Forse non esiste un ambito più evidente del mitico «mercato», a saperlo interpretare, in cui si manifestano aspirazioni collettive, pur magari in forma confusa e contraddittoria. Ovviamente queste aspirazioni collettive sono solo una materia prima, una forza della natura eventualmente da imbrigliare e orientare verso obiettivi specifici, così come accade da sempre a chi ha qualche idea di respiro sufficiente. Il commercio contemporaneo nel suo rapporto con lo spazio fisico da sempre incanala il cittadino-consumatore in un duplice flusso, o almeno in due forme diverse di equilibrio dei flussi, che condizionano in modo determinante la qualità urbana e dell’ambienta extra urbano. Il più vistoso è forse quest’ultimo, il regno dello shopping mall automobilistico che ha «risolto» a suo modo con la migliore efficienza meccanica il fondamentale interfaccia tra consumatore virtuale e consumatore reale, circondando negozi e relative casse con la camera di decompressione dei parcheggi. Sta infatti qui, tutta l’idea geniale maturata in parecchi anni di sperimentazioni (almeno dai primi anni ’20 sino alla formalizzazione definitiva nei ’50 che viviamo ancora oggi) sui contenitori commerciali in epoca di rampante automobilismo: chi materialmente spende i soldi in prodotti e servizi, per entrare in contatto diretto con essi deve forzosamente uscire dall’abitacolo, e la camera di compensazione garantisce di farlo nel modo più comodo e gradevole possibile. Ci sono poi quelle contraddittorie esperienze sull’altro equilibrio di flussi, che si svolgono nel tessuto fitto della città tradizionale e si riassumono nella figura del pedone.
Il pedone e il cittadino consumatore
Ecco, forse non a tutti capita di pensare che dentro un centro commerciale tradizionale a scatolone più parcheggio, si verifica una miracolosa quotidiana transustanziazione: l’automobilista diventa pedone, ovvero smette di essere appendice meccanica per recuperare in pieno tutte le proprie facoltà umane, inclusa (quel che importa agli operatori) la capacità di spesa. Nella città tradizionale, da sempre, questa perfetta transustanziazione viene impedita dallo spirito maligno della densità di flussi incrociati, tra mezzi, obiettivi, velocità, quantità e qualità. Tutti i progetti, provvisori o permanenti, di aree pedonalizzate che si susseguono dalla seconda metà del ‘900 ai nostri giorni, se da un lato ruotano ufficialmente attorno all’idea di recuperare la cosiddetta «città a misura d’uomo», in realtà si misurano con un enorme handicap iniziale proprio col medesimo obiettivo. Perché quella stessa città è stata resa via via in un modo o nell’altro a misura di mezzo meccanico, vuoi da trasformazioni fisiche come quelle della carreggiata, vuoi da cambiamenti normativi e di abitudini. Che le pedonalizzazioni in sé (men che meno quelle cosiddette «dimostrative» delle giornate senza auto) lasciano intatte, salvo ritagliare nello spazio o nel tempo delle bolle di realtà virtuale, non dissimili concettualmente dallo scatolone shopping mall, ma senza l’indispensabile appendice di quella camera di compensazione dell’enorme, prossimo, disponibile, gratuito parcheggio. Molto di più realizza invece il concetto di spazio urbano condiviso introdotto dall’ingegnere dei trasporti olandese Hans Monderman a partire dalla fine degli anni ’60, ovvero all’alba della prima crisi petrolifera che vedrà messo in discussione il modello automobilistico universale. Dal punto di vista che ci interessa, ovvero della qualità urbana e di equilibrio tra flussi, uno spazio condiviso in buona parte, pur solo localmente ma molto efficacemente, recupera la totale centralità del pedone pur senza abolire il flusso veicolare, ma adeguando invece le velocità e le precedenze all’essere umano, o cittadino-consumatore che dir si voglia.
Shopping mall virtuale o credibile simulacro di città
Ci sono molte tendenze in divenire nelle nostre aree urbane, che paiono aumentare il ruolo reale o potenziale degli ambiti di circolazione condivisa, fra queste anche la de-specializzazione terziaria di molti distretti centrali storici, con l’introduzione o reintroduzione di un mix più ricco e vario, tale da stimolare flussi molto più diversificati di quelli tradizionali, ruotanti attorno alle ore di punta degli uffici. Dello sbarco della catena di caffetterie internazionale Starbucks si è molto polemicamente parlato per via della sponsorizzazione della «aiuola di palme e banane» in Piazza del Duomo a Milano, ma quasi per nulla del ruolo di rivitalizzazione urbana che avrà la localizzazione fisica del locale, nell’adiacente Piazza Cordusio. Si tratta di un nodo di primaria importanza, forse di per sé ancora più interessante dello slargo della cattedrale, dato che si colloca sull’asse verso il Castello e il Parco Sempione, ormai classico passeggio commerciale e cittadino. La dismissione delle attività terziarie negli edifici che si affacciano sulla piazza, introducendo nuovi inquilini e flussi, rende ancor più inaccettabile oggi il suo ruolo di nodo di traffico veicolare certamente rallentato, ma del tutto pervasivo, e al tempo stesso inevitabile dato che si tratta del principale passaggio trasversale per auto, bus, e (soprattutto) tram, nonché di interscambio con la stazione della metropolitana. L’occasione dell’insediamento Starbucks ha sollecitato una serie di proposte di riorganizzazione architettonica degli arredi, del vasto slargo, ma se è vero ancora che «la forma segue la funzione» (così almeno si diceva un tempo), probabilmente questi arredi ripensati potrebbero, dovrebbero, accompagnarsi a un ridisegno della piazza per quanto riguarda i flussi di attraversamento, proprio nel segno dello shared space: a ricondurre a una relativa unitarietà il percorso parzialmente pedonalizzato dall’area del Duomo verso il Castello, a costruire un ambiente adeguato antistante le nuove funzioni di servizio insediate nella piazza, valorizzandole ed accompagnandosi di sicuro alle preferenze degli utenti, infine sperimentando in uno spazio adeguato quanto simbolico questa nuova forma di gestione del traffico, che si spera possa essere estesa anche altrove.
Qui il blog milanese Urbanfile propone le citate «trasformazioni di arredo», nell’articolo Qualche considerazione su Piazza Cordusio