Fra le libertà tradizionali della società americana c’è la libertà di movimento e insediamento. Per la famiglia americana, così mobile, libertà di insediamento vuol dire poter scegliere la propria residenza fra le relativamente scarse possibilità offerte dalla disponibilità di case o terreni edificabili secondo i permessi urbanistici e edilizi, o altri vincoli, oltre che da più sottili convenzioni sociali. Ma pur entro questo ambito di scelte, e spesso in modi ripetitivi di generazione in generazione, si esercita una opzione indipendente da imposizioni, consigli, o altre considerazioni razionali operative. Come avvenga questa scelta, come si formulino le preferenze, i desideri, i rifiuti, i costi monetari, frustrazioni, delusioni, non ci è chiaro. Questa ricerca vuole essere un primo tentativo per comprendere questo importante ma ancora oscuro aspetto della vita delle famiglie.
La fascia intermedia rurale-urbana, l’area in cui si compenetrano gli ambienti della campagna e della città ai margini della metropoli moderna, oggi rappresenta la zona in più rapida crescita per le abitazioni. Per molti versi si tratta anche della più interessante. Qui si trova una popolazione dinamica che cerca collettivamente di adeguarsi al nuovo habitat, non ancora propriamente urbano, e secondo modalità che non sono né urbane né rurali. In quanto produttori, in quanto consumatori, in quanto componenti integrati nel sistema di divisione del lavoro urbano, gli abitanti della fascia intermedia si collocano e organizzano simbioticamente insieme alla popolazione dei centri urbani. Ma in quanto cittadini, in quanto soggetti sociali, in quanto famiglie, alla città non appartengono. E il loro habitat rispecchia questa contraddizione nelle forme spaziali, nelle culture, nelle difficoltà di comporre aspetti e stili di vita urbani e rurali. La contraddizione reciproca dei due mondi a cui fa riferimento l’habitat, lo scontro fra le nostalgie rurali e il dinamismo urbano, tendenzialmente si frappone al fine ideale. La privacy diventa isolamento, lo spazio una prigione.
Nella frangia intermedia sono molto elevati i tassi di mobilità. Le persone vanno e vengono dalla città, e si spostano dentro la fascia intermedia come non mai. Ed entro il costante tentativo di adeguamento, adattamento, azione e reazione, nascono modelli di vita. Questa ricerca vorrebbe ricostruirli fotografandoli per come si manifestano al febbraio 1949 nell’area fra Eugene e Springfield, Oregon. Come si adattano le famiglie? Quali problemi, delusioni, soddisfazioni, nell’abitare il suburbio? Quali le caratteristiche di chi preferisce su tutte questa collocazione, o invece di quanti preferirebbero abitare un ambiente urbano? Le risposte non vogliono essere certo conclusive. […]
La dispersione oltre i margini amministrativi delle città moderne, in un’area che mescola aspetti insediativi rurali e urbani, presenta problemi e sfide al mondo dell’urbanistica, dell’edilizia, della pubblica amministrazione, della politica, della finanza pubblica e delle scienze sociali. Per l’operatore immobiliare la fascia intermedia è un territorio da sfruttare, dove gli investimenti del più avveduto e cauto sono messi a repentaglio dal dilagante degrado indotto da speculatori, case costruite a casaccio, contraddizioni edilizie e urbanistiche. Per i progettisti si tratta di una zona di rapido sviluppo della popolazione, pochi condizionamenti, funzioni che entrano in conflitto, dilagare del degrado rurale. Per gli amministratori locali si tratta di una quota notevole della loro base economica che se ne va altrove, oltre i confini fiscali e giuridici, persone a cavallo fra la nostalgia del mondo rurale e il dinamismo urbano, che sfidano un sistema amministrativo e di confini antiquato.
Per lo scienziato sociale questa fascia intermedia rurale-urbana significa qualcosa di molto più che non mancate tasse, incoerenza nell’organizzazione urbanistica, reti tecniche costose, strade difficili da mantenere, relazioni inadeguate. Vuol dire invece un nuovo ciclo del processo di urbanizzazione, dinamico incremento nel numero di persone che si collocano ad abitare lontano dal centro urbano da cui pure economicamente dipendono, così come dal punto di vista sociale e culturale. Lo studioso individua forze e relazioni tutte da scoprire. Il suo ruolo è mettere qualche ordine nella confusione apparente della realtà empirica. La sua idea che esista comunque qualche tipo di ordine nel mondo, presume che anche nella fasci intermedia rurale-urbana non imperi il caos, che si possano ricostruire sistemi di relazioni assimilabili a quelle note in ambiente rurale o urbano. Ma occorre esaminare parecchi aspetti, prima di chiarire qualcosa. Quali sistemi di valori, forze ecologiche, fattori demografici, si uniscono nell’insediamento di massa nelle ex campagne? Quali processi di selezione agiscono nelle varie attività della popolazione? Quali, gioie, paure, gratificazioni, frustrazioni, attendono chi cerca in questa fascia intermedia la sua casa? Trovare una risposta a queste e tante altre domande vuol dire, per lo scienziato sociale mettere ordine là dove non ne esiste, verificare ciò che non si conosce. E anche mettere a disposizione una base da cui partire per individuare soluzioni ai gravi problemi cresciuti al crescere della popolazione dispersa.
Nel presente studio ci interessa principalmente l’adattarsi dei nuovi residenti all’ambiente della fascia intermedia, e in riferimento a tale adattarsi indicazioni a comprendere i criteri di localizzazione di una popolazione mobile come quella americana. La localizzazione legata alla casa è stata meno studiata di quella delle attività economiche sul territorio, anche se non risulta chiaro quanto questa differenza di interesse rispecchi una vera differenza di importanza. Il fatto che una crescente quota di abitazioni vengano localizzate nella fascia intermedia rurale-urbana rende pertinente l’indagine sulle attività correlate e il loro livello di soddisfazione.
La crescita di piccole comunità autonome rispetto alla città principale ma ad essa correlate da un rapporto di dipendenza, non è certo fenomeno recente. Questi suburbi, o centri satellite, sia quando fungono da quartieri “dormitorio” industriali, o centri di villeggiatura, erano un tempo obbligatoriamente collocati ungo infrastrutture di trasporto che consentivano un facole collegamento con la grande città. Con gli effetti delle moderne tecnologie, e in particolare dell’auto privata, al sistema dei piccoli centri allineati sui binari della ferrovia si sostituisce un decentramento residenziale di massa più indipendente, verso aree di insediamento inconcepibili come tali prima della grande “esplosione” delle città che si accompagna a queste forme di trasporto e all’allargamento di modalità urbane oltre i confini amministrativi. La continua espansione di popolazione in questa “area di frangia” è una delle principali tendenze demografiche.
In termini di velocità di crescita della popolazione, nelle aree metropolitane la zona più interessata non è certo la città dominante centrale, né il sobborgo satellite, ma le zone ancora di campagna non appartenenti a municipi. In quarantatré delle principali aree metropolitane, le zone non appartenenti a circoscrizioni municipali crescono 14,5 volte più in fretta della città centrale nel periodo dal 1930 al 1940, e 9,5 volte più in fretta di quanto non succeda al suburbio classico. Negli anni ’30 lo sviluppo suburbano non eguaglia quello degli anni ’20. Per le aree metropolitane statistiche le città centrali hanno un incremento del 13% tra il 1940 e il 1950, contro un 34,7% delle fasce esterne. Nel medesimo periodo, la popolazione al di fuori di queste regioni metropolitane cresce solo del 5,7%.
A causa di un cambiamento nelle definizioni censuarie non è possibile paragonare esattamente il tasso di crescita nella fascia intermedia rurale-urbana. Comunque, quelle che possiamo definire “frange urbane” delle 157 città con oltre 50.000 abitanti, nel 1950 ospitavano 7.899.000 persone, senza calcolare quelle residenti in circoscrizioni municipali di oltre 2.500 abitanti. Nell’Ovest, il 12,1% della popolazione urbana si colloca nella frangia, nella regione Centro-Settentrionale solo il 4,7%. Molte cittadine con meno di 50.000 abitanti evidenziano chiaramente un forte sviluppo periferico, quindi questi dati sulla “frangia urbana” possono essere considerati assai prudenti. Con ulteriori analisi si potrebbe far emergere altra crescita in queste aree periferiche non municipali.
Sociologi urbani, esperti di ecologia umana, altri operatori in campi paralleli, sono spesso riusciti a ricondurre il caos e complessità urbani a una prospettiva più ordinata di osservazione e distribuzione spaziale. Si sono evidenziati i vari tipi di organizzazione urbanistica, le varie fasi di crescita, maturità, decadenza, i tanti caratteri della popolazione, con diversi gradi di precisione, per fasce concentriche, settori, nuclei, o un insieme di tutte le forme. In modo simile, si è imposta una prospettiva ordinata alle zone rurali: con la teoria dello stato isolato di von Thünen, la distribuzione teorica dei centri di scambio rurali elaborata da Christaller, il lavoro pionieristico di Galpin negli Stati Uniti, e tutti i loro vari perfezionamenti ed elaborazioni successive.
La crescita continua di dimensioni e importanza della popolazione nelle fasce urbane più esterne, si accompagna inevitabilmente allo spostamento di interesse, dalle zone di studio più tradizionali, verso quelle su cui oggi gravitano tante famiglie. Come si comporta, chi osserva questa fascia intermedia rurale-urbana? Abituato ai caratteri vuoi dell’ambiente urbano vuoi di quello rurale, di solito sembra perdere sicurezza di fronte a un contesto in cui si mescolano entrambi i tipi di organizzazione spaziale. Lungo le grandi arterie al di fuori del margine urbano esiste un miscuglio disordinato di gruppi di case prefabbricate, motel, edifici commerciali, stazioni di servizio, bar, sfasciacarrozze, rigattieri, pensioni, a cui si sono aggiunte negli ultimi tempi anche sale spettacolo. Nelle zone interstiziali fra le arterie principali, si trova un incredibile guazzabuglio di miserabili baracche non intonacate, con la pompa dell’acqua esterna e senza gabinetti, o ampie distese a giardino, o orti commerciali, o spazi aperti non usati, anche quartieri perfettamente organizzati ma isolati di case operaie, o per il ceto medio. Qui e là, lotti non edificati o ciuffi di arbusti che aspettano di essere trasformati. Ovunque dominano incoerenze e contrasti nell’uso dello spazio.
Appare evidente come gli osservatori siano impressionati da quell’apparente caos delle fasce stradali, già dai termini usati per descriverle: “frangia”, “area marginale”, “zona di transizione”, “punto morto”, le considerano caratterizzate da “situazioni patologiche”, “valori fondiari instabili”, condizioni “volatili e diseconomiche”. Ciò non vuol dire l’ecologia umana o altri approcci di studio considerino tali aree un caos totale, impossibile da analizzare. Si evidenzia invece la consapevolezza di quanto certe generalizzazioni, evolute dagli studi sui centri urbani o le zone agricole rurali, possano rivelarsi inadeguate o incomplete, in aree dove si intrecciano organizzazioni rurali-urbane. Questa relativa complessità e disordine sono comunque principalmente specchio del fatto che solo di recente esse sono oggetto di ricerche scientifiche. Proseguire gli studi sulle aree e sulla loro popolazione, ne ridurrà la complessità entro criteri più noti e semplici. Questa la sfida per lo scienziato sociale, sfida accettata a vedere il numero delle ricerche già condotte.
Da: The Rural-Urban Fringe – A Study of Adjustment to Residence Location, The Oregon University Press, 1953 – Estratti e traduzione [i brani qui riportati sono dall’introduzione e primo capitolo] a cura di Fabrizio Bottini
Immagine di copertina da: Wilmette and the suburban whirl (1956)