La “urbanistica fascista” è tutt’altro che un momento di cesura con le vicende precedenti, costituendone invece uno sviluppo quasi sempre coerente, pur con le proprie particolarità1. In questo senso Bari non sfugge alla regola, considerando che il ruolo del centro, la terziarizzazione, l’espansione sui lungomare – fulcro dello sviluppo in epoca fascista – sono da decenni questioni all’ordine del giorno.
La crescita urbana, sulla spiaggia detta del filosofo a sud del porto vecchio, era all’ordine del giorno già da anni, e nel 1905 – quando già Arrigo Veccia lavora a un nuovo piano regolatore e di ampliamento – era stato approvato dal consiglio comunale un progetto per un quartiere lungo la costa di oltre un chilometro, in cui avrebbero trovato posto alcuni edifici pubblici. Il piano regolatore adottato nel 1911 recepisce e precisa questo progetto2, e quello (approvato con modifiche nel 1926) del 1918 ne rafforza il ruolo. Sono fissati: lungomare a sud-est; lungomare a ovest della città vecchia, sino al promontorio di San Cataldo; infine a trait d’union la strada alla base del corso Venezia, sul lato orientale del centro storico. Completano lo schema, due ampie vie e altre modificazioni nella città vecchia, funzionali al rafforzamento dell’asse nord-sud. Il piano Veccia è di espansione, funzionale a un rilancio economico: «il porto, la zona industriale, l’edilizia pubblica, i servizi diventano elementi integranti, polmoni di una città che tende a comprenderli al suo interno in forma compiuta»3. Procede l’iter amministrativo del piano, e a Bari si insedia l’amministrazione fascista.
Il nuovo corso fascista, è allo stesso tempo ricambio del ceto dirigente, e rafforzamento di equilibri preesistenti, miscela che favorisce l’avvio di cospicue opere pubbliche4. Si rafforza l’idea di sviluppo continuo dei lungomari, dalla spiaggia sud-est fino a San Cataldo, dove sorgerà la Fiera del Levante. La “circumnavigazione” del tessuto antico subisce una battuta di arresto, quando la Sovrintendenza ai Monumenti si oppone al tratto di litoranea lungo la muraglia perimetrale. L’opposizione è motivo di stralcio del progetto dal piano, e favorisce lo sviluppo del dibattito nazionale sulle potenzialità locali del “diradamento”, fino al piano redatto da Concezio Petrucci, nel 1931, approvato però proprio quando inizia la costruzione della strada: «una operazione … in un certo senso analoga agli sventramenti avvenuti negli stessi anni in altre città d’Italia»5. Questo lungomare, ha portato alla scomparsa di alcuni scorci caratteristici e, più del piano Petrucci6, ha costituito un precedente da imitare, per le città costiere, sarà inserito con altre modifiche in una variante al piano, approvata con Regio Decreto 8 aprile 1939, n. 7347.
L’aggregazione dei Comuni contermini di Modugno, Bitetto, Loseto, Valenzano, Triggiano, Capurso, Cellamare, è il segno di una volontà di razionalizzazione, che si accompagna alla riorganizzazione degli uffici municipali, all’ampliamento di funzioni direzionali, a investimenti in infrastrutture. Quando il podestà Araldo Di Crollalanza è promosso nel 1928 sottosegretario ai Lavori Pubblici (sarà ministro nel 1930), appare lusinghiero il bilancio dei benefici della nuova amministrazione, e roseo il futuro. Il Popolo d’Italia, celebrando i raggiunti 180.000 abitanti, giudica che la città «ha ritratto tale espansione intrinseca ed estrinseca quasi totalmente dall’attività individuale dei cittadini, sospinti e premuti dalla energia – che può dirsi nativa»8. Tra le opere realizzate, l’organo del PNF può citare il primo tratto del lungomare Nazario Sauro, per ora solo una passeggiata con «quattro bellissimi giardini». Per il futuro prossimo, si prevedono la sistemazione integrale della fascia costiera, con il prolungamento del Corso Trieste (oggi Vittorio Veneto) fino a San Cataldo, e la congiunzione tra lungomare Nazario Sauro e via Venezia «coronante le antiche mura sul mare». Uno sviluppo, però, eterodiretto: i lungomare, i lavori per il porto, il Policlinico, gli edifici monumentali, sono terreno di caccia soprattutto per operatori non baresi, con ovvi risentimenti da parte degli interessi locali ridotti ad un ruolo secondario. Anche il piano Veccia è superato, e non certo per l’opposizione nazionale dei Piacentini, Piccinato, Giovannoni, che interverranno presso il Crollalanza fino ad ottenere un incarico per Concezio Petrucci9. Il piano approvato nel 1926, appartiene a una “generazione” di strumenti tecnici in via di rapida (forse troppo rapida) liquidazione, e la stessa mole delle opere realizzate e in cantiere ne decreta l’obsolescenza, mentre se ne realizza la parte stralciata, ovvero il lungomare sul lato orientale del centro storico, mentre il Nazario Sauro «ridimensionato negli interramenti, si arricchiva di edifici pubblici e di rappresentanza».10
Questo periodo di crescita, si deve anche al vasto consenso all’amministrazione, Crollalanza prima e Vella poi, giudizio positivo che proseguirà anche dopo la caduta del fascismo. Oltre la cospicua mole di risorse finanziarie mobilitate nell’edilizia, la podesteria riesce nella riorganizzazione tecnica e amministrativa degli uffici11, la cui mancata riforma, in altre città, è il motivo del fallimento di programmi anche meno ambiziosi. Uno “stato di grazia” che durerà per tutta la fase ascendente del Crollalanza, fino alla metà degli anni Trenta. Oltre i più visibili edifici sui lungomare, va considerata la mole dei lavori necessari alla costruzione della sola strada, anche se come sottolinea un periodico non specializzato descrivendo il nuovo tratto verso San Cataldo e la spiaggia di San Francesco all’Arena, «il nuovo piano regolatore della città, allestito dall’Ufficio Tecnico Municipale … senza imbarcarsi in eccessive spese»12.
La rivista del Touring Club descrive con dovizia di particolari panoramici i lavori di prosecuzione del lungomare Nazario Sauro, oltre la Rotonda e il Circolo Canottieri, con uno sviluppo di circa tre chilometri, e la possibilità di agganciarsi poi alla nuova litoranea di Mola.13. In questo contesto, viene affidata a Concezio Petrucci la redazione del nuovo piano regolatore e di ampliamento, quando ancora non è operativo il suo progetto parziale del centro. Il destino di questo piano regolatore “generale”, redatto da un rappresentante della nuova cultura urbanistica, ripercorre con qualche variante uno schema consolidato: la contestazione del piano vigente, incarico e redazione di un nuovo progetto che, però, non gode di consenso sin dall’inizio, e tra un rinvio e l’altro si trascina fino alla fine degli anni Trenta, a ridosso del dibattito sulla legge urbanistica, per poi essere rinviato definitivamente. Come altri piani coevi elaborati da urbanisti con la stessa formazione14, anche qui lo schema parte dalla scala “regionale”, e successivamente «organizza una rete viaria urbana diversificata, completa e razionalizza i quartieri periferici a sud e ad est»15, con spostamento a sud della Stazione, e prolungamento di corso Cavour. Insieme ad altre questioni lasciate in sospeso, anche lo schema di espansione e decentramento sarà ripreso nel dopoguerra, da Calza Bini e Piacentini. Forse, anche la minore visibilità nazionale del piano regolatore “generale”, rispetto a quello di diradamento della città antica16, è segno di un minore investimento della cultura nazionale su questo fronte, forse meno prestigioso in termini di legittimazione professionale.
È quindi in base o in variante allo schema di Arrigo Veccia, e soprattutto in base al “piano” del ceto politico che fa capo a Crollalanza, che si realizzano i processi di crescita, polarizzazione e terziarizzazione, il cui elemento più visibile è l’architettura pubblica neomonumentale dispiegata soprattutto sui lungomare. La cultura architettonico-urbanistica locale e nazionale trova, negli incarichi di progettazione dei palazzi di rappresentanza, un congruo indennizzo alla mancata sanzione dei suoi programmi urbanistici di massima. Si calcola che nel 1930-1934, ovvero fra l’incarico per il nuovo piano e il manifestarsi esplicito delle resistenze all’approvazione, siano compiuti lavori per circa 54 milioni (quasi il doppio del preventivo per il “diradamento” del centro) di cui un terzo per i palazzi17, e il 15% per case popolari.
Alla metà degli anni Trenta, inizia il declino del ceto politico locale che aveva dominato per un decennio. Di questa stagione resta il simbolo dei lungomare18, sintesi fra elementi panoramici, di riorganizzazione funzionale, polarizzazione terziaria, e di qualità architettonica e urbanistica, a spese di altre zone la cui riqualificazione sarà obiettivo spesso annunciato, altrettanto spesso mancato19. Sul lungomare Nazario Sauro, si allineano via via: il Palazzo della Provincia (1932-35); l’edificio del Ministero dei Lavori Pubblici, voluto dal Crollalanza e progettato dopo un concorso20 dal romano Carlo Vannoni (1932-34); Caserma Comando IV Z.A.T. dell’Aeronautica (1932-35) e quella dei Carabinieri (1932-36). Chiude la serie la realizzazione del professionista più noto, ovvero l’Albergo delle Nazioni (con annesse abitazioni civili) di Alberto Calza Bini, commissionato dall’I.N.A. e inaugurato in occasione della prima Fiera del Levante. Proseguendo lungo la strada litoranea, dopo aver superato il nuovo tratto attorno alla città vecchia, la serie di edifici sul lungomare Vittorio Veneto in direzione di San Cataldo completa «un ininterrotto percorso monumentale» con «le mura della città antica isolata ed esaltata essa stessa come un monumento nel suo insieme»21. Nell’ordine: edificio del Ministero delle Finanze (1932-34); Casa del Mutilato (1935-40); Istituto Superiore di Scienze Economiche e Sociali progettato da Concezio Petrucci (1934-37); case I.N.C.I.S. (1930-34); Liceo Ginnasio Orazio Flacco, ancora di Petrucci (1932-33); Caserma della Guardia di Finanza (1933-36); caserma Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, di Saverio Dioguardi (1934-37).
L’Economia Nazionale definisce Bari la «città più nuova d’Italia». Il barese delle vignette umoristiche non potrà più arrampicarsi in cima a una scala a pioli e gridare Ho scoperto che a Bari vi è il mare!22. Degli oltre due miliardi di lire investiti nella regione dalla marcia su Roma alla fine del 1934, una quota molto rilevante è stata destinata alla città di Bari, e di questa una altrettanto rilevante parte ha fornito le risorse per le opere che ora formano, dalle propaggini meridionali a quelle settentrionali, una fascia continua altamente qualificata, immagine destinata a durare della Bari moderna.
Questo saggio è un estratto da F. Bottini, Dalla periferia al centro: idee per la città e la city, in AA.VV. Storia dell’Architettura Italiana – Il Primo Novecento, a cura di G. Ciucci e G. Muratore, Electa, Milano 2004 – in questo stesso sito dal medesimo saggio già pubblicati: La legge urbanistica italiana del 1942; MIlano fascista, Manhattan tascabile; Genova e la city fascista Torino «city tascabile»
NOTE
1 «L’ideologia accentratrice e classista del fascismo aveva … un ruolo non molto complesso nel trasformare il volto delle città italiane: semplicemente imponeva un “suo” stile all’immagine urbana, più o meno come farà il neo-capitalismo trionfante allorché verrà l’ora delle curtain walls e delle megstrutture direzionali». Alberto Mioni, «La città e l’urbanistica durante il fascismo», La rivista, n. 2-3, Lerici 1978; ora in Alberto Mioni (a cura di), Urbanistica fascista. Ricerche e saggi sulle città e il territorio e sulle politiche urbane in Italia tra le due guerre, F. Angeli, Milano 1980, p. 42
2 «erano previsti due trottoir, ubicati in parallelo intorno ad una pineta, una duplice fila di villini e di palazzine, un ampio viale Barion che terminava con un lago di ostricoltura». Enrica Di Ciommo, Bari 1806-1940: evoluzione del territorio e sviluppo urbanistico, F. Angeli, Milano 1984, p. 336
3 Ennio Corvaglia, Mauro Scionti, Il piano introvabile. Architettura e urbanistica nella Puglia fascista, Dedalo, Bari 1985, p. 68
4 Cfr. Marcello Petrignani, Franco Porsia, Bari, Laterza, Bari 1982
5 ivi, p. 153
6 Paolo Sica giudica il piano Petrucci, indipendentemente dall’attuazione, un «mediocre compromesso». Paolo Sica, Storia dell’urbanistica. III. Il Novecento, Laterza, Bari 1978, p. 484. Molto più lusinghieri i giudizi dei contemporanei, che giudicano il piano «ragione di decoro per la città di Bari perché valorizza i principali monumenti e tutta la zona più antica» e «ragione di nuova vita» per la popolazione. Mario Paniconi, «Piano Regolatore della città vecchia di Bari», Architettura, aprile 1932, p. 215
7 Cfr. Domenico Di Bari, Bari: vicende urbanistiche del centro storico (1867-1967), Dedalo Libri, Bari 1968
8 «Le opere del Regime a Bari nell’Anno VI», Il Popolo d’Italia, 27 novembre 1928
9 Alcuni stralci delle lettere al Prefetto di Bari firmate dal giovane Piccinato, con cui la cultura urbanistica nazionale mette in dubbio (secondo un copione piuttosto abituale) la qualità del piano Veccia, sono pubblicati dalla rivista dei proprietari di fabbricati, che forse sostengono il ruolo della impresa locale, certo più adatta agli interventi di diradamento che alle grandi opere pubbliche. Cfr. A.M., «La sistemazione edilizia di Bari (documenti)», La Proprietà Edilizia Italiana, novembre-dicembre 1929
10 Mauro Scionti, «Sviluppo urbanistico tra Ottocento e Novecento», in AA.VV., Bari Moderna 1790/1990, numero monografico di Storia della Città, luglio-settembre 1989, p. 60
11 «radicale riorganizzazione degli uffici … ad assicurare al quadro politico-sociale del capoluogo pugliese basi di stabilità ormai rigidamente strutturate e gerarchizzate, idonee a perpetuarne la continuità». E. Di Ciommo, op. cit., p. 464.
12 Echi e commenti, 5 settembre 1929
13 Cfr. Le Vie d’Italia, gennaio 1929
14 Sul pieno, e per molti versi emblematico, inserimento del caso barese nella costruzione della cultura urbanistica nazionale, Cfr. Livia Semerari, Una vicenda urbana. L’architettura a Bari dal 1900 al 1930, Schena editore, Fasano 1990
15 Mauro Scionti, «Sviluppo urbanistico …», cit.
16 In termini finanziari, il preventivo della spesa per il diradamento di città vecchia, è di un totale di circa 30 milioni, di cui la metà per espropriazioni e demolizioni di fabbricati esistenti; 5.000.000 per strade, piazze, cortili, il resto per fognatura, ricostruzione di prospetti, servizi vari. Cfr. La Tribuna, 1 novembre 1931. Una cifra relativamente ridotta, a fronte del merito di aver “salvato” il nucleo antico.
17 In questa politica di modernizzazione attraverso i lavori pubblici, attuati in modo discrezionale anziché all’interno di un piano generale approvato e vincolante, «i reali elementi di novità consistettero nella oculata propaganda … soprattutto con l’effettiva soddisfazione delle aspettative dei maggiori gruppi finanziari-immobiliari nazionali ai cui interessi e alla cui crescita fu in buona misura subordinata», E. Di Ciommo, op. cit., p. 484
18 «Nelle città di mare l’espansione a macchia d’olio è orientata lungo la costa dalla costruzione di nuovi viali, spesso realizzati con intenti monumentali e scenografici e quindi dotati di rotonde, aiole, fontane, colonne rostrate e simili: il più tipico è il lungomare Nazario Sauro di Bari». Alberto Mioni, Le città italiane tra le due guerre (1920-1940), in AA.VV. Le città, Touring Club Italiano, Milano 1978, p. 166
19 «meno gratificante si presenta l’immagine delle altre località centrali e periferiche, ed in particolare di quelle interne al quadrilatero del murattiano». Mauro Scionti, «I tecnici e l’architettura della città», in AA.VV., Bari Moderna … cit., p. 82
20 Cfr. «Concorso per il palazzo degli Uffici dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici in Bari», Architettura, agosto 1932
21 Angela Colonna, fotografie di Francesco Mezzina, Architetture a Bari nel ventennio fascista, Capone Editore, Lecce 1997, p. 85
22 Alfredo Violante, «Bari la città più nuova d’Italia», L’Economia Nazionale, gennaio-febbraio 1935, p. 169