In un freddo fine settimana di metà settembre le dune battute dal vento su Ocean Beach a San Francisco incombono sulla Great Highway: due corsie per senso di marcia che scorrono lungo la costa del Pacifico da nord a sud e viceversa separate da una striscia di sabbia piantata a specie locali. Su un tratto delle corsie verso il mare rimbomba il dee-jay set dello Autumn Moon Festival. Passano stormi di uccelli gracchianti in cielo, strillano i bambini mentre giocano sulle dune o scarabocchiano col gesso l’asfalto. Dalla cime delle collinette di sabbia tra cespugli si possono guardare le grandi navi container che escono dal varco del Golden Gate per entrare dentro un banco della famosa nebbia locale. Una serata di compromesso. Nel pieno della pandemia COVID-19 la città di San Francisco ha chiuso la Great Highway, facendone una passeggiata pedonale, così come in tante altre città sono state bloccate al traffico altre vie perché la gente potesse girare più liberamente, e resistere al lockdown chiusi dentro casa. Quando la segregazione si è attenuata e si è tornati verso la vita normale nel 2021, l’amministrazione gradualmente ha riaperto quella strada salvo i giorni festivi e nei fine settimana, da mezzogiorno di venerdì alle sei del mattino di lunedì. Gi automobilisti a usare solo le strade più larghe di San Francisco, mentre pedoni pattinatori e ciclisti si godevano l’aria aperta.
Poco lontano dal margine della strada, Joel Engardio sta in cima a una delle dune di sabbia più, in giacca nera e blue jeans, a a guardare quei suoi concittadini che affollano lo spazio per la tradizionale Danza del Leone cinese. Lo Autumn Moon Festival è solo un piccolo esempio di ciò che Engardio, consigliere del San Francisco Board of Supervisors, vorrebbe vedere più spesso. Quando i cittadini andranno alle urne a novembre, si esprimeranno sulla sua Proposition K, per la chiusura permanente di una striscia di tre chilometri della Great Highway, trasformata così in 800 ettari di spazi per il tempo libero. «Sta diventando il terzo parco più frequentato di tutta San Francisco, senza investirci neppure un centesimo» spiega Engardio, la cui circoscrizione amministrativa copre oltre una ventina di isolati verso l’entroterra rispetto al tracciato della Great Highway. «Non c’è nulla di particolare salvo mettere dei blocchi e chiudere al traffico nei fine settimana».
Certo pare una cosuccia da poco trasformare una strada in qualcosa che non è una strada, siamo a San Francisco, ma anche in una città progressista come questa Prop K ha faticato parecchio ad emergere. Gli oppositori hanno tenuto campagna per osteggiarla, sostenendo che aumenterà i tempi di percorrenza per chi è obbligato a spostarsi e colpirà anche tutte le attività commerciali affacciate sulle trasversali. I favorevoli credono invece che aumenterà il traffico pedonale, ciclabile, arriveranno turisti, e le attività ne trarranno beneficio. E poi fare un parco della Great Highway migliora la resilienza al livello del mare che si alza, quando alcuni calcoli per la Baia danno questo sollevamento a oltre un metro e mezzo verso fine secolo. Oltre a diminuire le emissioni dei veicoli in transito, che incidono sul cambiamento climatico. «Votiamo la proposta perché cambiare è sempre difficile – commenta Engardio – ma è il modo più trasparente e democratico per risolvere questo tipo di conflitti e dar voce a tutti. La costa appartiene a tutti i cittadini di San Francisco, non a un singolo automobilista o a un ciclista e neppure a un solo quartiere».
Ciò che appare come piccola polemica locale è in realtà emblematico di una battaglia sul futuro di tante città costiere americane. Perché gli ingegneri non sfruttano un po’ meglio le infrastrutture naturali come le barriere di dune sabbiose invece di spendere tutti quei soldi in barriere artificiali contro l’oceano che sale? E i progettisti che proseguono a concepire spazi per l’automobile così come si è fatto per un secolo, invece di sostenere chi si sposta a piedi o in bicicletta? Come riconciliare natura e bisogni dei cittadini? San Francisco scoprirà presto cosa preferiscono quei cittadini, e altre città seguiranno. Due giorni dopo l’evento sulla spiaggia, Heidi Moseson passeggia sul percorso sopra il tratto nord delle corsie della Great Highway. È vicepresidente dell’associazione Friends of Great Highway Park, a sostegno di Prop K. Maglioncino leggero e cappello di lana ha tutta l’aria di una frequentatrice abituale della spiaggia, non certo lo stereotipo del surfista californiano ma di sicuro nella media urbana di chi popola Nob Hill o Pacific Heights in centro a San Francisco.
Tardo pomeriggio di lunedì, auto e moto che passano a sciami, a seconda dei ritmi dei nove semafori e attraversamenti pedonali che consentono di accedere alla spiaggia. Durante il lockdown, spariti i veicoli, la famiglia di Moseson ha sostituito una delle auto di casa con una e-bike. «Sembra una di quelle storie un po’ standard inventate ma è un vero esempio: si cambia il campo e nascono anche nuovi pedoni e ciclisti per spostarsi».
Rese meno rigide le restrizioni il blocco della Great Highway è rimasto solo nei fine settimana e festivi, col programma di riaprire totalmente il 31 dicembre 2025. Allora Moseson e altri hanno iniziato a riflettere: perché non chiudere permanentemente? A San Francisco si vota, e alle prossime elezioni di novembre si deciderà cosa fare della Great Highway, se restituirla alla sua vecchia funzione. «Ascoltiamo gli elettori – premette Moseson – se si vince si manda un messaggio di speranza piuttosto forte e la smettiamo di parlare sempre tra noi di piccole faccende». La Prop K non dice una sillaba sulle specifiche del parco al posto della Great Highway. Potrebbe significare un po’ di spazi per giocare, installazioni d’arte, o anche un anfiteatro per gli spettacoli. Si vota solo per chiudere quelle corsie a automobili, camion e moto, salvo veicoli di emergenza e servizio. E senza bloccare l’intero percorso di quasi sei chilometri, ma soltanto il tratto di tre senza sbocchi.
Ma i contrari sono convinti che anche chiudere solo quel tratto penalizzi troppo il traffico proveniente dal Richmond District più a nord. «Le norme attuali nascono da un compromesso che ha trovato consenso, ma si vuole estremizzare chiudendo tutto» commenta Matt Boschetto, candidato consigliere della circoscrizione confinante a quella di Engardio, e membro del gruppo Per Tutti: No Prop. K. «Non c’è nessun progetto di parco. E credo sia di proposito perché non vogliono nessun parco, solo chiudere alle auto e usare quello spazio». Difficile riuscire a parlare con questi oppositori. Richie Greenberg, che ha sostenuto i contro Prop K alla consultazione, ci rinvia a Boschetto. Un’altra associazione, Open the Great Highway, non vuole commentare dopo ripetute richieste. L’ufficio di Connie Chan, consigliera di maggioranza del Richmond District non molto favorevole alla chiusura ai veicoli, pure non risponde.
San Francisco brulica di turisti tra il ponte Golden Gate, Union Square, al Golden Gate Park, e l’idea con Prop K è di attirarne anche verso Ocean Beach. Il che favorirebbe tante attività commerciali, dai ristoranti ai bar alle boutique nelle vie laterali. Ma a sentire Boschetto, abitanti e attività sarebbero penalizzati dalla chiusura della Great Highway, diventando più difficile per i residenti delle zone Richmond e Sunset spostarsi dall’una all’altra. «E danneggiando tutti gli esercizi» (Albert Chow, presidente dell’associazione commercianti contraria alla chiusura People of Parkside Sunset, non ha voluto rilasciare dichiarazioni). Jeremiah Boehner, veterano dell’esercito che si presenta contro Chan come presidente della circoscrizione Richmond, pensa che Prop K renderà più difficile agli abitanti di San Francisco raggiungere il VA Medical Center. «Lo si può già notare quando chiude la Great Highway il venerdì quell’effetto negativo sul traffico. Ho parlato sia con chi lavora al centro medico che con altri colleghi veterani utenti che hanno visto drasticamente crescere i tempi di percorrenza».
I favorevoli alla proposta sostengono che comporti soprattutto vantaggi. Per le proprietà lungo la Great Highway, un parco può significare un incremento dei valori immobiliari, spiega Mark Jacobsen, economista esperto di trasporti all’Università della California di San Diego. Per non parlare degli altri vantaggi per la salute e il benessere fisico e psicologico – e risparmi in cure – più difficili da calcolare: però di sicuro meno gente in macchina significa più gente che si muove fisicamente per spostarsi. Sostituire un viaggio in auto con uno in bicicletta non riduce solo le emissioni di gas serra che scaldano il pianeta, ma anche l’inquinamento, acustico o di micropolveri che avvelenano l’aria di città. «In generale, verde e spazi aperti hanno più benefici che costi» commenta Jacobsen.
Qualche spunto su cosa potrebbe diventare in futuro la Great Highway già lo si può vedere poco distante sulla JFK Drive. Che si snoda lungo tutto il Golden Gate Park — già di per sé 400 ettari di prati, musei, campi sportivi, laghetti e addirittura un recinto di bisonti – e termina alla Great Highway. Durante la pandemia, la città ha chiuso la parte orientale della JFK ai veicoli privati sette giorni la settimana per far sgranchire un po’ le gambe ai cittadini di San Francisco. Alla consultazione del 2022, il 65% dei votanti ha respinto la proposta di riaprirla alle auto e chiesto invece che fosse la Great Highway ad essere riaperta del tutto. «Una valanga di consensi al NO a riaprire» ricorda Engardio.
Adesso in qualunque fine settimana si può pedalare da Haight-Ashbury al margine orientale del Golden Gate Park per circa un paio di chilometri della Passeggiata JFK: tra installazioni d’arte, chioschi di vino e birra, pianoforti che è possibile strimpellare. Tagliando per un’altra via pedonalizzata e usando le piste ciclabili protette di un’altra ancora, ci si avvicina a Ocean Beach verso la Great Highway, incrociando raramente veicoli con cui condividere la strada per sette chilometri abbondanti. Se si approva Prop K, potrebbe diventare una condizione fissa a San Francisco: un parco Great Highway a collegare il Golden Gate Park e Lake Merced a sud, per 800 ettari di verde pubblico continuo.
E non si tratta soltanto di un enorme campo da gioco per San Francisco, perché secondo parecchi studi si potrebbe così diminuire il traffico e gli ingorghi spingendo più persone a spostarsi anche per lavoro su quella tratta anziché in auto verso il centro, spiega Jason Mark Henderson, esperto di ciclabilità urbana della San Francisco State University. Le ricerche confermano che più si migliorano le strutture per le biciclette più persone scelgono quel mezzo, diminuendo l’impronta ecologica. È un processo circolare che si autoalimenta. A New York City e Washington, D.C., per esempio, gli spostamenti pendolari in bicicletta sono raddoppiati fra il 2009 e il 2014 grazie a migliori strutture e piani di bike-sharing. Tra il 2020 e il 2023, la spesa per mezzi e accessori degli Stati Uniti si è impennata del 620%. La diffusione di e-bike — un mercato che si prevede in crescita del 15,6% l’anno da qui al 2030 — ha attirato anche chi esitava per le distanze un po’ lunghe o le pendenze o perché limitato da qualche disabilità. «E più gente sperimenta quel tipo di spostamento più vorrebbe diffondere in tutta la città percorsi e strutture» conclude Henderson.
Il 18 aprile 1906, un terremoto di magnitudine 7,9 scuoteva San Francisco innescando incendi che l’avrebbero rasa al suolo distruggendo quasi 30.000 edifici. La più densamente popolata area orientale della città fu del tutto cancellata, obbligando le persone a rifugiarsi verso la costa del Pacifico. Poi il calesse tirato dai cavalli cedette il posto all’automobile, e per muovere tutti quei piloti verso Ocean Beach fu realizzata la Great Highway nel 1929. nei decenni che seguirono San Francisco, come tante altre città americane, venne letteralmente affettata dalle freeway. Il grande progetto del Federal-Aid Highway Act, approvato con la legge del 1956, voleva sostituire arterie insicure e accelerare gli spostamenti tra i grandi centri su una rete nazionale di sessantamila chilometri interstate, abbastanza funzionale. Ma che scaricava sui quartieri urbani anche inquinamento, oltre a tagliarli fuori a volte dal resto della città. Spesso penalizzando i quartieri già poco serviti.
«Abbiamo cambiato le città americane negli anni ’50 e ’60 facendo passare le autostrade interstatali nel cuore delle aree centrali» spiega Megan Kimble, autrice di City Limits: Infrastructure, Inequality, and the Future of America’s Highways. «Ma potremmo anche altrettanto facilmente eliminarle». Si può pensare che le città non siano molto plasmabili visto che sono letteralmente fatte di pietra. E decenni or sono, San Francisco ha fatto molto più che non chiudere qualche via al traffico: la Embarcadero Freeway costruita negli anni ’50 a collegare il Bay Bridge sulla costa orientale al Golden Gate Bridge su quella settentrionale. Mai arteria troppo amata,una bruttura incombente sulle vie cittadine, l’amministrazione ne propose la distruzione a metà anni ’80, bloccata dagli elettori che temevano potesse aumentare il traffico.
Intervenne poi un evento naturale nel 1989, quando il terremoto Loma Prieta colpì l’area della Baia. Sull’altra sponda a Oakland, crollò un pezzo della freeway con 42 vittime. La Embarcadero Freeway sopravvisse ma compromessa, fino alla chiusura definitiva nel 1991 con la demolizione. Al suo posto un vivacissimo viale ancora aperto alle auto, ma molto fruibile anche da pedoni e ciclisti. L’uso dei mezzi pubblici cresceva del 15%, come nota Kimble nel libro. Oggi l’Embarcadero è uno dei gioielli della città, con Ferry Building e Fisherman’s Wharf ad attirare folle di turisti. Molte altre città americane hanno demolito le proprie freeway che segregavano i quartieri. Rochester, New York, ha eliminato una strada 2014 sostituendola con case ad appartamenti, alberi, piste ciclabili. Portland, Oregon, ha trasformato una riva del fiume da strada a parco di sponda negli anni ’70.
Se si chiude una via alle automobili, la si apre alle persone, a molte persone. A Milwaukee, la Park East Freeway, eliminata nel 2002, oggi contiene edifici residenziali e commerciali, e uno stadio per la squadra cittadina di pallacanestro, i Milwaukee Bucks. Ma spesso ci vogliono battaglie per arrivarci. Da assessora newyorchese alla mobilità nel 2007-2013, Janette Sadik-Khan si è impegnata per rendere la metropoli un posto più sicuro per pedoni e ciclisti. Nel 2009, l’amministrazione ha sbarrato un pezzo di Times Square alle auto, rendendo poi il divieto permanente. Provvedimento molto contestato all’epoca, con le compagnie di taxi e altri esercizi che lamentavano il pericolo di peggiorare il traffico e diminuire il passaggio delle persone. Ma negli anni seguenti, gli incidenti ai pedoni con feriti sono diminuiti del 40% e gli incidenti tra veicoli del 15%. Nelle giornate più affollate da Times Square passano a piedi oltre 400.000 persone. Secondo gli esperti le cifre parlano chiaro: meno spazio per le auto rende le vie più sicure per pedoni e ciclisti e diminuisce il traffico. «Vediamo in sempre più città del paese che quando si chiude una importante arteria cambia tutta la mobilità» osserva Kimble. «Gli studi confermano che diminuendo la capacità della via diminuiscono gli spostamenti veicolari. La mobilità funziona molto bene secondo il criterio domanda-offerta».
Ma anche nelle città più progressiste, e anche con la pandemia che ha spinto per realizzare spazi più adeguati a ciclisti e pedoni, l’automobile rimane comunque un aspetto fondamentale della vita urbana. A giugno, la governatrice di New York, Kathy Hochul, Democratica, ha bloccato un annoso sistema di congestion charge che avrebbe comportato una piccola tassa di ingresso per Lower Manhattan. Si vede che Democratici e Repubblicani pur l’uno contro l’altro su tantissimi temi in un paese dove oltre il 90% delle famiglie possiede almeno un’auto considerano il veicolo privato una assoluta priorità. «È dentro l’idea di prosperità nazionale corrente che qualunque cittadino debba poter guidare una propria auto ovunque in qualunque momento» commenta Kimble. «Tanti altri paesi e città oggi dimostrano che i mezzi pubblici creano ricchezza e benessere. E la cosa vale soprattutto per le famiglie a basso reddito». Per ogni dollaro investito nei mezzi pubblici, se ne producono cinque e si creano 50.000 posti di lavoro.
Per contro le automobili sono costose, per le città e i cittadini. Amministrazioni statali e locali spendono oltre 200 miliardi di dollari ogni anno tra costruzione gestione manutenzione di strade. Kimble sottolinea come una famiglia media nella auto-centrica Houston, Texas, spenda quasi un quinto del proprio reddito di 60.000 dollari per la mobilità. E se le auto sono dispendiose per le famiglie sono le freeway su cui viaggiano ad essere dispendiose per le città, non parliamo neppure di quelle lungo coste che vanno erodendosi rapidamente. Appare sempre più chiaro che una politica di adeguamento climatico non può basarsi esclusivamente su barriere di sponda. In primo luogo perché con l’aumento di livello dell’oceano diminuisce la sabbi su cui i frangiflutti si appoggiano rendendoli molto meno stabili. Per esempio a Miami, si è scelto di usare invece le mangrovie in grado di assorbire naturalmente le mareggiate.
Prima della generale costruzione e impermeabilizzazione delle superfici, San Francisco era sabbia, ancora sabbia, ancora sabbia, estesa su tutta la penisola. L’acqua si raccoglieva nelle «pozze di duna» e attirava coyote, uccelli, conigli. Crescevano erba e cespugli a comporre un habitat per piccoli insetti. La sabbia si muoveva continuamente, «dune vaganti», e nei primi tempi ciò rendeva parecchio difficile costruire case a San Francisco. Su Ocean Beach, la sabbia era sospinta nell’entroterra, a creare piccole gobbe con vegetazione. Queste dune vaganti si trasformavano in qualcos’altro, accumulando nuova sabbia trattenuta dalla vegetazione, oppure lasciando che il vento le erodesse, per ricrescere ancora lì o altrove. Più di ogni altra cosa è la sabbia ad aver composto San Francisco. «Si trattava di un tipo di ecosistema dinamico assai più complesso di quello che c’è oggi a Ocean Beach» dice Ellen Plane, coordinatrice di ricerca al San Francisco Estuary Institute, che ha pubblicato uno studio l’anno scorso in cui si invita ad esaminare diversi spunti di gestione dell’area, se viene approvata Prop K oppure no.
Ocean Beach è imprigionata tra le costruzioni. La Great Highway — delimitata dai frangiflutti — ha contenuto le dune. L’asfaltatura funge da armatura, spiega Plane: «molte infrastrutture rigide che definiscono la linea di costa e impediscono la mobilità delle dune». E la Great Highway spinge così direttamente sulle dune che spesso la sabbia trabocca sulla carreggiata, i trattori devono rimuoverne periodicamente dei mucchi dalla superficie. Questo accumulo è così abbondante che a partire dal 2020 l’amministrazione ha dovuto chiudere al transito la strada fino a 65 volte l’anno ogni volta vari giorni. Con notevoli esborsi di denaro. Un calcolo pubblicato in agosto del San Francisco’s Controller’s Office (principale ente finanziario e di bilancio dell’amministrazione) stimava che approvando Prop K si potrebbero risparmiare un milione e mezzo di dollari subito, e 350.000-700.000 l’anno poi in gestione e manutenzioni, tra cui asfaltature e rimozione della sabbia. La non sostituzione e aggiornamento della segnaletica stradale poi farebbe risparmiare altri 4,3 milioni.
Una Great Highway definitivamente chiusa e adibita a diverse funzioni va comunque incontro ad altri costi secondo il medesimo Ufficio, come la raccolta dei rifiuti o i guardiaparco, oppure l’installazione di una diversa segnaletica, e le modifiche alla viabilità minore per diversi flussi di traffico. Servono anche addetti per liberare dalla sabbia i percorsi, riflette Moseson, ma nulla di paragonabile al lavoro necessario per la carreggiata.
Non si capisce però cosa dovrà eventualmente gestire la città, dato che non si vota un progetto di parco, un fatto che preoccupa i critici di Prop K. «Se si legge il testo del quesito è scioccante quanto poco dica» commenta Boschetto. «L’unica cosa concreta è il chiudere ai veicoli privati, non ci sono fonti di finanziamento per la gestione, è incredibile». L’amministrazione cittadina ha un progetto per il tratto più meridionale della Great Highway dove già è perduta la battaglia contro l’innalzamento del mare e una gravissima erosione. Il chilometro e mezzo del San Francisco Zoo sarà chiuso entro l’inizio del 2026. La carreggiata sarà sostituita da percorsi multi-uso con una piazza sul mare. Il progetto in buona parte è legato al depuratore d’acqua accanto allo zoo da proteggere dall’erosione, ma anche la tutela delle dune serve come barriera al mare che sale.
Gli automobilisti già perdono accesso a un bel tratto di Great Highway. Prop K semplicemente allarga quel processo a nord. Una stima di due diversi uffici cittadini calcola che chiudere l’arteria nelle ore di punta dei giorni lavorativi – come succede per la rimozione della sabbia – e deviare il traffico aggiunge tre minuti in tempo di percorrenza. Secondo gli uffici il traffico si dirige verso un viale a sei corsie più a est di un paio di chilometri, ma gli oppositori a Prop K replicano che in realtà le auto si riversano nelle laterali intasandole. L’amministrazione nota come il traffico medio quotidiano sulla Great Highway è inferiore del 38% rispetto a prima del COVID, 18.000 auto in meno di impiegati dell’area occidentale che lavorano da casa (qui Boschetto contesta i tre minuti in più; gli abitanti della zona Richmond «potrebbero dirle che è tutto falso come possono toccare con mano»).
Passa meno gente sulla grande arteria oggi, mentre ne arriva di più nei fine settimana quando il traffico è bloccato. Nel 2023, 420.000 visitatori hanno passeggiato, pedalato, corso. Soltanto l’ultimo ottobre, in 10.400 hanno partecipato a un evento per Halloween, e altri diecimila a una gara di corsa per dilettanti. «Credo che la pandemia pur in modo contorto abbia indicato un percorso per cambiare le cose – racconta Moseson – e farlo da un momento all’altro, spostarsi in un modo diverso». Che passi o meno Prop K, San Francisco deve competere con l’oceano per la costa, col vento che spinge la sabbia nell’entroterra. Lo studio di Plane per il San Francisco Estuary Institute suggerisce di piantare specie locali di arbusti tra le dune per trattenere la sabbia,ed è una cosa che l’amministrazione può fare comunque, parco o no. Si raccomanda anche di impedire l’accesso delle persone alle zone a duna, dato che danneggerebbero le piante che trattengono la sabbia. Causando i cosiddetti «blowout» quelli che fanno traboccare la sabbia sulla carreggiata.
Gli oppositori sostengono che tutti i miglioramenti sulla linea della costa possono avvenire anche senza convertire a parco la strada. «Credo che l’utilità della carreggiata superi di parecchio quella del verde – dice Boschetto – quindi se esistono soluzioni ecologiche per mantenere l’area ambientalmente sicura, come le piante native e le prevenzioni anti incendi teniamo la grande arteria e ci guadagniamo tutti». Ma secondo i sostenitori del parco col blocco del traffico e la conversione si può ripristinare anche il sistema delle dune vaganti oltre a restituire un insieme di strutture urbane e naturali. Le parti sabbiose chiuse al passaggio pedonale potranno produrre più vegetazione ed eventualmente essere tagliate da passaggi riservati e definiti. «Dobbiamo moltissimo a quelle dune – spiega Moseson – ma occorre lasciar spazio per consentire drastiche evoluzioni e avvicinarsi se non proprio ricreare le condizioni naturali». San Francisco, insieme ad altre città, sta lottando contro le primissime fasi di ciò che è inevitabile: i livelli del mare aumentano e condannano le strutture artificiali. Oggi le dune che sono un problema per la Great Highway potrebbero anche diventare una protezione. Il mare si rialza e quelle corsie potrebbero di nuovo riempirsi di auto, almeno nelle giornate in cui possono essere percorribili. Oppure l’area potrebbe riempirsi di installazioni d’arte panchine e diventare un parco: tutto dipende dal voto.
da: Grist, 31 ottobre 2024; Titolo originale: San Francisco’s surprisingly difficult quest to turn a century-old highway into a park – Traduzione di Fabrizio Bottini [Proposition K qualche settimana dopo questo articolo è stata approvata dai cittadini insieme a una serie di altri quesiti referendari locali con una maggioranza del 54,14% n.d.t.]