Tutti o quasi tutti conoscono l’antica leggenda romana degli Orazi contro i Curiazi: tre fratelli contro tre fratelli rappresentanti di città rivali, in un combattimento all’ultimo sangue, in cui l’astuzia tattica trionfa sulla forza bruta. L’unico superstite Orazio, riesce a dividere i due Curiazi rimasti a combattere dopo il primo scontro, e affrontandoli uno per volta trionfa, interpretando a suo modo l’altro classico motto: divide et impera. In fondo e in modo estremo l’Orazio superstite intuisce al contrario uno dei concetti essenziali della resilienza: più specializzi, più rischi di essere debole di fronte al cambiamento. E i Curiazi presi uno per uno sono appunto assai più deboli e pronti a soccombere, così dispersi sul territorio anziché concentrati in piccola compatta falange. Certo le cose non sono proprio così semplici come schematizzato, perché specializzarsi, individualizzare, vuol dire anche esprimere in altri sensi maggiore efficacia. Ed efficacia, efficienza, è quello che si è inseguito nei secoli della nostra evoluzione in civiltà industriale e dei consumi, tanto ben riassunta nella sua “filosofia” (virgolette quantomai d’obbligo) dalla metafora della macchina per abitare, produrre, svagarsi, spostarsi eccetera eccetera, diventata legge in tanti aspetti della nostra vita, non solo per quanto riguarda lo zoning.
Patchwork fuori scala
Quella della suddivisione per zone omogenee detta zoning, però è un’ottima metafora utile a leggere altri aspetti forse più complicati e sfumati del nostro lento obliterare la complessità, forse convinti di discendere in esclusiva dall’Orazio vincente. Ora, c’è sicuramente una ottima intuizione alla base delle primissime destinazioni di zona omogenee, non dissimile da quella di chiunque quando predisponendo un campeggio organizza il falò, le latrine, le cucine, gli spazi per dormire e di ritrovo, in forma specializzata, separata, e in rapporto a quanto sta attorno (per esempio il falò lontano dai cespugli ai margini della radura, le latrine sottovento e più in basso). Ma poi arriva il mitico mercato, anzi era addirittura arrivato prima, se consideriamo come nonostante esistano precedenti illustri, l’ordinanza originaria di zoning sia considerata quella di New York del 1916. Redatta dall’avvocato Edward M. Basset (1863-1948) ha come fine principale dichiarato proprio quello di proteggere il mercato immobiliare dalle eccessive esuberanze delle trasformazioni edilizie, con grattacieli a incombere su quartieri di villette, giardini confinanti con puzzolenti ciminiere e compagnia bella. Ma appunto questo mercato funziona esattamente come la macchina dentro cui si cala, e tende a una eccessiva specializzazione. Quelle chiazze della città arlecchino multifunzionale, specie quando si liberano delle pastoie degli isolati urbani, distendendosi nel territorio di frontiera dello sprawl, si fanno enormi, incomprensibili e inquietanti.
Il difetto sta nel manico
Cosa vuole per la sua circoscrizione, un tizio dagli orizzonti limitati che però è stato eletto alla massima carica di potere da concittadini altrettanto limitati? Una felicità esclusiva, vuole, ovvero che tutti siano identici agli altri, con le medesime aspirazioni. Lo zoning gli consente di tradurre questo sogno in solido cemento, e proiettarlo nel futuro prevedibile: case più o meno identiche, con giardini più o meno identici perché così prevede il piano regolatore, abitate da gente più o meno identica perché lavora da quelle parti guadagnando più o meno lo stesso reddito. Il poco che resta da definire lo fanno gli agenti immobiliari, i codici stradali, le norme ambientali. In pratica tutta quella circoscrizione, coi limiti di risorse gestibili, diventerà una chiazza omogenea. Ma torniamo un attimo indietro, all’idea originaria di Basset di allontanare la ciminiera dal giardino, perché l’una puzza e l’altro si svaluta con la puzza: cosa c’è che non va? C’è che esiste non solo una distanza minima da rispettare, ma anche una distanza massima, fra le due cose “incompatibili” nel mondo artificioso a vasi non comunicanti. Una distanza che l’ambiente urbano tende in un modo o nell’altro a regolare da solo, ma questa autoregolamentazione salta nel territorio della dispersione, mettendo barriere insuperabili fra residenza e attività produttive. Il muro non è una catena di montagne, o un fiume, e nemmeno la distanza fisica in sé: paradossalmente, è ancora quello del mercato, ovvero che spostarsi da casa al lavoro, nella logica dello zoning monofunzionale, finisce per costare troppo. Ecco cosa stanno scoprendo via via sempre più studi: le fosche previsioni dei critici, che si ammucchiano inascoltate almeno dagli anni ’30 dei primi vagiti “contro la città industriale”, arrivano al dunque. Come spiega eloquentemente l’allegato studio della Brooking Institution: la città macchina e il cosiddetto mercato praticano in quel modo il loro divide et impera, faremo la fine dei Curiazi?
Riferimenti:
Elizabeth Kneebone, Nathalie Holmes, The growing distance between people and jobs in metropolitan America, Brookings Institution, marzo 2015