Ci avviciniamo a un milione di morti nel mondo per COVID-19, ed è giunto il momento di confrontarci col fatto di aver affrontato in modo troppo miope questa esplosione virale. Ne abbiamo individuato le cause come se si trattasse di una malattia infettiva. Tutti i nostri interventi si sono concentrati nell’interrompere la trasmissione del virus, controllando la diffusione del patogeno. I governi sono stati guidati dalla «scienza», ovvero soprattutto da specialisti in modelli di malattie infettive ed epidemie, i quali comprensibilmente riconducono l’attuale emergenza sanitaria dentro i termini delle secolari pestilenze. Ma quanto abbiamo appreso sinora ci dice che la questione COVID-19 è un po’ meno semplice. Due categorie di malattie interagiscono con specifici gruppi di popolazioni: una infezione con sindrome respiratoria acuta coronavirus 2 (SARS-CoV-2); e tutta una serie di altre malattie non infettive (NCDs). Condizioni che si manifestano entro gruppi sociali secondo criteri di diseguaglianza ben radicati nelle nostre società. L’aggregarsi di queste malattie nel contesto della diseguaglianza e disparità economica esaspera gli effetti negativi di ciascuna patologia. COVID-19 non è una pandemia. Si tratta di una sindemia. E questa sua natura epidemico-sinergia significa necessità di un approccio più articolato se vogliamo tutelare la salute delle nostre comunità.
Il concetto di sindemia venne introdotto per la prima volta negli anni ’90 da Merrill Singer, medico antropologo americano. Qui su The Lancet nel 2017, insieme a Emily Mendenhall e altri, Singer sosteneva che un approccio sindemico mostra le interazioni biologiche e sociali, fondamentali per una prognosi, una terapia, una politica sanitaria. Contenere i danni di SARS-CoV-2 richiede una maggiore attenzione per le NCD e le diseguaglianze socioeconomiche, molta di più di quanta sia stata riservata sinora. Una sindemia non è semplicemente una co-morbilità. Caratterizzate dall’interazione tra fattori biologici e sociali, situazioni e condizioni, le sindemie aumentano la sensibilità personale e la vulnerabilità sanitaria. Nel caso di COVID-19,un prerequisito di riuscita delle politiche è affrontare le NCD. Come mostra il nostro recentemente pubblicato NCD Countdown 2030, nonostante il calo della mortalità prematura da NCD, la tendenza alla diminuzione è troppo lenta. E cresce il totale delle persone affette da malattie croniche.
Affrontare COVID-19 vuol dire pensare a ipertensione, obesità, diabete, malattie cardiovascolari e respiratorie croniche, al cancro. Una maggiore attenzione alle NCD non è problema soltanto per i paesi più ricchi. Si tratta della causa spesso dimenticata delle situazioni problematiche dei paesi poveri. Qui su Lancet la scorsa settimana, Gene Bukhman e Ana Mocumbi descrivevano quella che si può chiamare «NCDI Poverty», aggiungendo al conto delle malattie sociali cose come morsi di serpente, epilessia, insufficienze renali, anemia da cellule falciformi. Per i miliardi di poveri del mondo oggi, le malattie non trasmissibili pesano per oltre un terzo del totale. Gli stessi Autori qui spiegavano come nei prossimi dieci anni la disponibilità di interventi economici ed efficaci potrebbe salvare dalla morte fino a cinque milioni di persone. Oltre a ridurre i rischi legati a COVID-19.
da: The Lancet 26 settembre 2020 – Titolo originale: Covid-19 is not a pandemic – Traduzione di Fabrizio Bottini