Come probabilmente sta capitando a molti, davanti alle sperticate lodi internazionali al Bosco Verticale, sto assistendo con un certo scetticismo al certo automatico conformismo. In realtà, forse a differenza di tanti altri critici (o forse no, chissà, mica l’ho capito) sono abbastanza perplesso – solo per fare un esempio – su quella parte del giudizio collettivo che trova addirittura in quelle due torri con le cascate di verde un modello per la città densa del futuro. Viene da pensare che quei pur qualificati signori immaginino la città densa del futuro composta, come vediamo in certe inquietanti foto, da un grumo di torri scintillanti al centro di una infinita distesa di caotico slum, ovvero la forma che corrisponde alla tendenziale distribuzione del reddito fra chi può permettersi un appartamento da un milioncino di euro, e chi no, anche lasciando perdere i costi di gestione condominiali. Però vorrei anche farmi tentare dal ruolo di avvocato del diavolo, e osservare la faccenda da un altro punto di vista, a partire esattamente dalla critica più frequente, che suona: ma che ci sarà mai di così speciale in un paio di torri con delle fioriere? Ecco, forse sta tutta lì, la faccenda del modello per la città densa del futuro, basta provare a cercarla.
Tra orizzontale e verticale non c’è solo la geometria
Un po’ hanno ragione, i critici delle fioriere, se si pensa che di schizzi e pure realizzazioni con le torri più o meno ricoperte dal verde, se ne vedono da mezzo secolo e passa. La differenza vera con il complesso delle torri premiate, è che un sacco di cose sono state risolte dal punto di vista tecnologico e di metabolismo energetico degli edifici, nonché avviato (perché quello è tutto da vedere, ovviamente) un esperimento su un nuovo modello abitativo, di cui anche i prezzi esorbitanti in fondo sono una parte essenziale. Si vedrà naturalmente col tempo, coi tentativi di imitazione più o meno riusciti, con l’andamento del mercato eccetera, come funziona quell’esperimento, ma dovrebbe essere importante seguirlo perché in fondo sta lì, oltre le chiacchiere promozionali un po’ a vanvera, il vero rapporto del Bosco coi temi dell’Expo 2015. Che non è quello tutto interno allo studio del progettista, come pensa chi allarga un po’ troppo il campo dell’architettura, ma sta altrove, nella filosofia della vertical farm: scaricare i territori rurali dall’onere della produzione, concentrandola nel medesimo ambiente urbano in cui si concentrano i consumi, e consentendo a quei territori di recuperare vitalità e biodiversità. Tutto qui, ma hai detto poco mettere agricoltura in ambiente urbano, ovvero far convivere una cosa che lì non c’è mai stata, farla assimilare socialmente, adattarla tecnologicamente. Ecco, qui c’è la scintilla viva di quell’esperimento, non certo nei balconi con l’edera da vivaio lunga sei metri.
Cosa vuol dire campagna moderna in città
L’agricoltura per produrre deve allontanarsi dalla natura, che produce poco. Non è una sparata, ma la pura realtà, da alcune migliaia di anni, mica da ieri. La forma più o meno individuata è quella delle colture in ambiente controllato (dove anche i fattori negativi naturali, clima, precipitazioni ecc. sono più controllabili) ovvero serre, idroponia ecc. Vertical farm, uscendo dalla mistica e appunto dagli schizzi sognanti che piacciono agli architetti e al pubblico internazionale, vuol dire ammucchiare una serra idroponica sopra l’altra in ambiente urbano, dove sta tanta gente, e a questo può servire l’esperimento del Bosco Verticale, anche se certo quelle piante ornamentali non se le mangia nessuno, così come il costo stratosferico degli alloggi non se lo può permettere quasi nessuno. Tutto sta nel capire come, e se, sia davvero possibile la convivenza, per esempio urbanisticamente parlando, di una produzione di massa seria poniamo di lattuga, la lavorazione, la distribuzione urbana, e la residenza, i servizi. Capire se sia meglio separare gli ambienti fra edifici diversi, o corpi diversi del medesimo edificio quanto ad impianti tecnici. Capire quanto e quale livello di innovazione sia opportuno concentrare, perché concentrare ricchezza vuol dire anche accrescere il rischio, e quindi aumentare la sicurezza. Tutti vorremmo la vertical farm, ma molti temono come la peste una gated farm, no? Eccolo qui, insomma, il senso di sperimentare, di costruire concretamente qualcosa e iniziare un monitoraggio. Oltre ai puri sviluppi settoriali e tecnologici, com quello ultimo di una serra di produzione urbana “tascabile” che si può sperimentare anche dentro casa propria. Ma che, ovviamente, lascia aperti, spalancati, tutti i quesiti prettamente urbani della faccenda.
Riferimenti:
City Blooms – Advanced Systems for Urban Farming