Una volta non c’era tutta questa fideistica soggezione alle tabelline: magari per ignoranza, magari perché quel vago buon senso che a volte si sostituisce in mancanza di meglio al sapere, un pochino funzionava. Per esempio l’alcol: tutti dicevano sino alla noia che il vino fa buon sangue, e però quelle miserabili domeniche sera coi tizi barcollanti verso casa, o peggio sdraiati in qualche angolo a smaltire un po’ il peggio della sbronza, raccontavano cose diverse. Raccontavano che quel buon sangue ti ammazzava piuttosto giovane, diciamo poco dopo l’età della sudata pensione, quando ci arrivavi. Poi a eliminarti dalla faccia della terra contribuivano altre cose, i fumi delle ciminiere respirati per tutta la vita, il mangiare povero e sballato, la casa così così e il lavoro duro. Pian piano alla vaga intuizione di quanti danni si facessero a sé stessi e al mondo, si sostituivano anche le mitiche tabelline, che però come ogni tabellina foriera di certezze avanzano lente, sistematiche, faticano a trovare una sintesi, tipo: è il nostro sistema socio-ambientale-lavorativo ad ammazzarci, dobbiamo cambiare quello per vivere di più e meglio. Beh, anche nel terzo millennio dovremmo imparare a dare il giusto peso (senza esagerare) a certe pur vaghe intuizioni.
Come quella ambientalista nazionalpopolare diffusa secondo cui lo sviluppo autostradale è sempre e comunque una boiata pazzesca, in assoluto e in particolare se la affianchiamo al modello di sviluppo delineato dal progetto Expo Nutrire il Pianeta. Però quando si prova a dirlo, apriti cielo! Critiche da destra, e quello forse si capisce pure un po’, visto che in tutto il mondo la destra politica sostiene cose come il negazionismo climatico o energetico (ovvero che il riscaldamento del pianeta o la crisi petrolifera li hanno inventati i comunisti), e che bisogna andare avanti business as usual a fare il cosiddetto sviluppo del territorio. Ma anche critiche da sinistra, da parte di chi in assenza di specifiche tabelline, o anche in presenza di tabelline che non piacciono troppo, ha via via etichettato certe autostrade addirittura “parco lineare della città infinita” (sic), abbastanza conseguenti occasioni occupazionali pur di respiro incerto, oltre che palestra per dissertazioni accademiche di dubbio gusto ma sicura carriera, detta per l’occasione autonomia della scienza. Il fatto è che di sicuro mancano tra le altre certe tabelline che legano, certamente e indissolubilmente, quantomeno la presenza di strutture stradali e autostradali al resto dell’urbanizzazione, ovvero il cosiddetto consumo di suolo.
Chi guarda e un po’ intuisce, fa invece un cortocircuito da buon senso: con cosa diavolo nutro il pianeta se asfalto tutta la superficie agricola? E dietro questa constatazione da classicissimo re nudo, ne arrivano a frotte delle altre: per esempio che lo sviluppo industrialista da sempre legato a un certo uso del territorio ha da decenni il fiato corto, che proprio la nuova frontiera in continua espansione dell’edilizia come motore economico sta alla base della crisi, che certi modelli di urbanizzazione hanno storicamente prodotto impatti irreversibili a fronte di vantaggi effimeri. E invece a quanto pare a certa sedicente sinistra, qualificata a quanto pare solo da alcuni strumentali slogan che parrebbero a questo punto solo sparate, non sa che farsene di una vera prospettiva di sviluppo, tiene come orizzonte di eternità un mandato politico-amministrativo, o di universo una piccola circoscrizione locale, appena più grande dello svincolo con annessi i capannoni vuoti del destino. E ci propina la montagna di balle della mobilità sostenibile sì, ma solo con le auto elettriche sfreccianti in autostrada, del contenimento del consumo di suolo (quello innegabile dalle tabelline) con strumenti tutti da definire, mentre invece spinge per fare tutt’altro.
Speriamo però che poi, oltre questo intuito spontaneo e nazionalpopolare, ci sia anche qualcun altro, a iniziare a ragionare sul cosiddetto modello di sviluppo socioeconomico territoriale alternativo alla cronica, ideologica città infinita, che non può essere l’utopia regressiva alla Transition Town sbandierata da qualche incauto nostalgico, ancor meno di sinistra degli sviluppisti per quanto rebrandizzata e rivestita di stanze poetiche. La risposta probabilmente sta ancora nascosta in qualche laboratorio dentro contenitori dismessi recuperati solo a metà, ma bisogno cercarla, magari senza aspettare le tabelline degli scienziati, che ormai a carriera fatta potrebbero anche dedicarsi ad altro, comunque lo stipendio lauto glie lo garantiamo lo stesso, siamo democratici e comprensivi con quelli che tengono famiglia allargata.