Quando si parla di vitalità urbana si intendono cose diversissime e a volte l’una l’esatto contrario dell’altra, in pratica con la medesima definizione quasi ciascuno di noi si ritaglia una propria serie di immagini ideali a descriverla. C’è la concezione ad esempio cara alle avanguardie artistiche del ‘900, dello spazio-macchina brulicante di attività economiche commerciali di scambio, occupata da folle enormi in costante movimento da un punto all’altro, dentro una specie di sistema sanguigno pompato dai «cuori» multipli delle stazioni, delle fabbriche, degli uffici. Ed è in fondo questa stessa concezione di vitalità che ispira, a partire dall’incipit di Urbanisme di le Corbusier negli anni ’20, tutta l’idea di spazio pubblico urbano speculare a quello privato dell’edificio. C’è però anche un’altra idea di vitalità meno frenetica e meccanica, ed è quella più tradizionale già presente nei dipinti di epoca classica, con le botteghe, gli scambi, gli incontri, ben riassunta in quelle vedute dei grandi mercati o dei portici sulla piazza. L’idea autentica di vitalità è però quella che ad essa fa corrispondere (in fondo come nel modello razionalista-corbusieriano della specularità edificio-strada-spazio aperto) anche ambiti dedicati alla pura sosta, e definiti tali da precise regole che impediscono alla vitalità di traboccare dove non deve. Tutte le polemiche su centri commerciali, downtown o suburbio, gentrification più o meno bene intesa, turismo di massa e movida, in fondo ruotano attorno a cosa sia questa vitalità e come e dove debba manifestarsi.
Scenari del lavoro e del commercio
In realtà dei due concetti di vitalità schematizzati, è probabilmente il secondo a occupare buona parte dell’immaginario, se non altro perché su un arco di tempo molto lungo l’organizzazione socioeconomica urbana e delle attività vede di fatto la massima parte delle «grandi folle agitate dal lavoro» cantate nel Manifesto del Futurismo sottratte ai flussi che chiamiamo vitalità, salvo per le ore di punta. Ma lentamente quanto significativamente (almeno per la tesi che spesso proviamo a sostenere su queste pagine) sono avvenute trasformazioni sociali ed economiche tali, per cui da un lato si è rarefatta la rete commerciale tradizionale e della relativa vitalità, ma d’altro canto si è infittita la presenza e la contaminazione con le folle del lavoro, prima chiuse per lunghe ore nei luoghi dedicati. La rarefazione degli esercizi si deve prevalentemente alla riorganizzazione distributiva e a quella correlata della mobilità, con negozi e servizi concentrati per «poli» a volte migrati verso la fascia extraurbana come nel classico esempio del centro commerciale a scatolone e aria condizionata. Ma in parte, e certo con l’esclusione delle zone a destinazione residenziale pura, dove l’unica vitalità è garantita ancora da alcuni servizi pubblici standard, all’affievolirsi della presenza commerciale minuta e dell’andirivieni che determinava, è subentrata una maggiore elasticità dei tempi di lavoro, nonché una «uscita sulla strada» del lavoro stesso, sia con la nascita di nuove professioni che col cambiamento di altre esistenti.
Virtuale e reale
Oggi la distribuzione tradizionale dei negozi fisici brick & mortar, vede il proprio monopolio assoluto messo in discussione dall’impetuoso (a dir poco) impennarsi delle quote di scambi online, su cui si spostano sia molti operatori del settore in grado di riorganizzarsi in quel senso, sia i consumatori alla ricerca di una scelta più articolata e non legata alla propria mobilità. E si teme che la prima vittima di queste trasformazioni possa essere proprio la vitalità urbana garantita dalle attività commerciali e di servizio. Ma è esattamente il motivo per cui si sono premesse quelle brevi riflessioni sui modi in cui si evolve, si considera, trasforma quella vitalità nel tempo: è proprio vero che al cambiare della rete commerciale verso un sistema di distribuzione diverso da quello dei negozi tradizionali di debbano per forza «desertificare le città» come denunciano in tanti? In realtà anche solo osservando le più recenti innovazioni, sia applicate che discusse dagli specialisti del settore, sembrerebbe di no: sia per il proseguire ed evolversi della citata miscela tra il lavoro uscito dal suo spazio-tempo tradizionale e il flusso commerciale, sia per le forme che sta assumendo la rete di distribuzione, ben diverse dal passato anche molto recente. Due gli aspetti caratterizzanti la logistica di «ultimo miglio» ovvero quella che interessa davvero il tessuto socio-spaziale urbano: l’entrata in campo di una serie di soluzioni sostenibili e di piccole dimensioni per il trasporto capillare, e la nascita dei punti intermedi di prelievo, veri e propri nuovi negozi potenziali, che mescolati ad altre innovazioni urbane possono completamente cambiare la logica dei consumi e dell’uso di spazio.
Riferimenti:
Summer Meza, E-Bike deliveries could change the future of urban traffic, Newsweek, 3 dicembre 2017