Mary Ann è vissuta da sola per decenni, ed è anche morta da sola, nell’autunno del 2007. Aveva settantanove anni, e ha chiamato lei l’ambulanza che l’ha trasportata all’ospedale non lontano da casa, a Los Angeles. La vita l’ha abbandonata due settimane più tardi, per arresto cardiaco. Quando è accaduto, accanto a Mary Ann non c’era nessuno amico, o parente. L’unica persona che aveva indicato come contatto di emergenza era Sue, quella che consegnava a domicilio i farmaci. «Sono stata davvero sorpresa quando mi hanno chiamata come unico contatto» mi spiega quando vado a trovarla a casa, in un quartiere modesto a Huffington Park. «Certo ho risposto, ma poi … – sorride un po’ nervosa guardando gli addobbi natalizi che ingombrano tutto il soggiorno – poi in fondo non sapevo neppure dire se avesse qualche parente, una famiglia». Sue ha saputo di Mary Ann al telefono dall’ospedale, quando le aveva chiesto di badare ai cani, legati fuori di casa. «Piangeva. Diceva che se nessuno ritira la posta poi i cani li portano via, erano tutto quello che le restava, mi avrebbe persino pagata per farlo. Nessun problema per me, ma mi spezzava il cuore sentire che erano tutto ciò che le restava».
Io all’ospedale ci vado due settimane dopo che Mary Ann è morta. Il corpo e le sue cose sono ancora là. Nessuno ha ancora pensato al funerale. Non sono solo. C’è anche Emily Issa, addetta alle indagini per conto della Contea di Los Angeles, che accetta di fasi accompagnare da me. Emily è una dei cento addetti dell’ufficio indagini, per i casi in cui qualcuno muore e nessuno reclama né la salma né la proprietà. Una specie di detective specializzato in chi muore da solo. Il lavoro consiste nel passare al setaccio ciò che resta di quelle vite, provare a risalire a qualche parentela, capire cosa c’è e chi ne ha diritto. Ci sono circa tremila casi del genere all’anno. Mary Ann viveva sola, non aveva a quanto pare parenti o familiari. Ma era proprietaria della casa, aveva un conto in banca, e magari aveva anche lasciato qualcosa d’altro di valore: qualcuno potrebbe aver diritto all’eredità, ed è compito di Emily individuarlo.Cerca qualcuno che conoscesse Mary Ann, per arrivare eventualmente a quei parenti. C’è anche il problema di dove e come seppellirla, e prima o poi Emily dovrà risolvere anche quello.
Cominciamo le indagini dall’ufficio dell’ospedale, dove una suora in un primo momento ci fa pensare di poter essere d’aiuto, dato che quando legge il nome di Mary Ann sulla pratica cambia espressione. Ma poi capiamo che le ha solo parlato qualche volta, e al massimo ci può rassicurare sul fatto che sia stata curata nel migliore dei modi, fino all’ultimo. Consegna a Emily un grosso sacco di plastica che contiene tutto quanto Mary Ann si era portata con sé all’ospedale, e Emily inizia a frugarci dentro alla ricerca di qualche indizio. Una vestaglia leggera azzurra, una borsetta nera, farmaci, borotalco, occhiali, buoni sconto, tutte le cose che si trovano di solito nella borsa di una signora. E nulla di utile per Emily, che cerca qualche contatto, un’agenda, o un cellulare con dei numeri in memoria. Niente di tutto questo nella borsa. C’è un quadernetto, che sfoglia alla ricerca di qualche nota, magari di ultime volontà, ma ci sono solo pagine bianche. C’è però anche un mazzo di chiavi che ci permetterà di entrare in casa di Mary Ann.
La situazione migliore possibile, mi spiega Emily, è quando entrati in casa si riesce a trovare un biglietto con le ultime volontà o comunque qualche indicazione. Ma succede di rado, probabile come vincere la lotteria: «Mi è anche capitato un caso dove sul comodino accanto al letto c’era ‘In caso di emergenza …’ Cinque minuti, e tutto risolto». Ma con Mary Ann non è così facile. Quando arriviamo alla casa ci sono ancora i due cani legati in cortile, e Emily telefona agli incaricati perché li portino via. All’esterno la casa è un disastro, le finiture di legno marce, polvere grigiastra dove un tempo doveva esserci il prato, un vecchio furgoncino Volkswagen sul vialetto, con le gomme a terra, pare non sia stato usato da parecchio tempo. All’interno della casa c’è anche di peggio, buio, polvere, montagne di videocassette, bottiglie vuote di succhi, confezioni varie consegnate a domicilio e mai aperte. Emily non pare affatto colpita dalla scena, e commenta «il classico scoiattolo un po’ accumulatore». Le dico che mi sembra un caso limite, ma mi replica che stiamo invece nella media: «Se non altro si vede ancora il pavimento. Tantissime volte non si riesce neppure a camminare da tanta roba che ci sta sopra, ci si deve arrampicare».
Ed è così abituata a posti del genere da essere sempre munita di guanti, scarpe da tennis, anche una mascherina quando la persona è morta a casa ed è stata trovata dopo un po’ di tempo. Di norma c’è da frugare, Emily non si limita ad aprire cassetti e stipetti, a volte c’è anche da salire in solaio, forzare porte chiuse a chiave, scovare documenti contabili sin dentro il frigorifero, o nella pattumiera dell’umido. Osservando il soggiorno di Mary Ann, si può indovinare che abbia sostanzialmente concentrato lì la sua esistenza. Un divano letto sfatto davanti al vecchio televisore. Emily scosta lenzuola e coperte, alla ricerca di denaro, lettere, qualunque cosa che funga da collegamento col mondo esterno, ma non c’è altro che lana infeltrita e vecchi contenitori da uova. Poche decine di centimetri più in là troviamo sepolta sotto il ciarpame una sala da pranzo completa. Emily raccoglie delle buste e blocchetti di assegni staccati, sfogliando ma senza trovare quel che sta cercando: nessun biglietto da visita di qualche avvocato o commercialista, né foto di amici o parenti, neppure versamenti personali, solo abbonamenti a riviste. Non troviamo alcun segno della presenza di altre persone, nella vita di Mary Ann. Ed è una cosa che mmi pare ancora più strana di tutto quel disordine.
Dopo quarantacinque minuti di ricerche senza trovare nulla, chiedo a Emily se la cosa sia inusuale. Mi risponde «No, per niente, va quasi sempre così, gente che si circonda di cose anziché di persone. Si è costruita una tana, una specie di caverna personale, nascosta dietro le sue carabattole, è qui che passava quasi tutto il tempo». Emily cerca informazioni per risalire a qualche contato, non certo per ricostruire una storia, ma quella storia in qualche modo spesso emerge egualmente. Mi racconta di due casi che le sono rimasti impressi. Uno di una donna col marito morto nella seconda guerra mondiale, lei che gli sopravvive sessant’anni, ma dalla sua corrispondenza si legge il tentativo di restare psicologicamente agli anni ’40. L’altro caso è quello di un uomo morto nel rogo della sua stanza appiccato dal barbecue che aveva acceso sul letto. Arrivando, Emily mi racconta, c’era tutto quell’appartamento assolutamente nero, uniche tracce di bianco le impronte sue, e quelle dell’uomo. Impressionante, sia il suicidio che quel collegamento particolare. Ma non c’è molto tempo per i ricordi adesso, troppo lavoro da fare con Mary Ann. E dopo oltre novanta minuti di ricerche finalmente Emily trova qualcosa di personale.
Sepolto sotto i vestiti di un armadio, un pezzettino di storia familiare in forma di album, con fotografie di una giovanissima ballerina, più qualche altro scatto da studio del tipo che usa a Hollywood. Bambina molto graziosa, riccioli alla Shirley Temple e fossette pronunciate, ma non sappiamo se si tratti di Mary Ann: l’etichetta dice solo «1933», nessun nome. Stiamo davvero trovando pochissimo su Mary Ann. Apprendiamo che qui abitava anche sua madre un tempo, dato che c’è parecchia posta indirizzata a lei. Mary Ann aveva una passione per le medicine naturali e le erbe. Il padre si era sposato quattro volte, e la madre era la terza moglie. I cani erano microchippati . Emily mi spiega di voler evitare qualunque coinvolgimento diretto con le persone su cui sta indagando. Non ci prova neppure, a immaginarsele, perché sarebbe emotivamente fastidioso. Le chiedo se almeno non immagina cosa avrebbe pensato, Mary Ann, di qualcuno che frugava nelle sue cose: «Proprio no, non mi passa nemmeno per la testa. Questo tipo di persone non vuole nessuno a girargli attorno. Anche chi le conosce ignora questi aspetti della loro esistenza». Insisto: «Ma deve averlo saputo che un giorno sarebbe morta, e qualcuno le avrebbe trovate, le sue cose». E Emily prova a riflettere: «Magari sapeva di non lasciare nulla a nessuno, e così a chi importa di tutto questo pasticcio, tanto non devo lasciare eredità».
Dopo quasi due ore, l’unica cosa trovata che potrebbe aiutare Emily a risalire a un parente, è una cartolina natalizia indirizzata a Mary Ann e a sua madre. Spedita dalla Virginia, da una famiglia che deve avere qualche tipo di parentela, perché chiedono informazioni per ricostruire un albero genealogico. Emily la mette nella busta di plastica che si porterà in ufficio. Si sta facendo tardi e bisogna tornare alla base, anche per rispettare la scadenza delle cinque del pomeriggio per il deposito degli oggetti di qualche valore. Si mette il sigillo alla porta e usciamo. Ci sono dei vicini che guardano curiosi, e ci avviciniamo. Emily chiede a Luis, quello della porta accanto, se non fosse mai venuto nessuno in visita. «No, nessun visitatore, solo qualche donna che veniva a aiutarla». C’è silenzio un po’ imbarazzato, parlando di Mary Ann. Luis continua: «Non pareva contenta. Sempre sola. Solo quei due cani, e basta». Poco dopo incontriamo un altro vicino, George, che la mette in modo diverso. «Era una brava persona. Parlava sempre con noi, o con nostro figlio. Tornavo dal lavoro e qualche volta la vedevo in veranda. Ci scambiavamo un Salve George, Salve Mary. Ecco tutto».
Parlare con George e Luis mi aiuta a capire cosa accade quando le persone davvero isolate muoiono da sole. In genere non sappiamo affatto se quella solitudine è vissuta con tristezza, o con soddisfazione. Se vivano e muoiano senza amici e parenti perché hanno scelto così, o perché qualcosa è andato storto e non si riesce a rimediare. Incontrando una vicenda come quella di Mary Ann, è impossibile non proiettare sulla sua storia la nostra sensibilità, e le nostre reazioni ci raccontano sia qualcosa su di noi che su di lei. Il giorno successivo mi incontro con Emily nel suo ufficio, da cui sta facendo delle telefonate. Ha trovato il numero di Terry, da una delle tracce scoperte in casa, quella cartolina natalizie vecchia di trent’anni. Ma quando risponde al telefono c’è un problema: non ha la più pallida idea di chi sia Mary Ann. Dice a Emily di rivolgersi alla sua ex moglie, la cartolina l’aveva scritta lei in realtà, e poco dopo Emily le sta parlando.
Emily sbotta in un «Ohhh» e poi le spiega che «Lui mi ha dato il suo numero di telefono, dicendo che non ne sapeva nulla, e lei mi dice che invece sarebbe sua zia, capisco». Alla fine si capisce che un po’ avevano ragione tutti e due: Mary Ann era parente di Terry, ma alla lontana. Era sua madre, ad essere la prozia di Terry, che però non aveva mai incontrato Mary Ann, né le aveva mai parlato, quindi non ne sapeva nulla. Di nuovo al telefono Terry spiega «Con un po’ di andirivieni se non altro abbiamo ricostruito chi fosse». Gli spiace per la situazione e per la morte, ma in realtà dice che è difficile sentirsi davvero coinvolto: «La mia vera preoccupazione ora è che mi sento responsabile per sistemare le cose, adesso». Dopo un mese, Terry e i suoi cugini ancora non si erano accordati se occuparsi direttamente della proprietà o lasciare la liquidazione alla contea. Emily mi spiega che in casi come quello di Mary Ann, con un valore di oltre 6000, dollari, la pubblica amministrazione può decidere per la sepoltura in un cimitero locale, ma anche in caso contrario c’è una procedura pubblica, diversa.
Chi muore da solo ma senza i soldi per la sepoltura, viene cremato, e le ceneri messe in un’urna per quattro anni. Trascorsi i quali, se nessuno le ha reclamate, vengono sepolte in una fossa comune nel grosso cimitero accanto alla Scuola di Medicina di East LA. Per caso la cerimonia di sepoltura delle persone non reclamate del 2003 si tiene un paio di settimane dopo la morte di Mary Ann. C’è un cappellano a celebrare il servizio. «Onorati ospiti, oggi 6 dicembre siamo qui riuniti … millenovecentodiciotto fratelli e sorelle dell’umanità». Occasione solenne, ma anche un po’ vuota, visto che a parte il celebrante ci sono dieci persone, tutte dipendenti dell’amministrazione, ad assistere alla sepoltura di massa. Uno di loro mi indica le piccole targhe con segnato l’anno della tomba: i resti di quasi duemila persone trovano posto in un buco di tre metri per due e mezzo, profondo altrettanto. Ma non posso fare a meno di pensare che migliaia di persone qui, dopo essere vissute e morte sole, non sono più sole.
da: Going Solo – The Extraordinary Rise and Surprising Appeal of Living Alone (Penguin Books, 2013) – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini