Tra land grabbing vero e proprio, e sottrazione indebita di territori per usi cosiddetti urbani, si prosegue imperterriti nel consumo di suolo, con le multinazionali che si stanno mangiando Africa, Asia, Sud America, e altri (relativamente) piccoli soggetti che più vicini a noi proseguono con pratiche insostenibili. Come evidente, l’osservazione e critica di questi fenomeni farebbe assai meglio ad essere sistematica anziché solo emotiva. Del leggendario racconto Il Pozzo e il Pendolo di Edgar Allan Poe di solito ci ricordiamo soprattutto i passaggi più scioccanti, ad esempio quell’involontario immondo bacio coi ratti («their cold lips sough my own …») dimenticandoci l’aspetto per così dire ottimista di tutta la faccenda. Poe, a suo modo fiducioso nella razionalità e nel progresso, ci descrive un protagonista che lungo tutto lo svolgersi del terrificante incubo prova a sforzarsi di conoscere, capire, riflettere. Fin quando lontane iniziano a riecheggiare le fanfare dei liberatori, i mortali nemici dei suoi carcerieri.
Conoscere, quindi. Conoscere quanto ci stanno togliendo, inventandosi di sana pianta che tutto è merce, di proprietà di chi la rivendica per primo e con gli interlocutori giusti. E poi rivendendoci a caro prezzo l’aria, l’acqua, la terra. Come in quella vignetta di tanti anni fa, dove due innamorati guardavano il sole scendere nel mare, ma bloccarsi di colpo perché nel cielo compariva una gigantesca scritta rossa: «questo tramonto vi è stato offerto da Coca Cola!» In particolare del cosiddetto land grabbing – l’accaparramento di terre agricole sottratte agli usi comuni dei villaggi – si è iniziato a parlare solo pochi anni fa, quando il fenomeno è esploso ad esempio in riferimento alla produzione di agro carburanti, ma non solo. Un disastro, che sfruttando soprattutto l’assenza di norme e la corruzione locale, aveva già trasformato superfici gigantesche (dell’ordine di decine di migliaia di ettari per volta) da campagne tradizionali abitate da popolazioni rurali sparse, a colture estensive semindustrializzate, deportando gli abitanti, imponendo leggi da far west, spremendo l’ambiente e le risorse locali con immediati e gravissimi squilibri.
E tutto avviene nell’opacità, con incontri riservati fra ceto dominante locale ed emissari governativi esteri e/o di multinazionali interessate al grabbing, il passaggio intermedio da dignitari tribali o simili che fanno commercio di cosa non loro, e l’attuazione concreta del piano. Ovvero forzosa obliterazione etnica, ambientale, socioeconomica. Almeno un sito ci aggiorna quasi in presa diretta con informazioni, dati, grafici. Facendoci scoprire subito, per esempio, che una percentuale terrificante dell’Africa agricola è già scomparsa dentro al pozzo senza pendolo e senza fondo, e che quindi gli allarmi lanciati dalle varie organizzazioni sono più che giustificati. Il medesimo fenomeno, magari con qualche variante, interessa anche Asia, Sud America, e in fondo non è molto dissimile dal punto di vista ambientale (certo da quello sociale cambia parecchio) dal famigerato consumo di suolo a usi impropri urbani delle nostre parti. Conoscere per agire a far reagire pare quasi ovvio: ad esempio i governi, cosa dicono almeno in linea di principio i paesi democratici alle loro imprese e interessi? Alla fine del Pozzo e il Pendolo di Poe, l’esercito liberatore arrivava dall’estero: oggi con la globalizzazione al massimo dovremmo sperare nell’invasione da un altro pianeta? Meglio di no.
Riferimenti:
Land Portal