Tranquilli cittadini: nessuno vi vuole male, anzi!

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Foto F. Bottini

Bisognerebbe proprio cominciare così, dicendo a tutti che quando un architetto le spara grosse o sta scherzando, oppure è un cretino da non mettere in conto. Per spararle grosse si intende soprattutto lanciarsi in quelle fosche profezie su città future paranoiche fatte di torri smisurate, che come ormai abbiamo imparato abbondantemente a nostre spese, funzionano benissimo per il progettista, per il costruttore, e magari per chi abita negli ultimi tre o quattro piani. Il resto del mondo, la stragrande maggioranza a cui apparteniamo quasi tutti, si dovrebbe arrangiare, canticchiando la mitica Uno su mille ce la fa di Gianni Morandi, o per gli anglofili granitici My Way versione centrodestra Sinatra. Per forza, poi, appena si inizia a discutere di cose come l’ambiente urbano, la densità, la prossimità, roba così, si provocano immediate reazioni di violento rigetto, perché tutti pensano automaticamente alle temerarie sparate degli architetti. In realtà solo degli architetti che conservano quello sbrigativo metodo modernista di considerarsi asso pigliatutto di soluzioni meccaniche a un problema che meccanico non è.

Vado a vivere in campagna, cancellandola

Il buon Domenico Modugno quando cantava quasi mezzo secolo fa a San Remo “voglio dare un calcio a tutta la città” insieme ai Quattro più Quattro di Nora Orlandi (sic) non si rendeva conto del falso ideologico. Perché incappava suo malgrado nel medesimo equivoco degli architetti meccanicisti, facendo di ogni erba un fascio e bruciando allegramente il tutto: la città conteneva tra le altre cose il capufficio antipatico, gli ingorghi di automobili, l’aria resa troppo asciutta dai termosifoni, e tanto bastava per darle un sono calcione. A ben vedere sono stati in tanti a prendere come vangelo la canzoncina sanremese, andandosi a costruire la villetta coi sudati risparmi a qualche decina di chilometri da capufficio e termosifoni. Ma solo per ritrovarsi poi circondati dalle loro varianti geneticamente modificate, del piazzista di surgelati o aspirapolveri itinerante in furgone, con o senza megafono (è la versione moderna del canto degli uccellini), del traffico che invece di stare nelle vie urbane, adesso sta nell’unica via ex poderale asfaltata in qualche modo, o magari già modernizzata a sei corsie triplo guard-rail. Insomma dalla padella alla brace, salvo la soddisfazione ideologica, e pensare che bastava pensarci un attimo.

Densità

Pensare, cioè, che la parola densità non definisce nulla di definito, e men che meno è monopolio di architetti meccanicisti, del tipo che col sorrisetto saputello ti piazza sempre davanti la sua smisurata torre, facendoti rabbrividire alle note di Uno su Mille Ce la Fa. Densità è quel che ti sai costruire, da solo e con altri, contribuendo a città e quartieri come si dice a misura d’uomo (non mi viene in mente nulla di meglio, e uso questo luogo comune assessorile), dove quantità e qualità siano decentemente calibrate. Dove per esempio i famosi standard giustamente imposti dalla legge e che riguardano la quota pro capite di verde servizi eccetera, non siano interpretati in modo negativamente burocratico, fino a farsi odiare da progettisti – quelli goffi che non li capiscono – e cittadini. Se ci si riflette un istante, anche quella cosiddetta campagna dove sono scappati tanti ammiratori di Modugno, altro non è che una specie di città con degli standard autocalcolati, male, dai residenti. Calcolati tanto male che, almeno fino a quando non interviene qualche amministrazione illuminata, anche le ampie disponibilità di verde e spazi aperti sono meno che teoriche, addirittura invisibili oltre che inaccessibili, come si sa molto bene.

Programma piano e progetto

Ergo, per esempio quando si tuona contro lo spreco di suolo, prima di lanciarsi nel solito terrorismo psicologico delle tabelline (che confondono quasi tutti, salvo seminare appunto il terrore cieco e l’ammirazione per chi presenta il powerpoint), magari sarebbe utile riflettere un istante sulla proposta alternativa. Che non è certo la famosa campagna ideologica: quella anzi è il male, non la cura. Ma una elevata qualità urbana, fatta anche di spazi aperti a portata di mano (sono il contraltare ovvio di densità relative altrove), fatta di progetti che non scaraventano ovunque torri smisurate, liquidando qualunque osservazione critica col solito: “ma non vedi che facendo così si lasciano un sacco di spazi verdi?”. Sbagliato sbagliatissimo, perché tutti sappiamo da un secolo, circa, cosa sono in realtà quelle tabule rase verdi che compaiono negli schizzi razionalisti, ovvero il territorio di caccia di ogni funzione abusiva urbana, dalle bande al lavaggio auto alla discarica eccetera. E l’antidoto non è sguinzagliare l’esercito, come pensa certa destra, né un po’ di buona creanza, come pensano generazioni di vecchie zie e rubriche lettere dei quotidiani. L’antidoto è una buona e partecipata qualità dei progetti, con alle spalle una chiara idea di città da parte dell’amministrazione locale. Perché anche un ottimo metodo per concepire gli spazi fisici, come insegna ad esempio la recentissima esperienza della pedonalizzazione di Piazza Castello a Milano, provoca disastri o caricature urbane, se non è adeguatamente governato. Nel link, qualche considerazione in più sugli aspetti architettonici, ma quel che conta è che esista una “committenza” chiara e decisa.

Riferimenti:

Kaid Benfield, For smart growth, not all urban density is created equal, Switchboard (blog personale), 6 ottobre 2014l

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