Sprawl: ce lo chiede il mercato?

Foto Urban Land Institute

Ci sono una miriade di comportamenti, consumi, orientamenti, atteggiamenti, fortemente cercati, agognati, perché paiono far bene. E invece, lo si scopre nell’immediato, appena messi in atto, fanno malissimo a sé e agli altri. Senza scivolare necessariamente dentro a questioni estreme, come il consumo di sostanze varie che danno dipendenza, basta pensare a cose assai più innocenti come le scelte alimentari istintive che «danno soddisfazione immediata», per capire a cosa ci si riferisce. L’atteggiamento, è chiaramente infantile: qualcosa piace, conforta, c’è addirittura un intero contesto che rafforza quell’orientamento, e puntualmente ci si casca. Il problema comincia però a manifestarsi nei suoi risvolti negativi quasi da subito, vuoi coi valori ematici, vuoi con vere e proprie patologie, vuoi in altri infiniti modi che vanno dal guaio estetico, al non entrare più in qualche taglia di abiti, alle spese dirette e indirette per procurarsi quella in genere rinunciabile roba. Vale per la bulimia da gelato al pistacchio acquistabile solo a trenta chilometri di distanza, ma vale anche per lo stile dell’abitare e le relazioni socio-economiche che lo inducono e che induce. Da varie generazioni imperversa quell’ideologia, sostenuta da vere e proprie politiche pubbliche, secondo cui esiste un territorio infinito a disposizione del genere umano, dentro cui il nucleo familiare ha praticamente il dovere di ritagliarsi una fettina di residenza privata. Qualunque altra soluzione, dalla vita da single, alla socialità urbana eccetera, è da considerarsi eccezione o passaggio momentaneo. A quanto pare non se ne esce, anche di fronte alle peggiori patologie, sociali e ambientali.

Il mondo ritagliato per comodi segmenti di mercato

Quella strumentale «contraddizione città-campagna» tutta novecentesca focalizzata sull’insediamento suburbano e automobilistico, anche oltre certe indifendibili (indifendibili razionalmente) ideologie un po’ estreme, pare comunque aver lasciato in pianta stabile la liceità e quasi naturalità delle due forme: concentrata e complessa, segregata e dispersa, che in fondo fanno tanto bene al rapporto fra domanda e offerta, come il gelato al pistacchio. Se c’è la domanda ci sarà pur sempre una ragione profonda, e il cliente va accontentato, ci spiegano pur raffinatamente i bottegai del settore. Non vorremo per caso buttare a mare così alla leggera, decenni, generazioni addirittura, di prezioso know-how accumulato nell’offerta di prodotti sempre più avanzati di residenza, servizi, forme di convivenza? E come quando nelle emergenze per l’inquinamento atmosferico, comincia l’infinito battibecco su chi sia il colpevole principale (le industrie? i trasporti? il riscaldamento domestico?), allo stesso modo anche di fronte alla constatazione degli innegabili impatti ambientali e sociali del suburbio, si finisce per rifugiarsi nel comodo margine del dubbio residuo, magari in attesa della pur sempre possibile «soluzione tecnologica». Sottolineando, addirittura, che lavorare su entrambi i fronti dell’urbanizzazione, riqualificando di qua ed espandendo di là, si finisce solo per migliorare la qualità dell’abitare. Mentre invece si tratta solo dell’ennesimo trucchetto per «non allarmare l’investitore».

Pieni e vuoti

Distogliendo invece risorse, economiche così come di aspettativa, a tutte le forme di retrofitting, generale e particolare, attivabili anche a breve termine, dall’edilizia in senso proprio, all’impiantistica, e in termini allargati alla mobilità, all’organizzazione dei servizi, alla produzione energetica e al ciclo consumo-rifiuti. Favorendo quelle campagne di per sé piuttosto odiose a ben guardare, dove si coccolano i cosiddetti Millennials finché restano giovani, produttivi, adattabili, e in fondo adeguati ad esprimere le loro preferenze per una adolescenza prolungata dentro lo «studentato di area vasta» messo a loro disposizione dagli immobiliaristi. Perché questo, sono, i quartierini gentrificati dei mini appartamenti costosissimi, degli ambienti di coworking lussuosi e delle strade per lo shopping e il tempo libero fruibili comodamente a piedi o in bicicletta. Ma appena il corpo e lo spirito iniziano a trovarsi un po’ a disagio, dentro quel college improprio fatto città, come in un film di fantascienza sociologica in fronte al Millennial si accende la lucetta lampeggiante del mercato: è ora di traslocare, e di ripercorrere rispettosi le orme dei genitori. Altri giovincelli prenderanno il suo posto nel quartierino spartano trendy, mentre per lui/lei aspettano nuovi di zecca classici casa con giardino cul-de-sac, magari con la promessa dell’auto senza pilota a brevissimo termine, che scorazzerà tutta la famiglia in giro, manco continuasse il cartone animato cominciato all’asilo. Pare un po’ troppo acida questa presentazione, ma il tono «ragionevole» e un po’ paternalistico dell’ultimo rapporto Urban Land Institute sul mercato edilizio suburbano decisamente la provoca. Verificare per credere.

Riferimenti:
Urban Land Institute, Housing in the evolving American suburb, Washington D.C. dicembre 2016

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