Con un tasso di disoccupazione al 10,2% e la ripresa dei posti di lavoro che arranca nonostante la spesa per le infrastrutture, dovremmo guardare con nuovi occhi a una risorsa che non abbiamo ancora davvero sfruttato: il sistema autostradale Interstate. Gran parte degli investimenti di stimolo economico della Presidenza Obama si è orientata alla manutenzione stradale, e va benissimo. Ma oltre a investire in strade che poi accelerano lo sprawl suburbano e rafforzano la nostra dipendenza dal petrolio, dovremmo sfruttare l’occasione per inventare nuovi modi d’uso del sistema intestate: circa 75.000 km.
Pensiamo a un riuso adattivo: come la vecchia fonderia che rinasce sotto forma di loft di lusso, il forno industriale per il pane riconvertito in centro commerciale urbano molto chic. É passato tanto tempo dall’ultima volta in cui siamo riusciti a guardare oltre il traffico e i fumi degli scarichi. Ma se iniziamo ad anticipare una nuova funzione del sistema autostradale, prima di quando non saremo più dipendenti dal motore a combustione interna, forse ricominceremo anche ad apprezzare la bellezza degli aggraziati cavalcavia, dei vertiginosi ponti, dei complicati svincoli a quadrifoglio.
L’uso più ovvio dei corridoi Interstate è quello del trasporto ferroviario. Se spendiamo miliardi nella modernizzazione delle strade, non potremmo contemporaneamente investire in parallele linee ferroviarie, come i 1.200 km ad alta velocità approvati dagli elettori in California l’anno scorso? Quei corridoi sono anche perfettamente adatti per spostare energia. L’elettricità degli impianti eolici e solari nelle zone rurali, potrebbe viaggiare su linee incorporate alle strade sino alle grandi città dove viene consumata. E i veicoli ibridi che un giorno percorreranno quelle stesse strade rifornirsi da questa linea. Nel momento in cui vengono parcheggiate, le auto sono anche in grado di re-immettere energia nella rete in momenti di picco dei consumi, intanto che gli automobilisti lavorano o fanno spese lungo la strada.
Invece di continuare a ignorare la terra di nessuno delle fasce autostradali — quella distesa di pompe di benzina, motel e ristoranti fast-food— dovremmo considerarla una risorsa preziosa. Presto auto e camion dovranno inquinare di meno, e fare anche meno rumore. Non c’è alcun motivo per cui queste superfici non possano trasformarsi in veri e propri nodi urbani, spazi dove si possa davvero desiderare di abitare, o lavorare o far shopping, passeggiare, prendere il treno. Il sistema stradale non può rimanere in eterno un ghetto del motore a combustione interna. Ci saranno tante occasioni per creare posti di lavoro e sviluppo, se lo recupereremo per tutti.
The New York Times, 11 novembre 2009 – Tradotto da Fabrizio Bottini con l’autorizzazione dell’Autrice (che prima voleva farmi causa)