Le pessime condizioni sanitarie delle periferie urbane, e dei territori rurali adiacenti, caratteristiche delle città americane e canadesi, derivano in gran parte dalla speculazione edilizia suburbana. Le lottizzazioni di terreni a scopo edificatorio nei periodi di crescita tumultuosa, si allargano verso le zone rurali circostanti le città per raggi da cinque a quindici chilometri o più, oltre i confini amministrativi. Nella carta dimostrativa si Vediamo la dimensione di questo processo nei casi di due città con circa 120.000 abitanti: Ottawa e Hull Se le densità fossero di 100 persone ettaro, la superficie urbana occuperebbe quasi tredici chilometri quadrati. Secondo un calcolo approssimativo gli abitanti aumenterebbero fino a 350.000 sull’arco di 50 anni, e sempre con una densità di 100 persone ettaro l’area occupata sarebbe di 39 kmq. Ma notiamo che l’area interessata dalle lottizzazioni di terreni è di quasi 170 kmq, di cui solo una piccola parte si costruirà gradualmente nei cinquant’anni.
Mentre la quota assolutamente maggioritaria starà non coltivata, perché suddivisa in piccolissimi appezzamenti, spesso di proprietà di persone assenti, disinteressate a tutto fuorché ai guadagni da speculazione, guadagni che vista la situazione paiono assai improbabili. Anche la quota di superficie che resta ancora nelle mani dei coltivatori, non viene sfruttata adeguatamente, visto che sbagliando ci si aspetta verrà edificata, senza calcolare che esiste un eccesso di offerta di superfici di circa l’80%. Terreni vicini ai luoghi di sbocco del mercato prodotti, e in gran parte molto adatti all’agricoltura. Il concime naturale prodotto dalle città sprecato in discarica, prezzi alimentari che sono cresciuti enormemente, e stanno diventando fuori dalla portata dei più poveri. Il caso di Ottawa è caratteristico di tutte le grandi città canadesi, per questa situazione. Si cerca di risolvere il problema coltivando alcune superfici non edificate.
Guardiamo due aree attorno a Ottawa e Woodstock, in un caso terre non coltivate con edifici sparsi, nell’altro superfici destinate a orti produttivi. Questa seconda scelta rappresenta l’eccezione, mentre dovrebbe trattarsi invece della regola. Ci sono quei territori a quasi venti chilometri da Toronto lottizzati nel bel mezzo dell’aperta campagna, distruggendo intere aziende agricole, mentre chi ha realizzato qualche baracca per abitarci fatica a pagarsi gli allacciamenti. La conseguenza di questa situazione è che grandi aree nei pressi delle grandi città vengono tenute incolte, le aziende agricole diventate inutilizzabili dato che sono frazionate in piccolissime superfici, a volte occupate da qualche baracca, o comprate da chissà chi per farci chissà cosa; gli allacciamenti sanitari sono impossibili per via dell’esagerato sparpagliamento degli edifici, sul versante dei tributi le amministrazioni locali perdono anziché guadagnare, chi lavora deve fare lunghissimi spostamenti, i bambini che ci abitano stanno lontano dalle scuole, e migliaia di lotti prossimi alla città restano invece vuoti, interi quartieri paralizzati.
In tre città del Canada occidentale, all’interno dei confini amministrativi c’è una densità media di otto abitanti ettaro. Una buona densità dal punto di vista urbano ed economico sarebbe dieci volte tanto, o anche quindici volte tanto, ma lì in alcune zone anche quegli otto abitanti paiono sovraffollamento. Mentre dentro le medesime città ci sono terreni lottizzati ma non occupati all’84%. Se avessimo una densità di 100 ab/ha queste città coprirebbero una superficie complessiva di circa 1.800 ettari, con tutta la loro popolazione. Trattandosi di un sesto della superficie lottizzata, e solo molto parzialmente edificata, ci restano poco meno di novemila ettari sottratti all’agricoltura, vicinissimi ai mercati di sbocco dei prodotti, che pagano tasse immobiliari per valori immobiliari inesistenti, e costituendo un onere per tutta la popolazione circostante.
E dobbiamo aggiungerci, moltiplicato due o tre volte, un territorio rurale nelle immediate adiacenze dei confini cittadini che non viene lavorato adeguatamente, dato che i coltivatori sperano di sfruttarlo prima o poi con altre lottizzazioni. Si tratta di un problema grave, che riguarda le città e non l’agricoltura direttamente, effetto deplorabile che riduce una produzione che avrebbe un importantissimo valore economico.
Nuovo insediamento e speculazione
La speculazione fondiaria alimenta il tipo di tendenze che non vorremmo si manifestassero nelle nuove popolazioni. L’immigrato recente deve essere accompagnato a diventare un cittadino nel pieno senso della parola, considerare il paese la propria patria adottiva e non un posto di permanenza temporanea. Mentre potrebbe farsi l’idea di accumulare un po’ di soldi e tornarsene là dove è nato. In ogni caso, che resti sulle idee di partenza o le cambi influenzato dal luogo, dovremmo orientare le sue future azioni. Negli anni più recenti la febbre della speculazione fondiaria è stata quella che per prima si è impossessata dell’immigrato; incoraggiando una naturale tendenza a continuare a migrare, a non stabilizzarsi. Si vedono gli speculatori fondiari guadagnare senza alcuno sforzo, mentre i coltivatori faticano a far tornare i conti, per non parlare di tanti vantaggi locali e climatici. Se il migrante acquista un’azienda agricola nei pressi di un centro urbano si ritrova tagliato fuori dal suo mercato naturale di sbocco da ampie superfici di territorio che hanno prodotto forti guadagni per lo speculatore, senza alcuna fatica, anche se sono lì vuote e inutilizzate. Lui è tagliato fuori dalle relazioni sociali, dalla facilità di interagire e cooperare, o studiare, a causa della speculazione. Con questo genere di premesse, come possiamo aspettarci che qualcuno si stabilizzi e diventi un produttivo attivo soddisfatto cittadino?
Ma la speculazione paga?
È un errore credere che in media lo speculatore fondiario davvero guadagni. Ciò che prende nei periodi di grande espansione poi perde in quelli di depressione, salvo naturalmente i pochi casi di veri colpi di fortuna. Le perdite delle operazioni fondiarie, che si devono al mettere sul mercato molte più superfici di quante ne possano mai servire, all’accumulazione di interessi sul capitale investito, alla perdita dei depositi, alle spese di eventuale trasformazione, in moltissimi casi controbilanciano tutti i guadagni, anche se a prima vista si tratterebbe di forti somme se non si considera l’altro piatto della bilancia.
Così, abbiamo perdite finanziarie da parte di chi ha comperato i lotti, perdite nella produzione agricola per le superfici non coltivate, e in media anche nessun vantaggio nemmeno per gli speculatori. Cosa fortunatamente colta almeno dalle grandi imprese come le ferrovie del Canada, o da alcuni importanti esponenti del mercato americano, che promuovono piani urbanistici in grado di fermare queste forme di speculazione. Abbiamo un grande bisogno di investimenti, e per averli dobbiamo dare fiducia a chi opera in campo immobiliare, con metodologie chiare.
da: Rural planning and development; a study of rural conditions and problems in Canada, Ottawa 1917 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini
Per un confronto si veda su questo sito il testo della conferenza di vent’anni dopo, in cui il responsabile per il territorio della Tennessee Valley Authority descriverà in atto un processo molto simile (coniando ex novo il termine «sprawl» applicato alla dispersione insediativa) stavolta poderosamente spinto dal primo automobilismo di massa. Earle S. Draper, Città, campagna, sprawl (1937)