Un gregge di duemila pecore pascola tra schiere di pannelli solari e il loro allevatore Tony Inder in fondo si chiede cosa ci sia di tanto strano. «Certo non mi metterò a dire che devono fare tutti così. Ma per quanto mi riguarda questo produrre energia solare va benissimo». Inder si riferisce alle preoccupazioni per l’uso ibrido delle superfici agricole di buona qualità sfruttate anche dal montante settore dei pannelli solari e pale eoliche, tematica vivacissimamente dibattuta specie dai più fieri oppositori di questa transizione energetica australiana. Ma per quanto riguarda i terreni i Inder nel Nuovo Galles del Sud i pannelli solari hanno fatto aumentare la produzione di lana. Una correlazione simbiotica che il direttore nazionale per le energie rinnovabili per la Agriculture Conference, Karin Stark, vorrebbe veder crescere il più possibile per allontanare rapidamente l’Australia dai consumi energetici di origine fossile.
«Si tratta di diversificare la produzione agricola» spiega Stark. «Al momento attuale parecchi operatori in difficoltà per l’acqua posso trovare una fonte di reddito collaterale nei pannelli solari o nelle pale eoliche». Mantenendo il pascolo rasato e contenendo così il rischio di incendi estivi, il gregge risparmia agli installatori di impianti i costi dello sfalcio. I pannelli offrono riparo agli animali e favoriscono la crescita di un’erba più sana all’ombra oltre a creare «linee di scolo» alla condensazione che si forma sulle lastre. «Ci sono ampie strisce su cui l’erba cresce anche durante la peggiore siccità» spiega il pastore di Dubbo Tom Warren. Che ha visto crescere del 15% la propria produzione di lana dopo l’installazione di una solar farm sui suoi terreni sette anni fa.
Ma a fronte di queste esperienze positive, nel 2023 il rapporto dell’Agrivoltaic Resource Centre coordinato da Stark rileva come queste pratiche siano ancora troppo poco diffuse in Australia, soprattutto perché gli installatori, pur affermando di sostenere la convivenza col pascolo, poi non fanno i passi necessari per autorizzazioni e permessi. «Il risultato è che poi i progetti di insediamento delle solar farm sono inadeguati per le greggi – continua Stark – perché bisognerebbe partire molto prima con la compatibilità», La professoressa Bernadette McCabe, direttore del Centre for Agricultural Engineering alla University of Southern Queensland, ritiene che agricoltura ed energia solare siano «attività molto diverse» e che esistano «pochissime ricerche in grado di confermarne la compatibilità pratica». Ma la possibilità di mantenere gli usi primari sta sollevando parecchio interesse sulla possibilità di coesistenza con le energie rinnovabili, anche se a parere di McCabe ci sono troppi «incentivi mal concepiti» negli accordi tra agricoltori e installatori da cambiare.
Tutti questi conflitti finiscono per alimentare chi è semplicemente contrario alle fonti rinnovabili «benzina sul fuoco degli attacchi» secondo l’ex installatore del Nuovo Galles del Sud Ben Wynn. Che accusa gli operatori energetici di di «parlare genericamente di questa possibilità di convivenza» con gli allevamenti ma senza «volontà di agire concretamente». Oggi Wynnfa parte di un gruppo di oppositori a un grande insediamento solare a sud di Tamworth che cancellerebbe un terreno produttivo a cereali. «Dobbiamo certamente accelerare la transizione energetica ma cancellando superfici arabili diamo solo ossigeno al partito del NO». Wynn ha anche coordinato la realizzazione di una solar farm prototipo sempre nella zona di Tamworth, sollevata dal suolo con pilastri d’acciaio e i pannelli ben lontani dall’interferire con gli animali che ci pascolano sotto. «Il bestiame è piuttosto rude, sbatte e gratta ovunque».
Il progetto ha funzionato benissimo ma secondo Wynn è un modello troppo costoso da essere riprodotto su vasta scala. L’installazione costa tre-quattro volte a unità di superficie quanto la posa di un normale pannello. Integrare pecore e solare è «molto fattibile» secondo McCabe, dato che si può pascolare sotto i pannelli installati correntemente. Ma siamo anche «solo all’inizio» e ancora non possiamo sapere quanto sia economica questa convivenza dal punto di vista degli allevatori. Il dottor Nicholas Aberle, direttore per la produzione e lo stivaggio energetico al Clean Energy Council, spiega come gli operatori del solare debbano sperimentare l’uso doppio delle superfici, ma come l’opzione non debba essere considerata sempre valida per qualunque progetto. E del resto «l’abbondanza di spazio in Australia ci dice che non è indispensabile».
Secondo le analisi del Clean Energy Council, ci vorrà meno dello 0,027% della superficie agricola per dare energia solare agli Stati della costa orientale: molto molto meno di un terzo di tutte le superfici di alta qualità produttiva come calcolava invece sarebbe stato «sequestrato dalle rinnovabili» il centro studi di estrema destra Institute of Public Affairs. Una posizione ampiamente contestata dagli esperti e che però è stata fatta propria dal National party, il cui leader, David Littleproud, afferma che l’Australia ha raggiunto la saturazione quanto a insediamenti di impianti per le energie rinnovabili. Allevatore in Queensland e presidente del Future Farmers Network, Caitlin McConnel cede elettricità alla rete da una decina di impianti sulle sue superfici a pascolo da almeno dieci anni. Anni trascorsi tra «esperimenti e correzioni» ma che sono arrivati ad un ottimo equilibrio sia ambientale che economico proiettato sul lungo termine. «Per quanto ne so siamo l’unico caso di produzione solare insieme all’allevamento – spiega McConnel – e del resto cono ottime terre non si capisce perché sprecarle solo coi pannelli solari».
da: The Guardian, 12 giugno 20224; Titolo originale: Farmers who graze sheep under solar panels say it improves productivity. So why don’t we do it more? Traduzione di Fabrizio Bottini