Questioni per l’analisi sociologica a scala di quartiere (1915)

Prossimità e contatti di vicinato rappresentano le basi per la forma più semplice ed elementare di associazione con cui ci confrontiamo nell’organizzazione della vita in città. Interessi e associazioni locali danno vita a un sentimento, locale, e là dove la residenza è base per la partecipazione politica, la dimensione del quartiere è la base del controllo politico. Si tratta dell’elemento più piccolo nell’organizzazione sociale della città.

«È certamente notevole che, da tempo immemorabile, si consideri istintivamente chi viene ad abitare vicino a noi abbia qualche diritto a rivendicare la nostra amicizia. Il vicinato è una entità che, per chiara definizione, completezza organica interna, reazioni automatiche, può essere considerato alla stregua di una mente sociale quanto a funzionamento. E il suo boss locale, per quanto autocratico possa essere rispetto alla città grazie a potere che gli deriva dal dominio sul quartiere, deve comunque essere abitante tra gli abitanti, attentissimo a non ingannare i suoi vicini riguardo a questioni di tipo locale: non si frega nessuno, qui in quartiere» (Robert A. Woods, «The Neighborhood in Social Reconstruction», Papers and Proceedings of the Eighth Annual Meeting of the American Sociological Society).

Chicago, Union Station (1916)

Il vicinato non possiede organizzazione formale. Anche l’associazione per le migliorie è una struttura che si basa su una organizzazione spontanea, esiste allo scopo di esprimere un sentimento locale. Sotto l’influenza complessa della vita cittadina, quello che potremmo definire un normale sentire di vicinato ha subito parecchi e interessanti cambiamenti, e prodotto numerosi insoliti tipi di comunità locali. E ancora, esistono vicinati nascenti, o vicinati in via di dissoluzione. Consideriamo ad esempio la Quinta Strada a New York, dove probabilmente mai è esistita una società per le migliorie, e paragoniamola alla Centotrentacinquesima nel Bronx (dove esiste una popolazione nera in concentrazioni che non hanno probabilmente alcun paragone al mondo) dove di sta formando rapidamente na comunità molto stretta e fortemente organizzata. È importante conoscere le forze che tendono a infrangere le tensioni, gli interessi, i sentimenti che conferiscono ai quartieri il loro carattere individuale. Si può affermare in generale che si tratta di qualunque cosa in grado di destabilizzare la popolazione, dividere, concentrare attenzione su particolari temi di interesse. Le questioni: quanta parte della popolazione è fluttuante? Come si compone, per esempio dal punto di vista delle classi, razze e via dicendo? Quante persone abitano in albergo, o in appartamento, o in casamenti in affitto? Quanti sono proprietari della propria casa? Che quota esiste di nomadi, zingari, lavoratori migranti?

D’altro canto, molti quartieri urbani soffrono di isolamento. In varie epoche si è cercato di rivitalizzare quartieri e adattarne la vita ai ritmi e ai grandi interessi della città. È anche uno degli scopi delle organizzazioni di tipo sociale. Queste, insieme ad altre che provano a rivitalizzare le città, hanno sviluppato metodi e tecniche di stimolo e controllo delle comunità locali. Noi dovremmo, insieme allo studio di queste entità, unire i loro metodi e tecniche, dato che è proprio il metodo a rivelare la natura essenziale di un soggetto, il suoi prevedibili caratteri (Gesetztmässigkeit).

In molte città europee, in parte anche nel nostro paese, per ricostruire una vita cittadina ci si è impegnati lungamente nella realizzazione di sobborghi giardino, o nella sostituzione di malsani tuguri con edifici modello, di proprietà e amministrazione municipale. Nelle città americane si è tentato di rinnovare le zone peggiori costruendo campi da gioco, introducendo sport organizzati di vario tipo, o anche danze organizzate in edifici cittadini e a gestione municipale. Questi ed altri strumenti sono intesi ad elevare il tono morale delle popolazioni segregate nelle grandi città, e dovrebbero essere studiati insieme alle analisi generali dei quartieri. Ovvero letti non tanto in sé e per sé, ma per quanto possono rivelarci sui comportamenti umani, sulla natura umana.

Colonie e zone segregate

Nell’ambiente della città il vicinato tende a perdere molto del senso che possedeva nelle forme più semplici e primitive di società. La facilità di comunicazione e trasporto, che consente agli individui di allargare la propria attenzione e vivere al tempo stesso mondi differenti, tende a distruggere l’immanenza e intimità del vicinato. Ancora di più, là dove individui della medesima razza o orientamenti vivono insieme per gruppi segregati, il sentimento di vicinato tende a fondersi con antagonismo razziale e interessi di classe.

In tal modo la distanza fisica e del sentire si consolida, e l’influenza della distribuzione locale della popolazione si unisce a quella di classe e razza nell’evolversi dell’organizzazione sociale. Ogni grande città ha le sue colonie razziali, come le Chinatown di San Francisco e New York, la Little Sicily di Chicago, e vari altri casi magari meno noti e definiti. Inoltre, in gran parte delle città cè’ un quartiere segregato del vizio, come quello che c’era fino a non molto tempo fa a Chicago, oltre ai luoghi di ritrovo per criminali di ogni genere. Ogni grande città possiede un proprio quartiere periferico di grandi attività omogenee, come i Macelli a Chicago, e le zone residenziali come Brookline a Boston, ciascuno dei quali con le dimensioni e i caratteri di una vera e propria città o cittadina o villaggio autonomo, tranne che per quanto riguarda la selezione degli abitanti. Senza alcun dubbio, il caso più notevole di queste città dentro la città, la cui caratteristica principale è di essere composte di persone della stessa razza, o di diverse razze ma della medesima classe sociale, è East London: due milioni, tutti operai.

«Gli abitanti originali di East London si sono espansi attraversando il fiume Lea, diffondendosi poi negli acquitrini e spazi disponibili. Una popolazione che ha costruito nuove città da ex villaggi rurali, West Ham, con quasi 300.000 persone; East Ham, 90.000; Stratford, che insieme alle sue «sorelline» arriva a 150.000 abitanti; e poi altri nuclei cresciuti col medesimo criterio. Comprendendo anche le nuove popolazioni arriviamo a un aggregato di quasi due milioni: ovvero più di Berlino, o Vienna, o St. Petersburg, o Filadelfia. Si tratta di una città piena di chiese e luoghi di preghiera, ma senza nessuna cattedrale, né anglicana né cattolica; c’è un servizio sufficiente di scuole elementari, ma nessuna scuola superiore, né college, né università; la gente legge il giornale, ma non esiste un quotidiano di East London, salvo qualcosa di piccolo e molto locale. Per le strade non si vedono carrozze, non esiste un quartiere alla moda, non si vedono signore a passeggio per le vie principali. La gente, i negozi, le case, i mezzi di trasporto: tutto porta l’inconfondibile marchio della classe lavoratrice. E forse una cosa ancora più strana è questa: c’è una città di due milioni di abitanti, dove non esiste nemmeno un albergo! Il che significa che non ci va nessuno in visita» (Walter Besant, East London)

Nelle vecchie città europee, là dove si sono sviluppati processi avanzati di segregazione, le distinzioni tra un quartiere e l’altro sono più marcate che in America. East London è una città di una sola classe, ma al suo interno la popolazione è ulteriormente segregata da interessi di razza e orientamenti. Il sentire di vicinato, profondamente radicato nella tradizione locale e nelle abitudini, esercita un’influenza decisiva e selettiva sulla popolazione della città, e si evidenzia in modo molto chiaro nelle caratteristiche degli abitanti. Quel che vorremmo capire di questi quartieri, vicinati, comunità razziali, aree segregate, dentro e fuori le grandi città, è lo stesso che per tutti gli altri gruppi sociali.

Questioni. Di quali elementi si compongono? Sino a che punto si tratta del prodotto di un processo selettivo? Come si entra e si esce dai gruppi formati così? Che tipo di relativa permanenza e stabilità hanno le popolazioni? Quali le età, sesso, condizioni sociali degli abitanti? E i bambini? Quanti ne nascono, quanti ne restano? Che storia ha il quartiere? Esiste un subconscio – di esperienze dimenticate o appena ricordate – del quartiere che ne determina atteggiamenti e sentimenti? Quanto è pienamente consapevole, ad esempio in termini di sentire, dottrine e via dicendo? Di che si tratta esattamente? Che si dice? Cosa attira in genere attenzione? Che modelli si imitano, e si tratta di modelli interni o esterni al gruppo? Qual’è il rituale sociale, ovvero cosa deve fare chi sta nel quartiere per evitare di essere considerato con sospetto, o troppo eccentrico? Chi esercita un ruolo di leader? A che tipo di interessi di quartiere si rivolge, e con che tecnica esercita il controllo?

Da: The American Journal of Sociology, Vol. XX, n. 5, marzo 1915 – Titolo originale del saggio: The city: suggestions for the investigation of human behavior in the city environment – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini
Immagine di copertina: Ten Years of the Chicago Plan Commission, 1916

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