Dai tempi di Ippodamo di Mileto, di Vitruvio, o se vogliamo arrivare a epoche più recenti dei vari manualisti rinascimentali, le forme della città intrattengono forzosamente un rapporto molto organico con la geografia, l’ambiente, i venti dominanti, le acque, il clima. Solo l’utopia industrialista ha consentito di staccarsi in tutto o in parte da questi antichi precetti, grazie alla possibilità (per molti versi benedetta possibilità, sia detto) di approfittare dell’energia, imbrigliata in varie forme e convogliata nei motori, nelle trasformazioni, nei condizionamenti e manutenzioni, così da imporre sul territorio forme prima o impensabili, o insostenibili. Così come accaduto per le emissioni di gas serra nell’atmosfera, pare però che anche nelle forme urbane si sia via via raggiunta e scavalcata una soglia, oltre la quale per così dire i costi superano di gran lunga i benefici, o meglio ancora si capisce che quei benefici non sono affatto tali. Detto in altre parole, siamo ancora dalle parti dell’autocritica alla città-macchina, sviluppata e gonfiata all’inverosimile con l’occhio e il cervello tutti rivolti a un modello di efficienza che non teneva nel debito conto variabili fondamentali, come la capacità di autoregolazione termica, che vuoi in alcune situazioni climatiche, vuoi nei cambiamenti in corso a carattere planetario (l’aumento delle temperature e gli eventi estremi) o sociale (la virtuosa diffusione degli spostamenti a piedi per strada), diventa sempre più un problema chiave.
Un progetto di suolo equilibrato
Esistono cose come la densità edilizia, i carichi urbanistici, gli standard a verde, le unità organiche di quartiere concepite sulla base delle distanze, ovvero componenti del tutto tradizionali e consolidate dell’idea di città moderna, che si cimentano piuttosto empiricamente e imperfettamente tutte col medesimo equilibrio tra pieni e vuoti. Un equilibrio a cui però, a differenza dell’omonimo cugino «gioco sapiente» architettonico, non basta l’intuito e la sensibilità di un progettista, dato che deve essere raggiunto bilanciando permeabilità dei suoli e temperature. Quindi alla base di tutto occorre stabilire un obiettivo e costruire un modello spaziale di massima che gli corrisponde, da adeguare poi alle funzioni e al contesto. Peccato che ad oggi, come ammettono i ricercatori, se ne sappia troppo poco dei rapporti esatti tra forme urbane, necessariamente piuttosto eterogenee, ed equilibri ambientali e termici, e da qui discenda la quasi totale improvvisazione quando si tratta di urbanistica ecologica o politiche di sostenibilità. E abbiano quindi in sostanza buon gioco praticamente monopolistico, quelle scelte discrezionali (magari in malafede e per interessi inconfessabili) dove dietro la generica misura d’uomo o resilienza o chissà cosa, si peggiora anziché migliorare l’impatto del costruito sul sistema naturale. Ma oggi pare sia possibile almeno iniziare a svilupparlo, un modello di verifica e riferimento adeguato.
La eco-città oltre lo slogan
Molti ricordiamo quando la parola «ecologia» venne di recente usata da un governo britannico per provare a lanciare una generazione di new town, rapidamente e fortunatamente affondate nelle contraddizioni. Contraddizioni a dir poco, perché era proprio il modo pasticciato (o addirittura ideologico e un po’ in malafede) di affrontare i temi ecologici, dal consumo di suolo alla mobilità agli impatti energetici e alle emissioni, a determinare il fallimento già sulla carta di gran parte dei progetti. In pratica, non si erano fissati seriamente obiettivi generali, né si faceva riferimento a modelli scientifici come quello che relativamente alla termoregolazione urbana, al contenimento delle isole di calore, e al suo rapporto con le forme insediative, è stato elaborato da un gruppo di lavoro internazionale a prevalenza cinese, e messo a punto per la regione di Pechino, prendendo in considerazione l’equilibrio tra superfici impermeabilizzate e non, il verde, le acque. Ne emerge abbastanza ovviamente e prevedibilmente, che là dove è maggiore la quota di aree edificate le temperature aumentano, ma che è spesso possibile favorire la dispersione del calore col verde e con le acque, e dunque esistono ampi spazi per una vera e propria progettazione formale con contenuti scientificamente ecologici.
Riferimenti:
AA.VV. An Eco City model for regulating urban land cover structure and thermal environment, Science China / Earth Sciences, vol. 60 n. 6, giugno 2017 (pdf da Drive/Città Conquistatrice)