo canale scolmatore per una “via d’acqua” (2);
- ovviamente, l’uso del sito una volta conclusa l’esposizione, non è stato oggetto di ragionamento e pianificazione “contestuale” alla sua scelta, con il risultato che il peccato originale dei costi di acquisto e delle caratteristiche delle aree costituiscono una zavorra per qualsiasi scelta futura;
- ciononostante è stato sviluppato da Arexpo un masterplan con aspettative volumetriche gigantesche (per raggiungere il famoso equilibrio immobiliare) e bandita una gara per la quale l’eventuale operatore interessato all’acquisizione avrebbe dovuto mettere sul tavolo un “cip” da 330 milioni di euro. Bando sonoramente rispedito al mittente dal “mercato”, visto che la gara è andata deserta;
- in questo lasso di tempo la pubblica amministrazione non ha esercitato alcun ruolo di controllo e indirizzo: la Provincia è evaporata ancor prima di diventare Città metropolitana. Il Comune di Milano ha presto abdicato. Per qualche mese c’è stato un assessore con specifica delega che poi è sparito e una commissione consiliare “Expo” di cui non si ha traccia;
- in tutto questo, il tema dell’alimentazione del pianeta, sta collassando sempre di più verso un’idea di esposizione che somiglia ad un salone internazionale del gusto;
- Ciò premesso, dal punto di vista del successo della manifestazione, mancano circa 40 giorni all’evento e dobbiamo solo augurarci che la città sappia rispondere nel migliore dei modi. Sul che fare del sito oltre il 2015: poche idee e grande confusione. Ultimamente si percepisce un clima positivo nei confronti della manifestazione di interesse da parte dell’Università degli Studi per trasferire un certo numero di Dipartimenti, con il relativo svuotamento di quanto ora localizzato in Via Celoria a Città Studi. Opzione che pone qualche problema di composizione urbana se contestualmente non si definiscono preventivamente caratteri e funzioni che andranno ad insediarsi a Città Studi. Fino a qualche mese fa invece il mainstream si allineava rispetto all’ipotesi di un nuovo stadio per il calcio. Tornando indietro di qualche tempo era invece un “parco tecnologico” a tenere banco nelle discussioni sul futuro.
Qualsiasi proposta buttata in campo, sembra avere cittadinanza per un po’, almeno fino a quando il bluff della insostenibilità economica – che sembra il primo e solo termine di riferimento – non viene scoperto. Ma non sembra visibile negli atti e nelle decisioni dei soggetti pubblici interessati, la preoccupazione di sviluppare un ragionamento stabile e strutturato che porti alla definizione di un metodo e di una cornice in grado di dare un senso (urbano, metropolitano, politico, economico) alle scelte da fare per recuperare il sito di Expo prima che questo diventi un luogo di degrado e abbandono.
Tra i temi prioritari da sviluppare in questa direzione c’è la ricerca di una soluzione con rinegoziazione del debito gravante sulle aree, per restituire quei luoghi alla regia e all’iniziativa pubblica. Questo porterebbe ad una inversione di tendenza rispetto al criterio fin qui troppo spesso seguito che sposa la realizzazione degli interventi urbanistici rispetto alla disponibilità di qualche soggetto a farsene carico (con un debito costo in termini economici e di volumetrie e carichi insediativi) indipendentemente dalla natura delle funzioni proposte.
In secondo luogo, è necessaria una riflessione sulle caratteristiche effettive (e non auspicate) delle aree in gioco e sulla capacità di rispondere positivamente all’insediamento di funzioni urbane “pubbliche” e strategiche in grado di inserirsi in un disegno di prospettiva di sviluppo e gestione dell’area metropolitana milanese. Eventuali rilocalizzazioni devono superare le attuali criticità presenti nel contesto metropolitano (ad esempio aree attrezzate per la logistica e produzione) piuttosto che generare ulteriori fattori di indeterminatezza legati all’andamento del mercato immobiliare come fatalmente accadrebbe con lo spostamento di funzioni pubbliche pregiate dalla zona di Città Studi.
Ovviamente questo processo deve vedere impegnate direttamente le Amministrazioni interessate che dovrebbero attivare da subito strutture tecnico-politiche dedicate. Rispetto a queste questioni chissà se il Sindaco Pisapia che si è appena smarcato dalle incombenze di un secondo mandato ma che ha ancora un anno di lavoro importante da fare, sarà in grado di cogliere l’occasione di lasciare a Milano una diversa eredità di Expo2015 e dare un segno di forte discontinuità rispetto alle politiche urbanistiche fin qui attuate?
Riferimenti:
Michele M. Monte, Learning from Expo, Millennio Urbano, marzo 2014
Michele M. Monte, Il pasticcio delle Vie d’Acqua, Eddyburg, marzo 2014
Michele M. Monte, Milano Vie d’Acqua: At Last!, Millennio Urbano, maggio 2014